Sembra che all’origine degli incendi che stanno infuriando a Los Angeles e nella California meridionale ci sia l’impatto dei cambiamenti climatici sul fenomeno meteorologico dei venti di Santa Ana. Mesi di siccità hanno asciugato la vegetazione, rendendola pronta a bruciare come paglia. Siccità a sua volta legata al riscaldamento degli oceani. Trump, però, che vuole uscire dagli accordi di Parigi, se la prende con lo sperlano (un piccolo pesce) e con il governatore della California che avrebbe sprecato risorse idriche per proteggerlo.
Il filosofo dell’economia giapponese Kohei Saito riscopre nel giovane Marx il concetto di “alienazione”: alienazione non solo dal prodotto del proprio lavoro e da sé, ma dalla natura, dall’ambiente. Rivisita la tensione verso il recupero di quell’unità perduta fra gli esseri umani e la natura, e mostra come la distruzione ambientale sia parte della contraddizione intrinseca del capitalismo. Lo sfruttamento del lavoro umano e quello delle risorse naturali procedono in parallelo: il capitale “non si dà pensiero della durata della vita della forza lavoro”. Solo gli interessa “il massimo che ne può mettere in moto in una giornata lavorativa”.
Allo stesso modo, sfrutta brutalmente le forze naturali gratuite e insegue le risorse più economiche. Lo fa senza darsi pensiero di inquinare aria e acqua, alterare il clima, desertificare ed esaurire.
La ricerca di sempre maggiori profitti, per esempio per via tecnologica, avviene nella continua negazione del “metabolismo” della natura. “Dopo di noi il diluvio” è la logica di questo sistema a continua concorrenza. Quindi, la distruzione non si può fermare finché non viene posto in questione il sistema stesso. Anche perché quello stesso “noi” sembra sempre più aleatorio. Presuppone che qualcuno – i più ricchi, i più potenti, i più fortunati o semplicemente quelli che vivono oggi – possa sempre ritagliarsi una nicchia di immunità alla catastrofe, o semplicemente precederla.
Ma le ville incendiate di Mel Gibson, Paris Hilton, Ed Harris e Billy Crystal suggeriscono che, quando il meteorite impatta su Hollywood, nessuno è più realmente al sicuro.
Sono partito da una rilettura ecosocialista di Marx, perché non credo in un ecologismo romantico. Un ecologismo che si possa conciliare con il modo rapace e ingiusto in cui funziona la nostra economia. E perché credo che la destra egemone da una sponda all’altra dell’Atlantico sia completamente dentro quella logica dell’après nous le déluge.
E il diluvio, in senso letterale, è già qui.
Esiste una geopolitica del cambiamento climatico. Alcuni, addirittura, per posizione geografica e aspettative economiche, potrebbero trarne beneficio. E le posizioni del Nord e del Sud del mondo restano opposte – lo ha dimostrato il fallimento della Cop 29 di Baku – come estremamente diversi sono gli effetti del cambiamento a seconda di dove si vive. Il pianeta – come ha scritto lucidamente Ferdinando Cotugno – resta un orfano politico, perché i negoziati per il clima sono costruiti sulle logiche novecentesche dello Stato nazione e del conflitto fra gli interessi sovrani, del tutto inadeguate allo scopo.
Purtroppo, la battaglia contro la CO2 potrebbe essere già persa: mentre scrivo, la concentrazione continua ad aumentare, negli ultimi anni dello 0,8%. Se anche diminuisse dell’1%, dovremmo aspettare il 2160 per arrivare alla neutralità carbonica. Non possiamo permetterci di aspettare tanto. Ma non per questo siamo autorizzati ad allargare le braccia.
L’Italia, dal cambiamento climatico, ha solo da perdere. L’ultimo disastro in Emilia-Romagna dovrebbe averci insegnato definitivamente la nostra fragilità geofisica.
