Distese di filari di vitigni di Chardonnay, Pinot nero e bianco impiantati in appezzamenti di terreno frequentemente delimitati da filari di alberi. E poi lingue di terra a foraggio. Aziende agricole, ma anche luoghi della cultura, come la Torre belvedere del 1843. È la Franciacorta, nel bresciano. Il Comune è quello di Passirano. Che in contrada Vallosa ospita una discarica di rifiuti speciali industriali e urbani. Non più in esercizio dal 1979. Ma è ancora in attesa di una bonifica, come ha sottolineato recentemente la consigliera regionale del M5s, Paola Pollini: “Bonifica e messa in sicurezza non sono più rimandabili”, ha detto nel corso di un sopralluogo lo scorso 21 dicembre, riportando all’attenzione generale una vicenda che però è nota, e irrisolta, da decenni.
“Una delle discariche più pericolose d’Italia. È una situazione gravissima che si conosce da quarant’anni”, aveva tra gli ultimi dichiarato Silvio Parzanini, Presidente di Legambiente Franciacorta, parlando con ilgiornaledibrescia.it a ottobre 2023. Già perché la discarica “ex cava Vallosa”, compresa nell’area Brescia-Caffaro, è stata inserita fin dal luglio 2002 tra i Siti Inquinati di Interesse Nazionale (SIN). La discarica secondo le indagini geofisiche realizzate dalla Techgea nel 2014, “si estende su 31.150 metri quadrati, con una profondità del corpo rifiuti compresa tra i -7/-8 e i -12/-13 metri, il volume stimato dei rifiuti e dei terreni contaminati è di circa 440mila metri cubi”. Tra le sostanze rilevate, i policlorobifenili (PCB), le diossine, l’arsenico e il mercurio provenienti dallo stabilimento chimico bresciano Caffaro spa – Società per l’Industria Chimica ed Elettrochimica del Caffaro che, dopo diversi passaggi societari, a gennaio 2009 è stata messa in liquidazione.
Insomma sostanze altamente inquinanti. In particolare i PCB riclassificati nel 2013 dall’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro tra i cancerogeni umani, ma anche in grado di produrre alterazioni del sistema immunitario ed endocrino. Anche per questo la questione non è rimasta senza risvolti giudiziari: l’inchiesta aperta dalla Procura di Brescia nel 2019 si è conclusa ad aprile 2024 con il processo con rito abbreviato ai vertici fino al 2011 della Caffaro, accusati di inquinamento doloso, di omesso smaltimento di scorie pericolose e di inquinamento colposo. Tutti assolti. A novembre , poi, c’è stato l’avvio di un altro procedimento ai nuovi vertici della Società bresciana accusati a vario titolo di disastro e inquinamento. L’ultima udienza è prevista per maggio 2025.
Per provvedere alla bonifica richiesta ripetutamente dai Comitati ambientalisti locali, dai sindaci di Passirano, Paderno e Ospitaletto, ma anche dai vertici del Consorzio Franciacorta, oltre che dagli abitanti dei territori coinvolti, potrebbero servire fino a 70 milioni di euro. “Chiederemo allo Stato le risorse necessarie”, ha spiegato a marzo 2024 al Giornale di Brescia l’Assessore regionale all’Ambiente Giorgio Maione. Dopo che a gennaio la Corte dei Conti aveva richiesto al ministero dell’Ambiente un aggiornamento in merito ai diversi interventi sul SIN di Brescia-Caffaro.
Ma intanto il disastro è già stato costoso. A settembre 2009 era stato stipulato un primo Accordo di Programma tra ministero dell’Ambiente, Regione, Provincia, Comuni di Brescia, di Castegnato e di Passirano per la definizione degli interventi di messa in sicurezza e successiva bonifica nel SIN Brescia-Caffaro. Per la discarica “ex cava Vallosa” l’Accordo prevedeva lo stanziamento di 450mila euro , assicurato da Comune di Passirano e Regione Lombardia, per la prosecuzione della messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda, l’esecuzione delle indagini previste dal Piano di caratterizzazione, quindi la progettazione degli interventi di messa in sicurezza permanente/bonifica del sito. Per individuare come soggetto attuatore degli interventi previsti il Comune di Passirano, si è dovuto attendere aprile 2013. Passano ancora degli anni. A febbraio 2016 la Conferenza dei servizi istruttoria e decisoria conferma il finanziamento a favore del comune di Passirano di 450mila euro, ai quali aggiunge 185.356 euro per il proseguimento del monitoraggio acque di falda. A novembre 2020 un nuovo Accordo di Programma, gli Enti sono gli stessi del 2009. E negli anni per la discarica sono stati stanziati complessivamente 3.562.721 euro dei quali 1.141.458 già liquidati.
Quella della discarica è una lunga storia nella quale si muovono con ruoli differenti, oltre che il ministero dell’Ambiente, il Comune di Passirano e la Caffaro, la Regione Lombardia e la Provincia di Brescia, ASL e ARPA, oltre che l’Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e alle Foreste (ERSAF) incaricato nel 2013 dalla Regione della messa in sicurezza e progettazione della bonifica dei terreni nelle aree agricole circostanti. Senza contare i comuni limitrofi di Ospitaletto, Paderno e Castegnato.
