Di David Bowie si è scritto talmente tanto che sembra quasi superfluo pensare di poter aggiungere qualcosa di nuovo, soprattutto a nove anni dalla sua scomparsa. Ogni parola, ogni aneddoto, ogni riflessione è stata analizzata e reinterpretata fino allo sfinimento. Eppure, nonostante tutto, sento che vale la pena provarci. Perché Bowie non è stato soltanto un artista: è stato un’idea, una possibilità, un prisma che riflette luce anche oggi, trasformandola continuamente. Nei consueti nove punti di questo blog, cercherò di esplorare ciò che di lui continua a risuonare, non per chiudere il cerchio, ma per riaccendere quella scintilla che non ha mai smesso di brillare.

1. Bowie, o di come vedersi riflessi
Non ti restituiva mai l’immagine che conoscevi di te stesso. Ti mostrava altro: la parte nascosta, quella che facevi fatica a guardare. Ziggy Stardust non era solo un alieno, ma il nostro alter ego più autentico, quello che avremmo voluto liberare ma che tenevamo chiuso a chiave. Bowie ci metteva davanti uno specchio, ma ogni volta ci lasciava il dubbio: stai vedendo davvero quello che sei? La magia stava lì: nel gioco di riflessi che ti obbligava a fare i conti con te stesso, con quello che eri o volevi essere.

2. L’uomo che veniva da un altro pianeta
Lo spazio, con lui, non era solo un luogo fisico, ma una condizione dell’anima. *Life on Mars?* non è mai stata una semplice canzone: era un viaggio verso un mondo migliore, quello che immaginavamo quando tutto sembrava troppo stretto. Bowie parlava di viaggi interstellari, ma raccontava quel vuoto interiore che ci portiamo dentro, la nostalgia di ciò che non conosciamo ancora. Veniva da un futuro che aveva già immaginato, e ci invitava a seguirlo. Lui era quel “altrove” che non osiamo raggiungere, ma di cui sentiamo un bisogno profondo.

3. Cambiare per restare veri
Non c’era mai un Bowie uguale a quello precedente. Ogni volta che pensavi di averlo capito, lui scivolava via, si trasformava. Glam, elettronica, soul, industrial: non era mai prevedibile. Cambiare non era un modo per adattarsi, ma per essere fedele a sé stesso. Ogni metamorfosi lasciava dietro di sé una traccia indelebile. Non era una questione di moda o di marketing: il cambiamento era il suo linguaggio, la sua essenza. Con Bowie, l’identità non era mai un punto fermo, ma una traiettoria in continua evoluzione.

4. Berlino: ferite e rinascite
Lì Bowie si è perso, e lì si è ritrovato. Con Low, Heroes e Lodger ha trasformato i suoi demoni in musica. Berlino non gli ha regalato salvezza, ma gli ha dato un luogo dove affrontare il dolore e rinascere. La città divisa, fredda, rifletteva le sue lacerazioni interiori, ma anche la possibilità di ricominciare. Da quel dolore è nato un suono che ancora oggi ci parla, fatto di silenzi, tensioni e aperture improvvise. Forse Berlino è stata il suo laboratorio emotivo e creativo?

5. Il teatro della vita
Sul palco non interpretava, viveva. Ogni performance era una porta verso un mondo in cui la finzione era più vera della realtà. Non c’era distinzione tra l’uomo e il personaggio, perché tutto faceva parte di una visione più grande. Non era spettacolo, era vita. Bowie era sempre e solo se stesso, anche quando sembrava essere chiunque. Ogni concerto, ogni esibizione era un’esperienza immersiva, un viaggio dentro la sua mente e il suo cuore. Dimenticatevi i filtri, squando si parla del Duca Bianco, la sincerità non è un optional!

6. L’addio più potente
Che cosa ci ha insegnato con *Blackstar*? Semplice, come è possibile affrontare la fine. Non ha cercato di nascondere la malattia, ma l’ha trasformata in arte. ‘Look up here, I’m in heaven’: non era una resa, era un invito. Anche il suo addio è stato un gesto di creazione, una lezione su come si può restare vivi, anche quando tutto sta per finire. *Blackstar* non è solo un album, come detto da tanti è un testamento artistico e umano. Bowie ha usato il linguaggio che conosceva meglio per dirci addio: la musica. E in quel gesto c’era tutta la sua grandezza.

7. Sempre contemporaneo
Non faceva moda, ma tendenza. Bowie non inseguiva il tempo, lo ridefiniva, oltre ad anticiparlo. Ogni disco, ogni immagine, ogni gesto era un passo avanti rispetto a tutti gli altri. Era sempre nel presente, ma il suo presente sembrava il futuro. Non si adattava, plasmava. Non c’è mai stato un momento in cui fosse fuori luogo, perché il luogo lo creava lui. Il suo segreto? Non rincorrere mai il pubblico, semmai provava a condurlo dove lui si trovava a suo agio, dove nessuno osava anche solo immaginare di andare.

8. L’ambiguità come forza
Non cercava mai di essere definito. Uomo, donna, alieno, il Duca Bianco: Bowie sapeva vivere entro e fuori dai margini, anche nei confini sfocati dove nessuno immagina di poter stare. In un mondo ossessionato dalle etichette, lui ci ha insegnato la bellezza di restare indefinibili. Non si può racchiudere Bowie in una categoria, perché lui era tutte e nessuna, un inno alla libertà di essere. La sua ambiguità era un’arma potente, un modo per smontare le convenzioni e rivelare la complessità dell’identità umana senza doverla necessariamente dichiarare. Con Bowie, tutto era possibile, e nulla era scontato.

9. Siamo polvere di stelle
Bowie non se n’è mai andato. È rimasto nei suoni, nei colori, nelle idee che continuano a germogliare; anche dentro questo scritto. È nelle notti in cui guardiamo il cielo e ci chiediamo se davvero ci sia vita su Marte. Non serve cercarlo: è ovunque. Ci ha lasciato una scia luminosa che non si spegnerà mai. Come disse una volta, siamo tutti polvere di stelle. E lui, di quella polvere, era il frammento più brillante. Guardare una stella non sarà mai più lo stesso, perché sappiamo che una di quelle continua a chiamarsi David.

Come di consueto, gli articoli di questo blog sono accompagnati da una playlist dedicata che potrete ascoltare gratuitamente nel mio account di Spotify. Buon Ascolto.

9 Canzoni 9 … di David Bowie

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