Possiamo e dovremo intervenire sul territorio per prevenire e adattarci a vivere in condizioni critiche; sopportare carenze, come quella idrica, o eccessi: la siccità, gli eventi meteorologici estremi. Possiamo e dobbiamo legiferare nel segno della giustizia e della redistribuzione: chi inquina paga, chi gode di privilegi ad alto impatto ambientale ne sarà privato.
Possiamo e dovremo fare a meno di grandi opere impattanti, edificazioni e consumo di suolo. Acquisire una nuova coscienza sulla biodiversità, sull’habitat, sugli elementi, sugli alimenti, sul tempo.
Tuttavia, vediamo chiaramente che la destra al governo del Paese ha scientemente rimosso il clima dalla sua agenda politica. Davanti alle tragedie – alluvioni, terremoti, siccità – non arriva mai l’obbligo morale a fermarsi. “The business must go on”. E la criminalizzazione degli ecoattivisti ne è la prova lampante. Eppure, la pandemia ha fatto emergere tutte le criticità del modello economico neoliberista: un modello basato sui passaggi “take, make, consume and dispose” (prendi, produci, consuma e scarta).
Ma i negazionisti sono coerenti con sé stessi: rifiutano un Programma nazionale di interventi per l’adattamento ai cambiamenti climatici per tenersi stretto il loro Ponte.
Il problema è, come dicevo all’inizio, che disprezzo per l’ecosistema e disprezzo per l’uomo camminano insieme. Perciò la medesima destra ha dimenticato anche le persone. Lo abbiamo udito tutti durante la conferenza stampa fiume di Giorgia Meloni: una scaltra operazione di rimozione della realtà. Ha dimenticato le persone, dicevo. Quasi tutte, tranne qualcuno. Non “pescatori e operai”, come diceva Giorgetti. Piuttosto evasori e guerrafondai; armi, industria fossile e grandi monopoli privati.
Io credo che Atreju si incazzerebbe se solo sapesse: sono loro il Nulla che avanza. Il Nulla che spazza via la speranza e la sostituisce con la menzogna; che induce “gli uomini a comperare cose di cui non hanno bisogno, o a odiare cose che non conoscono, o a creder cose che li rendono ubbidienti, o a dubitare di cose che li potrebbero salvare” (anche noi abbiamo letto Ende). Hanno sposato la peggior versione del capitalismo neoliberista, oligarchico e bellicista. Quella in cui dall’alto non deve precipitare nemmeno una goccia. E – per chiudere il cerchio – quella che ha scelto il clima come nuovo asse di conflitto, perché ha capito che oggi la porta di accesso a una trasformazione radicale alla società è la transizione ecologica.
Le destre che hanno sbancato alle elezioni europee hanno tutte nel mirino il Green Deal europeo. I gruppi che siedono a Bruxelles, Conservatori e riformisti (Ecr) e Identità e democrazia (Id), su questo vanno quasi sempre d’accordo. Dal Parlamento europeo ai Municipi tutto viene contestato: i quartieri a basso traffico, le città da 15 minuti, le zone 30 Km/h, le pompe di calore, le piste ciclabili, i suv, la carne coltivata, lo stop agli allevamenti intensivi, le auto elettriche, le energie rinnovabili.
Come ci salveremo, allora? Brecht direbbe di non esitare, anche se “il nemico ci sta innanzi più potente che mai”. Di non aspettarci altre risposte oltre alla nostra. Di certo la sfida è anche immaginare la rinascita, il mondo nuovo dopo la transizione ecologica, una cosmogonia. Scatenare più desiderio. Perché la clessidra che scandisce il tempo non è una sentenza di apocalisse, ma una gigantesca opportunità, quella di partecipare da protagonisti alla più grande esperienza collettiva dei nostri tempi: precisamente, salvarci.
Così, mi viene in mente una poesia di Mariangela Gualtieri: Avanza una torbida corrente/ ha messo guasti semi nelle teste/ coltiva troppo malati orti e pieghe/ dove altro torbido in attesa/ affila le sue prese./ Datemi allora una più chiara voce/ datemi mani slegate e una consegna/ di finestre spalancate. E correnti di voce.
