Se cercate Nino Scotellaro su Google tra i primi suggerimenti che vi compariranno nella barra di ricerca troverete anche questo: “Nino Scotellaro storia vera Wikipedia“. Sull’enciclopedia libera, però, quella pagina non esiste. Il motivo è ovvio: quella del protagonista di The Bad Guy non è una storia vera. Nino Scotellaro, all’anagrafe Antonino, magistrato antimafia che gli eventi trasformano praticamente in un boss, è un personaggio inventato. In tanti direbbero completamente inventato, ma è il caso di essere cauti. Molto di quello che succede attorno al personaggio interpretato da un fenomenale Luigi Lo Cascio è, infatti, realmente accaduto. O comunque prende spunto da fatti che sono stati ipotizzati più volte da molteplici fonti. Eventi verosimili anche quando non sono stati provati oltre ogni ragionevole dubbio. Stiamo parlando, infatti, di vicende finite al centro di processi lunghi decenni, che hanno provocato polemiche e veleni in grado di spaccare in due il Paese. Ma andiamo con ordine.
Prodotta da Indigo e Amazon Studios, The Bad Guy è probabilmente la migliore serie italiana degli ultimi anni. Soprattutto ora che è completa, dopo l’uscita della seconda stagione (disponibile su Prime da dicembre e da stasera, 8 gennaio, su Rai Due, purtroppo solo in seconda serata). Per scriverla, gli sceneggiatori Ludovica Rampoldi e Davide Serino (già autori di titoli di successo come – tra gli altri – 1992, i Leoni di Sicilia, il Traditore) e i registi Giuseppe G. Stasi e Giancarlo Fontana hanno evidentemente preso spunto dalla cronaca giudiziaria. The Bad Guy, infatti, è il tentativo più riuscito (l’unico?) di traslare sul piccolo schermo gli infiniti rivoli della cosiddetta Trattativa tra pezzi dello Stato e la mafia. Un’operazione molto delicata. Non solo perché arriva in un periodo caratterizzato dal continuo tentativo di riscrittura delle fasi più controverse della storia del nostro Paese. A questo punto è meglio piazzare subito un disclaimer: è noto come tutti gli imputati del processo sulla Trattativa siano stati assolti in Cassazione. Come i lettori di questo giornale sanno bene, però, non esiste il reato di trattativa: carabinieri, mafiosi ed ex politici erano accusati di violenza o minaccia a un corpo politico dello Stato. Reato dal quale, come abbiamo detto, sono stati assolti. Ma le assoluzioni non cancellano alcuni fatti ricostruiti durante le lunghe e complicate indagini della procura di Palermo. Ed è proprio di riferimenti a queste vicende (ma anche ad altre emerse durante processi diversi) che è disseminata la sceneggiatura di The Bad Guy.
Per esempio: il personaggio di Mariano Suro, inafferrabile capo di Cosa nostra interpretato da Antonio Catania, è scritto chiaramente agitando tra loro le biografie di Totò Riina, Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro. Come il capo dei capi dei corleonesi, il finto capomafia di The Bad Guy guida Cosa nostra con pugno di ferro, dopo aver sterminato le famiglie nemiche. Latitante per decenni, senza mai allontanarsi dal suo territorio, rischia l’arresto a causa della sua malattia, l’insufficienza renale. Quasi la stessa cosa accaduta a Messina Denaro, beccato mentre si stava sottoponendo a una seduta di chemioterapia per curare il tumore al colon. Come nel caso del boss di Castelvetrano, anche la latitanza di Suro è dovuta a insospettabili complicità. Piccole e grandi. Nella serie tv gli uomini della Polizia municipale lo riconoscono, ma non lo arrestano: si limitano a scattare una foto-ricordo con lui. Sembra una scena paradossale, quasi forzata, ma in fondo è solo cronaca: basti pensare al selfie del paziente Messina Denaro insieme a un medico, probabilmente inconsapevole. Ancora più inverosimile appare un altro passaggio della serie, che però contiene uno spoiler: il covo più segreto di Suro si trova infatti nella cantina della storica magistrata antimafia che in teoria dovrebbe dargli la caccia. Assurdo, vero? Ma d’altra parte Luciano Liggio, il sanguinario boss dei corleonesi, non venne arrestato a casa di Lea Soresi, considerata la fidanzata di una delle sue più celebri vittime, cioè il sindacalista Placido Rizzotto? A volte è la realtà a essere assurda e inverosimile. Molto più di una fiction.
Uno stretto legame col mondo reale può vantarlo anche il personaggio di Stefano Testanuda, agente dei servizi interpretato da Stefano Accorsi. Addestratissimo e spietato 007, prototipo di mister Wolf all’amatriciana, Testanuda ha un’appariscente parrucca bionda che lo avvicina alla figura di Faccia da mostro, cioè il killer di Stato sul quale hanno indagato numerose procure. Sicario dei servizi ma allo stesso tempo complice degli uomini di Cosa nostra, per anni è stato raccontato come un fantasma, che appariva sullo sfondo dei delitti rimasti irrisolti. Poi alcuni magistrati lo hanno individuato in Giovanni Aiello, ex poliziotto con una profonda ferita al volto e una biondissima chioma. Riconosciuto da testimoni oculari (come Vincenzo Agostino) e da alcuni collaboratori di giustizia, Aiello era finito sotto inchiesta. Non hanno mai fatto in tempo a processarlo, perché è morto nel 2017, d’infarto, mentre si trovava in spiaggia. Diversa la fine di Testanuda, la cui genesi è stata svelata da Accorsi. L’attore, infatti, ha pubblicato su Instagram i disegni preparati dal regista Stasi per spiegare come immaginava il suo personaggio: a margine si legge chiaramente che “deve ricordare Faccia da mostro“.
