Sono pessimi i dati sulla produttività italiana diffusi oggi dall’Istat. Nel 2023 tutti gli indicatori sono risultati in calo. In particolare, la produttività del lavoro ha segnato una flessione del 2,5%: le ore lavorate (e l’occupazione) sono cresciute molto di più (+ 2,7%) del valore aggiunto dei beni e servizi realizzati (+ 0,2%). La discesa della produttività riguarda tutti i macrosettori, inclusa l’industria.

Gli unici comparti con un dato positivo sono le costruzioni (+ 4,3%) , spinte dalle agevolazioni per il settore edilizio come il superbonus e le attività artistiche e di intrattenimento (+ 3,4%) Il dato peggiore è invece quello dei servizi finanziari ed assicurativi (- 8,1%), seguito dal settore pubblico (- 3,9%), da attività professionali, scientifiche e tecniche (- 3,3%). La manifattura scende del 3,1%, il commercio del 2,8%, l’agricoltura dello 0,7%.

La marcata flessione segue un decennio di crescita lenta, con un incremento medio annuo dello 0,5% tra il 2014 e il 2023 (circa la metà della media europea. In Germania l’incremento medio è stato dell’1%, in Spagna dello 0,6%, ferma la Francia).

Il fatto che la produttività del lavoro scenda non significa affatto che gli occupati italiani lavorino meno di quelli di altri paesi. Anzi, le ore lavorate in Italia sono ben oltre la media europea. Il fatto è che lavorano con dotazioni tecnologiche e procedure meno efficienti rispetto a molti dei concorrenti esteri. Come spiega l’Istat, la flessione dipende dalla sensibile riduzione della produttività totale dei fattori (Ptf, -2,5% nel 2023) che riflette progresso tecnico, cambiamenti nella conoscenza e variazioni nell’efficienza dei processi produttivi.

In calo è pure la produttività del capitale (- 0,9%), dopo un decennio di incremento medio dell’1,6%. Del resto, come ha rilevato un recente studio, le imprese italiane sono relativamente ricche ma investono poco. I guadagni se ne vanno, per lo più, in dividendi ai soci. Non nel rinnovo degli impianti, non in miglioramenti delle condizioni salariali.

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