Marco Grimaldi
Attivista e Deputato, Alleanza Verdi Sinistra
Politica - 14 Gennaio 2025
La destra ha scientemente rimosso il clima dall’agenda politica. Come ci salveremo, allora?
Sembra che all’origine degli incendi che stanno infuriando a Los Angeles e nella California meridionale ci sia l’impatto dei cambiamenti climatici sul fenomeno meteorologico dei venti di Santa Ana. Mesi di siccità hanno asciugato la vegetazione, rendendola pronta a bruciare come paglia. Siccità a sua volta legata al riscaldamento degli oceani. Trump, però, che vuole uscire dagli accordi di Parigi, se la prende con lo sperlano (un piccolo pesce) e con il governatore della California che avrebbe sprecato risorse idriche per proteggerlo.
Il filosofo dell’economia giapponese Kohei Saito riscopre nel giovane Marx il concetto di “alienazione”: alienazione non solo dal prodotto del proprio lavoro e da sé, ma dalla natura, dall’ambiente. Rivisita la tensione verso il recupero di quell’unità perduta fra gli esseri umani e la natura, e mostra come la distruzione ambientale sia parte della contraddizione intrinseca del capitalismo. Lo sfruttamento del lavoro umano e quello delle risorse naturali procedono in parallelo: il capitale “non si dà pensiero della durata della vita della forza lavoro”. Solo gli interessa “il massimo che ne può mettere in moto in una giornata lavorativa”.
Allo stesso modo, sfrutta brutalmente le forze naturali gratuite e insegue le risorse più economiche. Lo fa senza darsi pensiero di inquinare aria e acqua, alterare il clima, desertificare ed esaurire.
La ricerca di sempre maggiori profitti, per esempio per via tecnologica, avviene nella continua negazione del “metabolismo” della natura. “Dopo di noi il diluvio” è la logica di questo sistema a continua concorrenza. Quindi, la distruzione non si può fermare finché non viene posto in questione il sistema stesso. Anche perché quello stesso “noi” sembra sempre più aleatorio. Presuppone che qualcuno – i più ricchi, i più potenti, i più fortunati o semplicemente quelli che vivono oggi – possa sempre ritagliarsi una nicchia di immunità alla catastrofe, o semplicemente precederla.
Ma le ville incendiate di Mel Gibson, Paris Hilton, Ed Harris e Billy Crystal suggeriscono che, quando il meteorite impatta su Hollywood, nessuno è più realmente al sicuro.
Sono partito da una rilettura ecosocialista di Marx, perché non credo in un ecologismo romantico. Un ecologismo che si possa conciliare con il modo rapace e ingiusto in cui funziona la nostra economia. E perché credo che la destra egemone da una sponda all’altra dell’Atlantico sia completamente dentro quella logica dell’après nous le déluge.
E il diluvio, in senso letterale, è già qui.
Esiste una geopolitica del cambiamento climatico. Alcuni, addirittura, per posizione geografica e aspettative economiche, potrebbero trarne beneficio. E le posizioni del Nord e del Sud del mondo restano opposte – lo ha dimostrato il fallimento della Cop 29 di Baku – come estremamente diversi sono gli effetti del cambiamento a seconda di dove si vive. Il pianeta – come ha scritto lucidamente Ferdinando Cotugno – resta un orfano politico, perché i negoziati per il clima sono costruiti sulle logiche novecentesche dello Stato nazione e del conflitto fra gli interessi sovrani, del tutto inadeguate allo scopo.
Purtroppo, la battaglia contro la CO2 potrebbe essere già persa: mentre scrivo, la concentrazione continua ad aumentare, negli ultimi anni dello 0,8%. Se anche diminuisse dell’1%, dovremmo aspettare il 2160 per arrivare alla neutralità carbonica. Non possiamo permetterci di aspettare tanto. Ma non per questo siamo autorizzati ad allargare le braccia.
L’Italia, dal cambiamento climatico, ha solo da perdere. L’ultimo disastro in Emilia-Romagna dovrebbe averci insegnato definitivamente la nostra fragilità geofisica.