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Punto fondamentale di The Bad Guy è il potere del boss Suro, che gli sceneggiatori fanno risalire a un fantomatico archivio. Esattamente quello che si è sempre sostenuto sul conto di Riina: per anni la procura di Palermo ha ipotizzato come nell’ultimo covo del boss corleonese fossero custoditi documenti scottanti. Carte che avrebbero potuto scatenare il “finimondo“ se solo fossero state rese pubbliche: ecco perché alcuni collaboratori di giustizia come Giovanni Brusca hanno sostenuto di averle fatte sparire, approfittando della mancata perquisizione del covo da parte dei carabinieri. Va ricordato che anche su questa vicenda è stato celebrato un processo, finito con le assoluzioni degli imputati (il generale Mario Mori e il capitano Ultimo, cioè Sergio De Caprio). Non è chiaro, dunque, cosa sia avvenuto davvero nel covo di Riina e neanche cosa ci fosse nel suo archivio. Racconta il pentito Nino Giuffrè, detto Manuzza, fedelissimo di Provenzano, che il suo capo gli fece intendere come tra quelle carte potesse “esserci una copia del papello“, cioè l’elenco delle richieste avanzate allo Stato per far cessare le stragi. In pratica la prova di come le istituzioni abbiano trattato con Cosa nostra.
Gli sceneggiatori di The Bad Guy fanno un passo avanti: l’archivio di Suro è la prova certa dell’accordo tra mafia e Stato. Che tipo di prova? Attenzione, altro spoiler: è una cassetta (anzi una “cassetta della minchia“) in cui sono registrate le voci di alti esponenti delle istituzioni (ministri, ufficiali del Ros dei carabinieri) mentre si mettono d’accordo con Suro nell’arco di un ventennio. Cosa succederebbe se tutto ciò dovesse essere reso pubblico? Tutto. O forse niente. Magari qualche magistrato potrebbe ordinare la distruzione di quelle registrazioni abusive, realizzate senza il consenso delle persone registrate. L’ipotesi appartiene a Luvy Bray (Claudia Pandolfi), ma nei fatti è quello che è accaduto con le intercettazioni tra Giorgio Napolitano e Nicola Mancino. Ricordate? Indagando su Mancino, la procura di Palermo si era imbattuta in quattro telefonate con l’allora presidente della Repubblica. Badate bene: quei colloqui erano irrilevanti secondo gli stessi pm, non si trattava certo della prova della Trattativa come nel caso della cassetta di The Bad Guy. Eppure la Corte costituzionale, intervenuta dopo il conflitto di poteri sollevato dal Quirinale, prese una decisione senza precedenti: le intercettazioni tra Mancino e Napolitano furono distrutte immediatamente, senza attendere il normale contraddittorio tra le parti. Poteva succedere tutto. Non successe niente.
Fu uno dei più alti momenti di tensione durante le indagini sul presunto patto tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. Secondo l’originaria ipotesi della procura di Palermo (poi non confermata dalle sentenze), quell’accordo era stato sottoscritto da Provenzano, subentrato al vertice della Cupola dopo l’arresto di Riina, negli anni delle stragi. Sarà un caso, ma nella serie Amazon il riferimento più esplicito è legato proprio al boss corleonese. Occhio, anche qui c’è un altro spoiler: Suro, infatti, alla fine viene arrestato. Ma in carcere subisce un violento pestaggio della Penitenziaria. Durante il primo colloquio con i parenti mostra evidenti difficoltà cognitive: non riesce neanche a capire come usare la cornetta che permette i dialoghi attraverso il vetro divisorio. “A papà ci rettiru lignati“, dice Teresa, la figlia del boss interpretata da Giulia Maenza. Una scena avvenuta anche nella realtà.”Pigghiasti lignate?”, chiedeva il figlio minore di Provenzano a colloquio col padre, nel dicembre 2012. “Lignate, sì. Dietro i reni…”, rispondeva il boss, anche lui a disagio mentre usava la cornetta del citofono: è una delle ultime immagini di Provenzano da vivo, pubblicata in esclusiva da Dina Lauricella di Servizio Pubblico. All’epoca si ipotizzò anche un tentato suicidio del boss, trovato con un ematoma alla testa: un vero e proprio giallo, rimasto irrisolto.
Insomma: se decine di utenti cercano su Google la storia vera di Scotellaro è perché, in effetti, gli sceneggiatori di The Bad Guy si sono riforniti dalla realtà per scrivere la serie. Il risultato è un prodotto che è stato definito la Breaking bad italiana, una versione grottesca e un po’ punk della Piovra. Chissà, forse sarebbe piaciuta molto a Leonardo Sciascia. Piacerà molto meno, invece, a chi vorrebbe rimuovere completamente i passaggi più oscuri e controversi dalla storia del nostro Paese. Ma nessuno, probabilmente, protesterà. Al massimo diranno che questa è solo una serie televisiva, una fiction grottesca, assurda e inverosimile. E in fondo su Wikipedia non c’è alcuna pagina con la storia vera di Nino Scotellaro.