Forza Italia ritirerà i suoi emendamenti al ddl costituzionale sulla separazione delle carriere, in discussione in prima lettura mercoledì nell’Aula della Camera. Le proposte di modifica dei berlusconiani, le uniche presentate in Aula dalla maggioranza, chiedevano di escludere i membri laici dei futuri Consigli superiori della magistratura – uno per i requirenti e uno per i giudicanti – dall’elezione tramite sorteggio, che così sarebbe rimasta prevista solo per i membri togati, quelli scelti dai magistrati nelle proprie file. La decisione è stata presa dopo un incontro a palazzo Chigi tra il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e le forze di maggioranza: “Abbiamo dovuto ricomporre questa dialettica interna, perché il provvedimento deve essere blindato”, ha detto Nordio all’uscita. “Eventuali correzioni porterebbero a uno slittamento di quella che per noi è la madre di tutte le riforme, quindi abbiamo raggiunto un accordo e questi emendamenti saranno gestiti in un altro modo”. Una nota del gruppo azzurro alla Camera comunica che “Fi, con i suoi emendamenti, ha inteso sottolineare la funzione centrale del Parlamento nella individuazione dei membri laici del Csm. Ciò nonostante, d’accordo con il ministro Nordio, si è deciso di ribadire tali principi nella successiva, necessaria legge ordinaria. Sicché, pur di evitare il rischio di qualsiasi rallentamento nella definizione dell’iter della riforma costituzionale, riguardante la giustizia, dna del partito, Fi non sottoporrà al voto gli emendamenti in questione”.
In base all’accordo raggiunto, il testo del progetto di riforma rimarrà inalterato: i membri laici saranno “estratti a sorte da un elenco di professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo quindici anni di esercizio, che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione”. Sarà poi la legge ordinaria, nei piani della maggioranza, a neutralizzare il più possibile la portata del sorteggio per i consiglieri scelti dalla politica, ad esempio prevedendo elenchi particolarmente ridotti. A insistere per un’assimilazione tra i sistemi di elezione di laici e togati era stata la Presidenza della Repubblica: il sorteggio dei magistrati, però, a differenza di quello dei laici, è un’estrazione “secca” tra tutti i giudici e i pm, che quindi vengono privati della possibilità di scegliere i propri rappresentanti nei futuri Csm. Oltre a questo, il ddl introduce il principio nella Carta il principio dele “distinte carriere” di giudici e pubblici ministeri – che dovranno essere regolate dalla legge sull’ordinamento giudiziario – e trasferisce la funzione disciplinare nei confronti dei magistrati dal Csm a un nuovo organismo apposito, l’Alta corte disciplinare, anch’essa scelta in gran parte tramite sorteggio.
Mercoledì durante l’esame in Aula, alla presenza del ministro Nordio, è stata respinta con 165 voti contro 93 la questione pregiudiziale di costituzionalità presentata dal Movimento 5 stelle: i deputati Alfonso Colucci, Enrica Alifano, Carmela Auriemma, Pasqualino Penza, Valentina D’Orso, Stefania Ascari, Carla Giuliano, Federico Cafiero De Raho e Francesco Silvestri chiedevano di non iniziare nemmeno l’esame del provvedimento, perché incompatibile con i “principi supremi” della Carta, che “non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale”. Il testo, scrivono i pentastellati, “arreca squilibrio tra i poteri dello Stato e incrina la tenuta dello Stato di diritto e della democrazia come sancite dalla Carta costituzionale, di cui l’unicità della giurisdizione e la separazione dei poteri costituiscono architravi irrinunciabili”; si tratta di un provvedimento, sostengono, “privo di misura”, che persegue obiettivi “evidentemente falsi e diversi da quelli ufficialmente dichiarati”. Con “l’alibi della separazione delle carriere”, infatti, si introduce “un riassetto del sistema e del potere giudiziario ben distante dal vigente modello costituzionale”: secondo il M5s, la riforma “non può avere altro effetto che quello di spingere il pubblico ministero fuori dalla cultura della giurisdizione avvicinandolo alla polizia giudiziaria, determinando esiti opposti rispetto agli obiettivi che il governo dichiara di perseguire. Il rischio che appare sullo sfondo”, aggiungono, “è che tra le mire del governo in carica vi sia la previsione che il pubblico ministero finisca assoggettato, in modo diretto o indiretto, al controllo politico delle contingenti maggioranze, secondo il modello polacco o quello ungherese“.
Illustrando la pregiudiziale, il deputato Colucci, capogruppo M5s in Commissione Affari costituzionali, ha detto che con la riforma il sistema giudiziario diventerà “vulnerabile alle ingerenze della politica”: “I cittadini perderanno il diritto al giusto processo nel quale il pm cerca la verità e raccoglie le prove anche a favore dell’indagato. Se volevate parificare accusa e difesa”, ha aggiunto rivolgendosi alla maggioranza, “otterrete l’effetto opposto. Il pm si trasformerà in superpoliziotto, il cittadino comune sarà schiacciato dalla pubblica accusa, mentre chi ha soldi e potere potrà salvarsi”. Colucci cita anche l’assoluzione di Matteo Salvini nel processo Open Arms: quella sentenza, dice, “dimostra che la magistratura giudicante non è accondiscendente verso quella requirente, ma la vostra furia ideologica è sorda e cieca. Voi volete una giustizia cucita addosso ai vostri sodali e non una giustizia giusta”. La riforma, conclude, “non è solo incostituzionale, ma è davvero pericolosa: è un intervento pensato non per migliorare il funzionamento giustizia, ma per abolire le garanzie dei cittadini. le conquiste dello Stato di diritto vengono sacrificate sull’altare del patto scellerato” tra la premier Giorgia Meloni, il leader della Lega Matteo Salvini e Forza Italia, il partito che ha sempre fatto un totem della separazione delle carriere.
Nel dibattito successivo Devis Dori, di Alleanza Verdi e sinistra, ha detto che la separazione delle carriere è ormai “solo un’etichetta apposta a una merce molto differente: è diventata un tema meramente politico e può aprire la porta alla responsabilità del pm rispetto al potere esecutivo. La riforma rischia di compromettere il principio cardine della separazione dei poteri, depotenziando la magistratura e il suo governo autonomo. La preoccupazione è che possa essere solo il primo step di un disegno più ampio per arrivare al vero obiettivo già nella vostra testa, l’eliminazione dell’obbligatorietà dell’azione penale”. Dal Pd Simona Bonafè ha ricordato “che già oggi, in più del 40% dei casi, le decisioni giudiziarie non confermano le ipotesi accusatorie: la parità è garantita dalle regole del processo, non serviva una modifica costituzionale. Le carriere sono già separate, i passaggi di funzione sono meno dell’1%. Il rischio è di creare una casta di procuratori autoreferenziale con un proprio Csm di riferimento”. Dalla maggioranza è intervenuta la deputata del Carroccio Simonetta Matone: “La terzietà del giudice si garantisce solo con l’appartenenza del giudice a un ordine terzo e diverso da quello del pm. C’è un’inevitabile contiguità tra persone che appartengono allo stesso ordine, mentre la “non amicizia” è garanzia di controllo di un potere sull’altro. Le funzioni di accusa e difesa non distintamente separate sono proprie di regimi autoritari e addirittura dittatoriali”.