Possiamo e dovremo intervenire sul territorio per prevenire e adattarci a vivere in condizioni critiche; sopportare carenze, come quella idrica, o eccessi: la siccità, gli eventi meteorologici estremi. Possiamo e dobbiamo legiferare nel segno della giustizia e della redistribuzione: chi inquina paga, chi gode di privilegi ad alto impatto ambientale ne sarà privato.
Possiamo e dovremo fare a meno di grandi opere impattanti, edificazioni e consumo di suolo. Acquisire una nuova coscienza sulla biodiversità, sull’habitat, sugli elementi, sugli alimenti, sul tempo.
Tuttavia, vediamo chiaramente che la destra al governo del Paese ha scientemente rimosso il clima dalla sua agenda politica. Davanti alle tragedie – alluvioni, terremoti, siccità – non arriva mai l’obbligo morale a fermarsi. “The business must go on”. E la criminalizzazione degli ecoattivisti ne è la prova lampante. Eppure, la pandemia ha fatto emergere tutte le criticità del modello economico neoliberista: un modello basato sui passaggi “take, make, consume and dispose” (prendi, produci, consuma e scarta).
Ma i negazionisti sono coerenti con sé stessi: rifiutano un Programma nazionale di interventi per l’adattamento ai cambiamenti climatici per tenersi stretto il loro Ponte.
Il problema è, come dicevo all’inizio, che disprezzo per l’ecosistema e disprezzo per l’uomo camminano insieme. Perciò la medesima destra ha dimenticato anche le persone. Lo abbiamo udito tutti durante la conferenza stampa fiume di Giorgia Meloni: una scaltra operazione di rimozione della realtà. Ha dimenticato le persone, dicevo. Quasi tutte, tranne qualcuno. Non “pescatori e operai”, come diceva Giorgetti. Piuttosto evasori e guerrafondai; armi, industria fossile e grandi monopoli privati.
Io credo che Atreju si incazzerebbe se solo sapesse: sono loro il Nulla che avanza. Il Nulla che spazza via la speranza e la sostituisce con la menzogna; che induce “gli uomini a comperare cose di cui non hanno bisogno, o a odiare cose che non conoscono, o a creder cose che li rendono ubbidienti, o a dubitare di cose che li potrebbero salvare” (anche noi abbiamo letto Ende). Hanno sposato la peggior versione del capitalismo neoliberista, oligarchico e bellicista. Quella in cui dall’alto non deve precipitare nemmeno una goccia. E – per chiudere il cerchio – quella che ha scelto il clima come nuovo asse di conflitto, perché ha capito che oggi la porta di accesso a una trasformazione radicale alla società è la transizione ecologica.
Le destre che hanno sbancato alle elezioni europee hanno tutte nel mirino il Green Deal europeo. I gruppi che siedono a Bruxelles, Conservatori e riformisti (Ecr) e Identità e democrazia (Id), su questo vanno quasi sempre d’accordo. Dal Parlamento europeo ai Municipi tutto viene contestato: i quartieri a basso traffico, le città da 15 minuti, le zone 30 Km/h, le pompe di calore, le piste ciclabili, i suv, la carne coltivata, lo stop agli allevamenti intensivi, le auto elettriche, le energie rinnovabili.
Come ci salveremo, allora? Brecht direbbe di non esitare, anche se “il nemico ci sta innanzi più potente che mai”. Di non aspettarci altre risposte oltre alla nostra. Di certo la sfida è anche immaginare la rinascita, il mondo nuovo dopo la transizione ecologica, una cosmogonia. Scatenare più desiderio. Perché la clessidra che scandisce il tempo non è una sentenza di apocalisse, ma una gigantesca opportunità, quella di partecipare da protagonisti alla più grande esperienza collettiva dei nostri tempi: precisamente, salvarci.
Così, mi viene in mente una poesia di Mariangela Gualtieri: Avanza una torbida corrente/ ha messo guasti semi nelle teste/ coltiva troppo malati orti e pieghe/ dove altro torbido in attesa/ affila le sue prese./ Datemi allora una più chiara voce/ datemi mani slegate e una consegna/ di finestre spalancate. E correnti di voce.
