In undici anni la spesa dedicata al personale sanitario che lavora nel pubblico si è inesorabilmente ridotta. Dal 2012 al 2023 sono stati persi oltre 28 miliardi di euro, di cui 15,5 solo tra il 2020 e il 2023. Soldi che sarebbero dovuti servire per rinforzare gli organici di chi viene assunto come dipendente dal Servizio sanitario nazionale e che invece sono stati impiegati, in parte, per pagare dei costosissimi tappabuchi. Nel 2023, infatti, la spesa dedicata agli stipendi dei gettonisti privati è raddoppiata. Il risultato è che le condizioni di lavoro di chi resta nel Ssn continuano a peggiorare, alimentando la fuga di professionisti verso il settore privato o all’estero. Oltre ai medici di famiglia, mancano sempre più camici bianchi specializzati in discipline fondamentali per il funzionamento del sistema, come emergenza-urgenza, patologia clinica o radioterapia. E per gli infermieri la situazione è persino peggiore: quelli che lavorano nel pubblico in Italia sono ora 5,13 ogni mille abitanti, contro una media Ocse di quasi 10.

È quanto evidenziato dal rapporto della Fondazione Gimbe presentato mercoledì alla Commissione Affari Sociali della Camera. Il report descrive una crisi del personale sanitario senza precedenti. Gli errori di programmazione, il definanziamento cronico e le condizioni di lavoro proibitive fanno sì che per il Ssn sia sempre più difficile svolgere il suo compito costituzionale, quello di garantire a tutti il diritto alla salute. “Senza un adeguato rilancio delle politiche per il personale, l’offerta dei servizi sanitari ospedalieri e territoriali sarà sempre più inadeguata rispetto ai bisogni di salute delle persone”, ha dichiarato Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione, in audizione alla Commissione.

Secondo Gimbe il capitolo di spesa sanitaria relativo ai redditi da lavoro dipendente è stato quello maggiormente sacrificato nel periodo 2012-2023. In termini percentuali sulla spesa sanitaria totale, infatti, siamo passati dal 33,5% del 2012 al 30,6% del 2023. “Se la spesa per il personale dipendente si fosse mantenuta ai livelli del 2012, negli ultimi 11 anni il personale dipendente non avrebbe perso 28 miliardi, un dato che evidenzia il sacrificio economico imposto ai professionisti del Ssn”, ha commentato Cartabellotta.

Il rapporto sottolinea come la carenza di personale sanitario, unita all’impossibilità per le Regioni di superare i tetti di spesa per le assunzioni, abbia alimentato il fenomeno dei gettonisti. Questi medici e infermieri libero professionisti, reclutati tramite cooperative o società private, stipulano contratti temporanei con le aziende del Ssn che, per evitare di superare i tetti di spesa per il personale, li contabilizzano alla voce beni e servizi. Un cortocircuito che impoverisce il sistema, senza risolvere il problema. Secondo i dati diffusi dall’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), il fenomeno era già molto evidente nel 2019, con una spesa complessiva di quasi 580 milioni di euro. Ma ha raggiunto dimensioni preoccupanti nel 2023 quando, nel solo periodo gennaio-agosto 2023, ha toccato quota 477 milioni, un valore doppio rispetto all’anno precedente.

La carenza di personale sanitario, evidenziata dal rapporto della Fondazione, non è dunque solo il risultato di anni di definanziamento, ma anche di una gestione inefficace delle assunzioni e di errori di programmazione. Infatti, sebbene l’Italia si collochi sopra la media Ocse in termini di medici per mille abitanti, il numero di camici bianchi effettivamente operativi nelle strutture sanitarie pubbliche è insufficiente. Questo è dovuto a due motivi. Il primo è la grande disparità di trattamento che c’è tra i medici in servizio nel Ssn e quelli operanti nelle strutture private. Il secondo è la scarsa attrattività di alcune scuole di specializzazione. Discipline cruciali come medicina d’emergenza-urgenza, radioterapia e patologia clinica, sono gravemente carenti, con percentuali di borse di studio assegnate che non superano il 30%. La disconnessione tra la formazione accademica e le reali necessità del Ssn crea un vuoto di competenze che compromette il funzionamento del sistema.

La carenza peggiore, però, è quella che riguarda gli infermieri che lavorano nel pubblico. Nel 2022 erano in media 5,13 ogni mille abitanti. Un dato ben lontano dalla media Ocse di 9,8. A livello regionale le differenze sono enormi: mentre in Liguria si raggiungono i 7,01 infermieri per mille abitanti, in Campania si scende a soli 3,83. E la carenza è destinata ad aumentare. Nonostante il crescente bisogno, il numero di laureati in Scienze Infermieristiche è ben al di sotto degli standard internazionali: sono solo 16,4 ogni 100mila abitanti, a fronte di una media Ocse di 44,9. Numeri che, dichiara Cartabellotta, riflettono una difficoltà strutturale nell’avvicinare i giovani a questa carriera: “Senza migliorare le condizioni di lavoro, i salari e i processi di formazione di questi professionisti – conclude il presidente Gimbe – il Ssn non sarà in grado di garantire universalmente il diritto alla tutela della salute, rendendo vano qualsiasi tentativo di arginare la crisi”.

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