L’area è stata sfruttata come cava di sabbia e ghiaia fino al suo esaurimento nel 1965. Nel 1972 prende avvio l’attività di discarica per rifiuti solidi urbani, della quale si occupano dal 1978 la Italrifiuti e la Ecoservizi. Attività che prosegue fino al 1979 quando il Comune ne ordina la chiusura, dopo che l’ufficiale sanitario ha rilevato la presenza di rifiuti inquinanti. È l’inizio della fine, che arriverà di lì a pochi anni. Nel 1983 la Caffaro si autodenuncia all’Unità Socio-Sanitaria Locale, dichiarando di aver smaltito presso la discarica dei fusti metallici contenenti PCB tra il 1969 e il 1975. Soltanto le indagini geognostiche realizzate sia all’interno che all’esterno della discarica, tra settembre e ottobre 2016, ne hanno rilevato la presenza.
Nel 1987 i risultati delle analisi chimiche che la Provincia di Brescia commissiona alla società GET rilevano la presenza di PCB nelle acque superficiali e profonde, anche se in concentrazioni inferiori ai limiti delle leggi in materia. Non si fa nulla, concretamente. In compenso nel 1989 l’Assessorato Provinciale all’Ecologia esprime l’avviso che sia direttamente l’amministrazione comunale di Passirano a valutare la fattibilità di una bonifica dell’area, con il supporto finanziario della Regione. Così, perché il sito possa essere inserito nel Piano di Bonifica delle aree contaminate, nel 1990 la Provincia segnala l’area alla Regione.
Nel 1993 dallo studio dell’ADIGE, emerge “la presenza di rifiuti speciali e tossico nocivi”, ma anche concentrazioni di PCB superiori rispetto agli studi precedenti. C’è dell’altro. “Le caratteristiche litologiche del sottosuolo e la mancanza della copertura pongono a grave rischio di inquinamento le acque sotterranee”. Nel 2002 l’indagine di ASL e ARPA nelle aree esterne adiacenti alla discarica, mostra “il superamento dei limiti delle concentrazioni di PCB e mercurio nel terreno in quasi tutti i campioni prelevati, presenza più o meno rilevante di PCB nel sangue di sette persone su venti analizzate, contaminazione in alcuni degli elementi di origine animale e vegetale esaminati”.
Di conseguenza viene emessa l’ordinanza sindacale che vieta, in un raggio di 100 metri dai punti indicati da ASL e ARPA, l’alimentazione con foraggi prodotti nelle zone riconosciute contaminate, di animali destinati direttamente o con i loro prodotti al consumo umano, il pascolo degli stessi animali, l’asportazione di terreno, il commercio e il consumo di prodotti per l’alimentazione umana e animale provenienti dall’area.
A luglio 2004 il Comune ordina la recinzione della discarica perimetrata come SIN, la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza d’emergenza individuati nel progetto presentato da Cogeme e il monitoraggio della falda con l’esecuzione della prima e poi una seconda campagna di analisi. Dalle quali “risulta principalmente una contaminazione da PCB, oltre che da monoclorobenzene e metalli pesanti, ma anche da tricloroetilene, monoclorobenzene e manganese”. Da ottobre 2004 ad ottobre 2016 si succederanno 26 campagne di indagini di monitoraggio.
Nella Conferenza dei servizi decisoria di giugno 2005, poi, il ministero dell’Ambiente “sollecita gli interventi di messa in sicurezza di emergenza per le acque di falda attesi i superamenti rilevati”. Poi la Conferenza dei servizi decisoria di gennaio 2006 approva il Piano di Caratterizzazione ambientale elaborato per conto del Comune dalla ENSR Italia. Quindi, a luglio 2007 approva le specifiche tecniche dell’impianto di messa in sicurezza d’emergenza, “la cui funzione è quella di impedire la contaminazione riscontrata, minimizzando gli impatti ed impedendo la migrazione della contaminazione dal corpo acquifero superficiale alla falda freatica sottostante”.
Passano gli anni. Della bonifica nessuna traccia. Lavori di prevenzione ambientale che riguardano il Rimodellamento del terreno sopra la discarica e, quindi, la posa dello strato di copertura dei rifiuti, vengono realizzati dalla Progetto Geoambiente tra ottobre 2021 e dicembre 2022. Nonostante il fatto che già nel 1993 lo studio dell’ADIGE sottolineasse che “un elemento prioritario della bonifica, sebbene non definitivo, è rappresentato dalla copertura superficiale con terreno impermeabile e la sagomatura morfologica, onde ridurre e per quanto possibile evitare, infiltrazioni di acque meteoriche”.
Così il recente intervento, forse tardivo, sembrerebbe tutt’altro che risolutore. Secondo le analisi effettuate da ARPA, rese note a marzo 2024, si sarebbero riscontrate oltre a tracce significative di boro e nichel, soprattutto presenza di PCB 10 volte sopra il limite di legge. Con un inquinamento che avrebbe raggiunto i 17 metri di profondità. Eppure a settembre 2024 Parzanini ha denunciato di aver constatato che “che sono stati vitati di recente due appezzamenti di terreno di circa tre ettari al confine con la discarica”.