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Roma, 18 gen. (Adnkronos) - "Dopo anni di damnatio memoriae qualcuno si ricorda del riformismo di Craxi e del fatto che fosse un uomo di sinistra. Le sue posizioni in politica estera, la fedeltà all’Alleanza atlantica ma senza subordinazione agli Stati Uniti, la grande apertura verso il sud del mondo, le riforme istituzionali, la necessità della Grande riforma, le politiche economiche e sociali, l'atteggiamento anche critico nei confronti dell'Europa. Tutti temi che anticiparono le grandi questioni di una moderna sinistra riformista. Alcune sue scelte possono essere controverse ma rinnegare il suo contributo riformatore è un falso storico inaccettabile". Così la senatrice Raffaella Paita, coordinatrice nazionale di Italia viva.
Roma, 18 gen. (Adnkronos) - "Questa mattina , accogliendo anche una proposta del presidente della Comunità ebraica De Paz, dalla finestra di Palazzo D'Accursio a Bologna sventolano affiancate tre bandiere: quella israeliana, quella palestinese e la bandiera della pace". Lo afferma Emanuele Fiano, presidente di Sinistra per Israele, che, aggiunge, "plaude a questa decisione del sindaco di Bologna, che dà rappresentazione all’unica possibile soluzione per giungere ad una pace duratura: il riconoscimento ad entrambi i popoli, israeliano e palestinese, del pieno diritto di autodeterminarsi e di vivere in un proprio Stato indipendente in pace e sicurezza".
Agrigento, 18 gen.(Adnkronos) - "Agrigento, con l’isola di Lampedusa e i comuni della provincia, ha assunto come ispirazione, riferimento tematico e obiettivo di questo anno la relazione fra l’individuo, il prossimo e la natura, ponendo come fulcro l’accoglienza e la mobilità. Il programma delle iniziative presentato a un pubblico nazionale e internazionale è di grande interesse. Partendo dalla straordinaria eredità culturale del territorio, infatti, valorizza una variegata offerta culturale, nella quale tradizione, intersezioni e contaminazioni culturali consentono di definire una dimensione innovativa che guarda con fiducia allo sviluppo socio-economico che, con fatica ma con determinazione, la Sicilia ha già avviato". È questo uno dei passaggi centrali del saluto del presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, nella cerimonia di apertura di Agrigento Capitale italiana della Cultura 2025, che si è svolta questa mattina al Teatro Pirandello, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, del ministro della Cultura, Alessandro Giuli, del presidente dell'Ars, Gaetano Galvagno, del sindaco di Agrigento, Francesco Micciché, del commissario straordinario del Libero Consorzio di Agrigento, Giovanni Bologna e di tutte le autorità locali.
"Di assoluto rilievo - ha aggiunto il presidente Schifani, interrotto più volte da applausi - è il coinvolgimento attivo delle giovani generazioni, in una terra che troppe energie perde ancora a causa dell’emigrazione, affinché la cultura possa rappresentare un caposaldo della crescita personale e dell’intera comunità. Il titolo di Capitale della Cultura, che si è ormai consolidato dopo tante edizioni, offrirà ad Agrigento e all’intera Sicilia l’opportunità di rinsaldare e far conoscere le proprie radici, mostrandole agli italiani e agli stranieri che, siamo certi numerosi, verranno a visitarla".
"Da Agrigento, mentre nel Mediterraneo inizia a spirare un flebile vento di pace, la Capitale italiana della Cultura darà l'opportunità di far conoscere quell'incrocio di civiltà che è stato e che è – ha sottolineato - grazie alla capacità di comporre le differenze, di metterle a sistema, di ricondurre le antitesi a sintesi proprio attraverso la cultura e la sua bellezza senza tempo" "Il governo della Regione - ha continuato il governatore - ha avviato un’azione preparatoria di questo anno particolare promuovendo il concerto natalizio trasmesso dalla Valle dei templi in televisione. Un evento che ha avuto un significativo successo a livello nazionale. Il rilevante sostegno finanziario offerto dalla Regione è giustificato dalla convinzione che questo importante investimento culturale sia una straordinaria opportunità per tutta la Sicilia, così come lo sarà Gibellina prima Capitale italiana dell’Arte contemporanea nel 2026".
