Aveva una memoria che definiva “oceanica” e furono proprio i primi cedimenti del suo formidabile archivio mentale, che gli valse da Gianni Clerici il soprannome di “computeRino, il segnale della malattia. Rino Tommasi, veronese, scomparso alla soglia dei 91 anni, è stato davvero “una vita per lo sport”: da praticante in gioventù, da organizzatore di match e da giornalista per oltre mezzo secolo. Non poteva essere altrimenti: il padre Virgilio partecipò alle Olimpiadi di Parigi nel 1924 – settimo nel salto in lungo – e poi a quelle di Amsterdam nel 1928, mentre lo zio Angelo, altista, fu inserito nella squadra dei Giochi del 1928. Rino si laureò in Scienze Politiche con una tesi sull’organizzazione internazionale dello sport e divenne un buon tennista, conquistando quattro titoli italiani ai campionati universitari e due bronzi ai Giochi mondiali studenteschi.

Il tennis gli diede la spinta verso la carriera da dirigente, ma aveva già manifestato la passione per il giornalismo con la pubblicazione, nel 1947, appena tredicenne, del suo primo articolo, sull’edizione marchigiana del Messaggero. Il decollo avvenne nel 1953, nell’agenzia “Sportinformazioni”, poi approdò a Tuttosport e nel 1965 sbarcò alla Gazzetta dello Sport, con la quale il rapporto supererà abbondantemente i quarant’anni. Fu responsabile dell’ufficio stampa della Lazio nel 1968 per una sola stagione, mentre dal settembre 1970, per dieci anni, diresse il mensile Tennis Club.

Rino Tommasi amava profondamente il pugilato. Questa passione gli fece scoprire l’America, ispirando l’attività di organizzatore di incontri, il più giovane del mondo. Il Palazzo dello Sport di Roma, fresco di Olimpiade, divenne il campo centrale dei suoi match. Le perle furono la rivincita Benvenuti-Mazzinghi del dicembre 1965 valida per il titolo mondiale del medi junior, l’incontro HernandezLopopolo del 1966 per il mondiale welter junior e, il 22 novembre 1969, la sfida mondiale dei pesi medi Benvenuti-Rodriguez. Questo match chiuse l’avventura di organizzatore: aveva intuito che la televisione stava prendendo il sopravvento e non aveva la forza economica per opporsi.

Fu il contatto con il mondo statunitense a consolidare la passione per i numeri. La sua memoria “oceanica” cominciò a immagazzinare dati e date. Fu il primo giornalista sportivo italiano a fare delle statistiche il personale punto di forza. Il suo database si esaltò nel giornalismo televisivo, in cui ebbe la fortuna di incrociare un giorno Gianni Clerici, lo “scriba” per eccellenza. Tommasi e Clerici composero una coppia che ha scritto la storia del giornalismo televisivo italiano. Clerici era superiore nella narrazione e nella forza delle immagini. Tommasi replicava con statistiche e ricordi di un’esperienza da inviato in varie parti del mondo, testimone di un giornalismo che, purtroppo, oggi è morto e sepolto. Fece, per dire, ben 147 trasferte negli Stati Uniti: oggi si fatica a inviare una persona a cinquanta chilometri dalla sede di lavoro.

Rino è stato un uomo dichiaratamente di destra. Quando Silvio Berlusconi scese in campo in politica, nel 1994, disse al futuro premier, che conosceva dal 1981, dove era stato chiamato a dirigere i servizi sportivi di Canale 5: “Non ti darò il mio voto perché stai troppo a sinistra”. Negli anni Novanta, una nuova avventura: fu il primo responsabile dello sport di Tele+. Le sue opinioni erano sentenze: non esisteva contraddittorio. Con i colleghi di sempre faceva squadra, imponendo naturalmente il ruolo di capitano. Con i più giovani, si teneva sulle sue: diffidava di chi non conosceva. Non era un mostro di simpatia, ma la cosa non gli interessava: non ci teneva a coltivare il consenso generale. Era tifoso del Verona, ma aveva simpatia anche per il Chievo e per la Sambenedettese: a San Benedetto del Tronto aveva infatti trascorso l’adolescenza. Quando la memoria iniziò a perdere colpi, calò l’imbarazzo: fu il segnale del cedimento fisico. Lui, un archivio leggendario di sport, ferito nel suo punto di forza. La vita talvolta è bizzarra e, soprattutto, impietosa.

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