Ambiente & Veleni

‘Un fallimento’ la spedizione Rai sul K2? Io dico tutto il contrario

Chi segue questo blog, alcune settimane fa avrà probabilmente letto il mio racconto del bellissimo (lo ribadisco) libro K2. Un passo dalla vetta. Un passo dalla vita (Rai libri, 206 pp) scritto da Massimiliano Ossini per raccontare l’impresa di ascesa verso il K2 a 70 anni da quella, tutta italiana, che nel 1954 portò in cima al gigante di roccia e ghiaccio la spedizione guidata da Ardito Desio e che si concluse con l’arrivo in vetta di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli.

Compagnoni e Lacedelli piantarono la picozza, vero, ma se furono in grado di farlo fu solo e soltanto per il supporto di tutto il gruppo, in primis di Walter Bonatti e Amir Mahdi che sfidarono la morte per far arrivare a Compagnoni e Lacedelli le bombole di ossigeno senza le quali, con ottima probabilità, non avrebbero mai conquistato la vetta.

La montagna è questo, gruppo, supporto, fatica e ricompensa. Ho sempre pensato che fosse uno degli esempi più lampanti dell’”uno per tutti, tutti per uno” con il quale cresciamo fin da bambini. Ogni volta che andiamo in Trentino con la mia famiglia è così che viviamo le nostre passeggiate in quota, i nostri amici della Paganella sono diventati tali perché, anno dopo anno, passo dopo passo abbiamo imparato che loro si potevano fidare di noi e noi di loro. Anche in situazioni estreme, come quelle che ogni tanto ci si trova a dover fronteggiare in cima ai monti.

In montagna, come accade nella vita, non sempre le cose vanno come ci si era immaginati e, proprio per quella ragione, bisogna essere in grado di agire e reagire velocemente, avere un piano B e anche, come cerco di insegnare ai miei figli tutti i giorni da più di 18 anni, accettare che questo possa sembrare un fallimento rispetto a canoni classici e schemi predeterminati, ma non sempre fallimento è sinonimo di sconfitta, anzi. Se si è intelligenti è molto più spesso sinonimo di crescita.

Parte integrante del progetto che ha portato Ossini e gli altri membri della spedizione K2 70 a mettersi in viaggio per il Pakistan era anche documentare tutto con un video-racconto andato in onda lo scorso 2 gennaio in prima serata su Rai 3. Se semplicemente già le immagini incredibili di quelle quasi due ore di trasmissione varrebbero da sole il dedicare tempo a vedere Sulle orme del K2, quello che più colpisce è il fatto che nulla sia stato edulcorato o trascurato.

Difficoltà, cambi di programma e rinunce incluse.

Esattamente come avvenne per la spedizione del 1954, anche in quella del 2024 non tutti gli alpinisti partiti sono arrivati in cima (70 anni fa furono Compagnoni e Lacedelli, la scorsa estate a godere dell’immensità dello spettacolo della cima del K2 è stato Federico Secchi che, come raccontato perfettamente nel documentario, assieme a Marco Majori si era unito al gruppo una volta che questo era giunto ai campi base per portare a compimento il progetto Ski in the sky, salita a piedi e discesa con gli sci).

Qualche giorno fa, però, su un media importante ho letto un titolo che mi ha colpito. In pratica, l’autore di quel pezzo (o perlomeno l’autore di quel titolo) derubricava l’impresa a semplice fallimento perché le 8 alpiniste, Ossini ed altri non erano arrivati in vetta. Siamo proprio sicuri che questo voglia dire aver fallito? Io sono abbastanza certo del contrario. Ognuno di loro si è misurato con i propri limiti, con quelli imposti dalla Natura (quella con la N maiuscola che, per fortuna, almeno lì continua ad essere la vera regina) e con l’intelligenza di capire le priorità, inclusa quella di tornare indietro se, anche a pochi metri dall’arrivo, il nostro corpo rischia un edema polmonare.

La spedizione non è andata come (alcuni) spettatori si aspettavano? Probabile, ma si tratta di vita vera e non di film con una trama obbligata all’happy end. La spedizione è stata un fallimento? Se volete la risposta a questa domanda guardate le immagini di come Secchi viene accolto al rientro al campo base, di come tutti si adoperano al massimo per soccorrere Majori che nella discesa si era lussato una spalla, di come ciascun membro di quella spedizione, alla fine del percorso, avesse un sorriso largo sul volto. Il sorriso della crescita, della soddisfazione di avere imparato ancora una volta qualcosa di nuovo.

Questo voglio che i miei figli imparino; la gioia di apprendere dalle sconfitte, l’intelligenza di capire che non necessariamente quelle che gli altri ti descrivono come sconfitte lo sono se sai guardarle con occhio puro. Tutti cadono, solo alcuni si sanno rialzare più forti di prima.