"Ad Agrigento, di fronte a questo suggestivo “mare africano, immenso e geloso”, inizia oggi un nuovo cammino. E sarà intersecato da opportunità che occorre cogliere, da sogni operosi da trasformare in nuove iniziative culturali ed imprenditoriali, sorrette dall’impegno per realizzazioni concrete. Questa antica Città – ha proseguito Schifani - come la Sicilia intera, è culla della cultura, della civiltà, della filosofia, della letteratura, del diritto, pur se tra le tremende contraddizioni delle difficoltà economiche e del peso della criminalità mafiosa, i due angeli neri dai quali ci stiamo progressivamente affrancando con una scelta di popolo che si è alimentata col sacrificio di eroi che hanno offerto la loro vita. Pirandello diceva di esser nato in Sicilia e che qui “l’uomo nasce isola nell’isola e rimane tale fino alla morte”".
"Proprio partendo dalla consapevolezza di sé, del proprio retaggio storico, dell’immensa eredità culturale ricevuta, del prezioso ecosistema da preservare e tramandare alle future generazioni - ha concluso il presidente Schifani - ci si deve aprire all’altro, alla comunità, alla natura, al confronto, spesso misterioso, con la diversità (culturale, religiosa, etnica), alla natura. Una visione relazionale, di accoglienza, di dialogo che è l’antico retaggio di un’identità plurale condivisa. Noi in Sicilia facciamo così da secoli. Ed Agrigento potrà essere ancora una volta testimonianza ed emblema dalla cultura siciliana ed italiana".
Roma, 18 gen. (Adnkronos) - “La Procura smentisce la ricostruzione della sinistra sulla morte del povero Ramy. Una ricostruzione che ha alimentato un clima di odio e violenza nei confronti delle nostre Forze dell’Ordine che invece meritano vicinanza e rispetto. È anche per questo che Fratelli d’Italia sostiene l’approvazione del ddl sicurezza”. Così ai tg Galeazzo Bignami, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera.
Roma, 18 gen. (Adnkronos) - "Da Ruffini sono venute oggi parole misurate e rispettose degli avversari, secondo lo stile di un civile servitore che ha avuto anche la stima della destra. La sua sfida va raccolta anche nel centrodestra: serve una nuova forza di ispirazione cristiana che razionalizzi una presenza dei cattolici fin qui disordinata, scomposta e politicamente irrilevante". Così il presidente della Dc Gianfranco Rotondi.
Roma, 18 gen. (Adnkronos) - "Sono contento che il sindaco della città di Bologna, Matteo Lepore, abbia deciso l’esposizione dal Palazzo municipale della bandiera israeliana e di quella palestinese. ‘Due popoli e due Stati’ è la vocazione tradizionale della politica estera italiana ed è il rinnovato impegno che dobbiamo assumere oggi, in un momento di turbolenze assai preoccupanti per la pace nel mondo. Non basta un accordo di cessate il fuoco emergenziale: è necessario intraprendere con coraggio la strada della convivenza stabile e duratura. L’Europa faccia finalmente sentire la sua voce con maggiore incisività. Il gesto simbolico del Comune di Bologna sia di auspicio per tutti”. Lo scrive Pier Ferdinando Casini su Facebook.
Agrigento, 18 gen. (Adnkronos) - All’uscita nel cortile del teatro Pirandello di Agrigento, al termine della cerimonia per Agrigento Capitale della Cultura, l’orchestra ha suonato al passaggio del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, le musiche di 'Nuovo cinema Paradiso' e il Capo dello Stato si è fermato per qualche istante ad ascoltare. Poi è uscito a salutare i cittadini che hanno assistito alla cerimonia davanti al maxischermo.