Il mondo dei videogiochi non è solo intrattenimento, ma può diventare uno strumento potente di sensibilizzazione e inclusione. Questo è il caso di Just Dance 2025 Edition, l’ultima edizione del celebre videogioco targato Ubisoft, che ha introdotto una coreografia ispirata al tema dell’ADHD. Realizzata sulle note di BANG BANG! (My Neurodivergent Anthem) del produttore Galantis (star della musica elettronica), questa mappa speciale non solo celebra la neurodiversità, ma invita i giocatori a riflettere su una condizione che coinvolge milioni di persone in tutto il mondo.

L’ADHD (disturbo da deficit di attenzione/iperattività) colpisce principalmente bambini e ragazzi, ma nella maggior parte dei casi i sintomi persistono anche in età adulta. Negli Stati Uniti, ad esempio, si stima che circa l’11% dei giovani tra i 3 e i 17 anni soffra di ADHD (fonte: Cdc). Secondo diversi studi di autorità sanitarie in Italia si calcola che a soffrire di questo disturbo sia circa il 3 per cento di bambini e ragazzini tra i 5 e 17 anni. Questo disturbo, caratterizzato da difficoltà di attenzione, impulsività e regolazione del comportamento, può rendere complesso l’adattamento alle richieste dell’ambiente e la gestione delle relazioni, evidenziando l’importanza di una maggiore consapevolezza sociale.

Per comprendere meglio il valore educativo e sociale di questa iniziativa, abbiamo avuto il piacere di parlare con Martina Migliore, psicologa specializzata in psicoterapia cognitivo comportamentale e direttrice Formazione e Sviluppo di Serenis, una delle piattaforme digitali più innovative nel campo del benessere mentale. Con la sua lunga esperienza nella formazione e nel trattamento dell’ADHD, Migliore spiega a ilfattoquotidiano.it come i videogiochi possano trasformarsi in uno strumento di sensibilizzazione, promuovendo empatia, inclusività e accettazione sociale.

Dottoressa Migliore, in che modo strumenti di intrattenimento come i videogiochi, nello specifico Just Dance 2025 Edition, possono effettivamente contribuire alla sensibilizzazione sull’ADHD e al miglioramento della consapevolezza sociale?
La larga diffusione dei videogiochi, in diversi target di età (non solo ragazzini), porta ad ampliare il pubblico sensibile: se inseriamo in un contesto così ampio e diffuso un tema importante come quello dell’ADHD, e lo facciamo in un modo accessibile, divertente e non patologizzante, abbiamo l’opportunità di aumentare la consapevolezza e l’empatia. Un po’ come accade con l’inserimento di figure di altre etnie oppure omosessuali, in reboot di film o serie tv: è un modo per normalizzarne la presenza e sensibilizzare su problematiche di esclusione.

Quali caratteristiche della coreografia dedicata in Just Dance 2025 Edition possono aiutare a raccontare i diversi stadi dell’ADHD e a promuovere l’empatia verso chi vive con questo disturbo?
La coreografia, basata sul brano BANG BANG! (My Neuro Divergent Anthem) di Galantis, cioè Christian “Bloodshy” Karlsson, che ha appunto l’ADHD e ha voluto mandare un messaggio di sensibilizzazione, mostra gli aspetti di velocità, cambi repentini di movimento e impulsività dell’iperattività legata ad un tipo di ADHD, quello con ipercinesi prevalente. Non è semplice comprendere la difficoltà di queste persone ad interfacciarsi con il mondo e con le sue regole: questo è un modo per sperimentarlo in prima persona. È anche importante per fare una distinzione: essere “vivaci” o “distratti”, non vuol dire avere una diagnosi di ADHD: questo significherebbe banalizzare una problematica reale.

Pensa che l’uso di videogiochi educativi e inclusivi come questo possa anche avere un effetto positivo sulla gestione dei sintomi dell’ADHD nei bambini e negli adulti? Se sì, in che modo?
Il mondo dei videogiochi è molto più vasto di quanto normalmente pensiamo. Spesso sento dire che i videogiochi “fanno male”, senza conoscere la differenza tra un picchiaduro ed un videogioco a valenza educativa. I videogiochi possono offrire vere e proprie sandbox per sperimentarsi in contesti “safe”, e imparare a riconoscere e gestire comportamenti ed emozioni problematiche come si fa nella Video Game Therapy. Il problema non è lo strumento, come accade con molte tecnologie, ma il tempo che vi si dedica e l’esclusività rispetto alla socialità reale.

Secondo la sua esperienza, qual è il ruolo dell’arte, della musica e del movimento fisico – come nel caso delle coreografie di Just Dance – nel supportare il benessere emotivo e sociale delle persone con ADHD?
Spesso si dice che la musica e l’arte toccano “corde” delle quali non avremmo mai conosciuto l’esistenza. Ognuno di noi ha sperimentato almeno una volta l’esperienza del cosiddetto “flow” o esperienza ottimale, quello stato di profonda concentrazione nel quale siamo completamente immersi in un’attività. Un’attività focalizzata e mirata alla sensibilizzazione può veicolare messaggi di autoefficacia e di identità positiva molto forti, che in presenza dell’ADHD non sono affatto scontati, viste le difficoltà relazionali e sociali.

Crede che iniziative come quella di Ubisoft possano contribuire a ridurre gli stereotipi e lo stigma legato all’ADHD? Quali altre strategie ritiene importanti per aumentare la consapevolezza su questo disturbo?
Credo senz’altro che ne avremmo bisogno nell’immediato futuro: abbiamo bisogno non solo di parlare di una problematica, ma di sperimentarne le caratteristiche e comprendere a fondo le difficoltà per chi ne è soggetto. L’empatia, così come la compassione, hanno bisogno di “sporcarsi le mani”: non guardo solo da lontano il dolore di qualcun altro, che tanto a me non tocca, ma partecipo sinceramente e sviluppo il desiderio di comprendere e ascoltare. Oltre ai videogiochi è possibile sviluppare strategie didattiche che tengano realmente conto dell’inclusione: magari facendo esperimenti sociali in cui si “entra nei panni di”, per mettere in atto strategie di problem solving alternativo, come accade nei giochi di ruolo.

Qual è lo stato attuale dei trattamenti per l’ADHD negli adulti in Italia? Ritiene che ci siano ancora ostacoli, come la mancanza di diagnosi o di risorse specifiche, e cosa si potrebbe fare per migliorare la situazione?
La situazione non è affatto rosea, purtroppo. A fronte di una richiesta sempre più alta, mancano centri pubblici per diagnosi aggiornate, in tempi brevi, che abbiano capacità sufficiente. L’accesso ai farmaci è complesso e macchinoso, a causa di stereotipi e pregiudizi provenienti da un uso indiscriminato in altre parti del mondo, e il sostegno a scuola non viene valorizzato come insegnamento a sé, ma solo come “tappabuchi” accessorio. La situazione degli adulti è ancora più difficile, poi, perché mancano risorse per le diagnosi riconosciute, che diano reale accesso a strumenti compensativi: crescere con l’ADHD fa sviluppare tutta una serie di problematiche psicologiche, a volte psichiatriche accessorie, che necessitano di equipe vere e proprie, mentre si pensa che “se si è cresciuti fin lì si può anche andare avanti”, banalizzando il disagio.

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