Di Marevivo

Trattiamo l’oceano come un’enorme discarica. Ormai vi è quasi più plastica che pesce. Eppure a Busan, in Corea del Sud, a fine novembre, sono falliti i negoziati per un trattato globale sulla plastica giuridicamente vincolante. La mancanza di un accordo che disciplini l’intero ciclo di vita della plastica, dalla produzione ai rifiuti, dimostra come gli interessi di pochi prevalgano sul benessere dell’intera comunità mondiale. Sono sempre i soliti noti, la lobby del petrolio, a mettersi di traverso e ostacolare ogni passo avanti per ridurre il quantitativo di materiale plastico prodotto ogni anno. Sempre loro, con una visione miope e distruttiva, a frenare sulla transizione ecologica, unica via per fronteggiare la crisi climatica.

È un dato di fatto: gli interessi economici dell’oil & gas contano più della sopravvivenza degli esseri umani perché, se ancora non fosse chiaro a tutti, è proprio questa la posta in palio. Il Pianeta può farcela, ritrovando in tempi lunghissimi un nuovo equilibrio. Siamo noi, esseri umani, che potremmo non farcela ad adattarci ai cambiamenti e agli sconvolgimenti, non solo climatici, generati dall’inquinamento, conseguenza diretta delle nostre azioni.

Attualmente oltre 5 trilioni di pezzi di plastica galleggiano nell’oceano e la Great Pacific Garbage Patch, l’isola di plastica del Pacifico, si espande inesorabilmente. La pesca eccessiva, le nano e microplastiche, le microfibre e contaminanti da fertilizzanti, pesticidi e sostanze chimiche industriali stanno portando al collasso la capacità rigenerativa degli oceani. Ogni giorno 2.000 camion di plastica vengono riversati in oceani, fiumi e laghi. Per ogni chilo di tonno che preleviamo dal mare, ne rimettiamo due di plastica. Eppure è al mare che si deve la vita sulla Terra e da esso dipende la sopravvivenza di oltre 3 miliardi di persone. Ecco perché abbiamo perso tutti dal recente fallimento dei negoziati per un trattato globale sulla plastica, è un disastro non solo per il Pianeta, ma anche una grave minaccia per la nostra salute.

Nonostante l’emergenza ambientale, le negoziazioni si sono arenate per l’ostruzionismo dei principali produttori di petrolio e plastica, per questo ci sarà un follow-up nel 2025. Per l’UNEP ogni anno dei circa 400 milioni di tonnellate di plastica prodotti, solo il 9% è riciclato. L’80% dei rifiuti marini è costituito da plastica, con conseguenze devastanti per biodiversità e salute umana. Nel Mediterraneo, la “trappola di plastica” per l’Ispra, finiscono ogni anno 229.000 tonnellate di plastica, rendendolo uno dei mari più inquinati al mondo con 1,9 milioni di microplastiche per metro quadrato.

I principali produttori di plastica sono Cina, Stati Uniti, Germania e Brasile. Nel 2021, ogni persona residente nell’UE ha generato una media di 36,1 kg di rifiuti di imballaggio in plastica. L’Ispra stima che sul fondo degli oceani si trovino oltre 14 milioni di tonnellate di microplastiche. Sebbene abbia compiuto qualche passo avanti adottando misure come il divieto dei cotton fioc non biodegradabili e delle microplastiche nei cosmetici, in Italia nel 2023, sono stati prodotti 6,8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, con una percentuale di riciclo del 44%, ben lontana dagli obiettivi europei.

A livello globale, solo il 20% dei rifiuti plastici viene gestito correttamente, il resto finisce in discarica, incenerito o disperso nell’ambiente e quindi fatalmente negli oceani. I cosiddetti “petrostati” come Arabia Saudita, Stati Uniti e Russia osteggiano ogni intesa per ridurre la produzione di plastica, considerata un mercato strategico per mantenere alta la domanda di petrolio. Senza una drastica riduzione della produzione di plastica, nessuna politica di riciclo potrà arginare l’inquinamento.
L’assenza di un trattato vincolante consentirà ai produttori di plastica di aumentare la produzione del 40% entro il 2050, aggravando inquinamento, emissioni e costi legati ai rifiuti.

I fallimenti delle trattative internazionali, come COP29 a Baku e il Trattato globale sulla plastica a Busan, sono gravi passi indietro nella battaglia contro la crisi climatica. Ogni ritardo nell’azione alimenta pericolosi feedback positivi che accelerano processi irreversibili come il riscaldamento globale, la perdita di biodiversità e l’acidificazione degli oceani. Più aspettiamo, più il prezzo da pagare sarà alto. È imperativo adottare misure urgenti per ridurre la plastica e promuovere un cambiamento culturale. È tempo che i governi mettano da parte gli interessi delle lobby per costruire un futuro sostenibile.

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