"Tante persone della mia generazione non hanno ancora il passaporto. Sono nati qui, cresciuti qui, mangiano e parlano italiano, eppure..."
“Non esiste che, nel 2024, ci siano ragazzini e ragazzine che non possano completare la propria identità“. Myriam Sylla è categorica. La stella del nazionale di volley femminile oro a Parigi 2024, ha concesso a Vogue un’intervista nel giorno del suo 30esimo compleanno. La schiacciatrice della Vero Volley Milano ha lanciato il suo appello a un cambiamento nelle leggi sulla cittadinanza, che ad oggi non riconosce come italiani coloro che sono nati in Italia da genitori stranieri. Solo dopo il compimento dei 18 anni di età – e un iter burocratico spesso molto difficoltoso – si può avere la cittadinanza.
Sylla nella sua intervista ha ricordato quando anche lei non aveva la cittadinanza italiana: “Dovevo andare in questura a Lecco per rinnovare il permesso di soggiorno, e questo significava arrivare alle 5 del mattino, mettersi in coda per scrivere il proprio nome su un foglio che, se già troppo pieno, ti costringeva a tornare il giorno successivo e fare tutto daccapo“. Sylla ha poi ottenuto la cittadinanza e rappresentato l’Italia nella pallavolo, fino a diventare capitano della Nazionale (ruolo poi ceduto all’amica Danesi): è la settima giocatrice più forte al mondo secondo Volleyball World, con la maglia azzurra ha vinto un oro olimpico, un titolo europeo, un argento e un bronzo ai Mondiali.
Ma la campionessa del volley non dimentica come il problema che lei ha vissuto in passato resti ancora attuale per molte persone: “Seguo su TikTok persone della mia generazione che ancora non hanno il passaporto italiano e questo mi fa uscire di testa. Sono nati qui, cresciuti qui, mangiano e parlano italiano, eppure viene detto loro: ‘Eh no, siete nigeriani’. Magari non sanno niente del paese di origine dei loro genitori, o magari sì, ma chi se ne frega!”.
A proposito di genitori, Sylla ha poi dichiarato che “inizialmente i miei erano titubanti, ma dal momento in cui hanno compreso che lo sport era il mio sogno, lo hanno sempre appoggiato. Non ci hanno visto il possibile guadagno, oppure la realizzazione di un loro personale progetto sportivo frustrato, come spesso capita con i giovani atleti. E questo, retrospettivamente, mi colpisce perché le condizioni economiche e il Paese in cui sono cresciuti non hanno permesso loro di esaudire molti desideri”.