Una crisi senza fine, su cui la politica continua a balbettare. Lo scorso novembre, fa sapere l’Istat, la produzione industriale italiana è calata in termini tendenziali per il ventiduesimo mese consecutivo. L’ultimo dato, corretto per gli effetti di calendario, è un -1,5% anno su anno, che segue il -3,5% di ottobre. Bisogna risalire la serie fino a gennaio 2023 per trovare un segno “più”. “Prosegue la lunga fase di contrazione dell’indice”, commenta l’istituto di statistica. Si registrano incrementi per l’energia (+4,3%) e i beni di consumo (+2,6%), tra cui alimentari e prodotti farmaceutici, ma cala la produzione di beni intermedi (-2,5%) e strumentali (-4,9%). Nell’elenco delle maggiori flessioni spiccano ancora una volta la fabbricazione di mezzi di trasporto (-13,8%), che risente del periodo nero di Stellantis, e quella di macchinari e attrezzature (-6,2%). Rispetto a ottobre l’indice destagionalizzato aumenta invece dello 0,3%.

“Per la 22esima volta, siamo certi che nessun Ministro, né tantomeno la Presidente del Consiglio Meloni, commenterà l’ennesimo calo. Il governo commenta, reinterpretandoli, solo i dati che aiutano a sostenere la falsa e ormai stanca narrazione di un Paese in crescita, con un ruolo internazionale mai visto”, commenta Pino Gesmundo, segretario confederale della Cgil, a proposito dei dati diffusi oggi dall’Istat. “Invece di provare a costruire un vero e proprio piano industriale nazionale, il Governo sta scegliendo irresponsabilmente di sostenere e accompagnare la distruzione dell’apparato industriale e manifatturiero del Paese”.

La stessa Istat nella nota sull’economia italiana aggiunge che nei primi dieci mesi del 2024 le esportazioni in valore sono in lieve calo a seguito di una riduzione dei volumi esportati più ampia dell’aumento dei valori medi unitari. Sull’andamento dell’export in valore ha inciso il calo delle vendite dirette verso i paesi Ue, che risentono della debolezza della crescita economica nell’area, e di quelle dirette verso alcuni dei principali paesi extra Ue, fra cui gli Stati Uniti, la Svizzera e la Cina. Inoltre a novembre si è osservato un nuovo calo del commercio al dettaglio sia in valore (-0,4%) sia in volume (-0,6%).

Intanto da un’indagine di Bankitalia sulle aspettative di inflazione e crescita, condotta tra fine novembre e metà dicembre tra imprese con almeno 50 addetti, emerge che i giudizi sulla situazione economica generale sono peggiorati. La percentuale di aziende che ha espresso valutazioni negative è salita al 30%, da 21% nell’indagine precedente. Nelle valutazioni delle imprese la domanda si è indebolita, in particolare quella estera e quella rivolta al comparto dei servizi. “Le prospettive sulle proprie condizioni operative a breve termine sono complessivamente sfavorevoli“, scrive via Nazionale. “Vi incidono l’incertezza economico-politica e, in misura più contenuta, i timori sull’andamento dei prezzi delle materie prime energetiche e, specialmente tra le imprese esportatrici, sulle politiche circa gli scambi commerciali internazionali“, leggi i dazi minacciati da Donald Trump.

Le imprese prevedono comunque un’espansione degli investimenti nella prima metà del 2025. Le condizioni di accesso al credito sono valutate invariate e la posizione complessiva di liquidità ancora soddisfacente. La maggior parte delle imprese prevede di mantenere invariata la propria forza lavoro. La crescita dei prezzi di vendita si è stabilizzata su livelli contenuti nei servizi e nell’industria in senso stretto. Nelle costruzioni è diminuita, rimanendo tuttavia più sostenuta rispetto agli altri comparti. Nei prossimi 12 mesi la dinamica dei listini resterebbe sostanzialmente stabile in tutti i settori, “a fronte di attese di aumenti salariali contenuti”.

Tuttavia stando alla nota Istat sull’economia italiana a dicembre la quota di imprese che intende mantenere stabili i propri listini nei prossimi tre mesi si è ridotta sia nel comparto delle costruzioni (dal 92,1% al 90,5%), sia in quello manifatturiero (da 85,1% a 82,7%) e dei servizi (dal 86,7% al 83,7%). In questi ultimi due comparti aumenta la quota di imprese che prevedono un aumento: dal 9,4% al 12,2% nella manifattura e dal 9% al 11,8% nei servizi.

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