Novak Djokovic si taglia i capelli nel salone di bellezza del torneo pochi minuti prima di scendere sul Campo Centrale e Lleyton Hewitt regala cappuccino e brioche agli oltre 5mila spettatori rimasti svegli tutta notte per assistere al suo match. Cose che solo agli Australian Open possono accadere. E non è un caso se oggi è chiamato “Happy Slam”, un’oasi felice in cui i tennisti danno il via a una lunga stagione di sport. Ultimogenito dei quattro Slam (Wimbledon, Roland Garros e US Open), per molti anni è stato anche il meno importante. Vista come una tappa lontanissima e a tratti inospitale, il restyling degli anni ’80 ha ridato il giusto appeal a una competizione alla quale tutti vogliono partecipare. Che poi, a pensarci bene, negli anni ’50 era necessario fare così tanta fatica per cercare di vincere il torneo per un ombrello e un servizio da tè come montepremi?
Dal “Down under” all’“Happy Slam”
Australian Open, il torneo che fa felice tutti. Ma non è sempre stato così: creato e disputato nel novembre 1905 al Warehouseman’s Cricket Ground di Melbourne (poi diventato Albert Reserve Tennis Centre), negli anni ’20 la città era raggiungibile solo in nave con un comodo viaggio di 45 giorni oppure, internamente, in treno percorrendo 3mila chilometri da una costa all’alta. Proprio per questo, il soprannome “Down under”: letteralmente “giù sotto”, all’interno di una realtà nomade e ancora poco conosciuta in quel periodo. Le prime edizioni, infatti, erano praticamente prive di tennisti europei e anche il numero era esiguo (massimo 10 partecipanti). Nella sua storia è stato ospitato in cinque città australiane e due neozelandesi: Melbourne, Sydney, Adelaide, Brisbane, Perth in Australia; Christchurch e Hastings in Nuova Zelanda, negli anni ’10. Inizialmente sotto la bandiera dell’Australasia, solo nel 1927 si era iniziato a parlare di Australian Championship e nel 1969 (con la nascita del tennis Open) di Australian Open. Dall’anonimato e dai pregiudizi di un qualcosa di troppo lontano alla scoperta di un torneo prestigioso e di un popolo che rispetta e si fa amare.
La svolta del cemento
Da quando Melbourne – nel 1972 – è diventata la sede fissa degli Australian Open, il torneo è tornare ad essere “felice”. La città era – ed è tuttora – capace di attrarre maggior pubblico rispetto ad altre sul territorio australiano. E così, anche i tennisti stranieri hanno deciso di dare una seconda chance anche al “Down under”: da lì, il via alla ristrutturazione degli stadi (passando dal piccolo Kooyong al Flinders Park) e all’aumento del valore del montepremi. Ma soprattutto, era stato il cambio di superficie a fare la differenza: dall’erba al cemento (più propriamente detto plexicushion) che permette un gioco molto veloce e spettacolare.
La doppia edizione
Tra le tante curiosità, c’è stato un anno in cui sono state disputate due edizioni. Nel 1977, infatti, si erano giocati due Australian Open: il primo, a cavallo di capodanno tra il 1976 e il 1977. Il secondo, dal 19 al 31 dicembre del ’77. Un flop totale, considerando la “concorrenza” degli altri Slam organizzati in giro per il mondo.
Negligenza del regolamento e linee troppo corte
“Dategli il latte, ha fame”. Con queste parole, John McEnroe negli ottavi di finale del 1990 ha avuto l’onore di essere stato il primo giocatore squalificato per comportamento antisportivo negli Slam nell’era Open. Tutto per una nuova regola che McEnroe non conosceva: se prima la squalifica scattava alla quarta violazione, ora ne bastano solo tre. E così è stato: prima la condotta antisportiva, poi la rabbia contro il bambino e, infine, le continue proteste per un punto assegnato all’avversario. C’è anche chi, nel 1954, ha commesso troppi doppi falli per una linea più corta di almeno 50 centimetri: Mervyn Rose, che vincerà il titolo in quella stagione, si era infatti accorta di un rettangolo di battuta non regolare sul campo di gioco. In quello stesso anno, l’allora presidente della federazione australiana Charles Edwards, appena arrivato allo stadio e irritato dal fatto che la semifinale femminile non fosse ancora conclusa, aveva costretto gli organizzatori a interromperla per spostarla su un altro campo.
Cappuccino e brioche per tutti i presenti
In una notte del 2008, la Rod Lover Arena (dedicata al tennista capace di completare il Grande Slam prima e durante l’era open) di Melbourne si è trasformata in uno dei più classici Café Bar. Il motivo? Marcos Baghdatis e Lleyton Hewitt hanno dato vita a uno dei match più lunghi di sempre: dalle 23.47 alle 4.34, dalla notte all’alba. 4-6, 7-5, 7-5, 6-7 (4), 6-3 il risultato finale per Hewitt che, per ringraziare gli oltre 5mila tifosi rimasti svegli, ha offerta una colazione all’”italiana”. Parlando di match interminabili ma epici, non può non essere citata la finale Slam più lunga di sempre: quella tra Djokovic e Nadal nel 2012. Stremati dopo 5 ore e 53 minuti (per un match vinto poi dal serbo in cinque set), è emblematica la foto di rito con medaglie e trofei, nella quale i due hanno fatto fatica a rimanere in piedi.
Dalle partite disputate in notturna, a quelle concluse affannosamente sotto 46 gradi. Per un tennista, un “place to be” dove poter iniziare al meglio la stagione, sognare la vittoria di uno Slam, farsi aprire un ristorante con il tuo nome (Marcos Baghdatis, tennista cipriota e idolo del torneo nell’edizione del 2006, ne sa qualcosa) e dove sperare che la tua carriera possa cambiare da un momento all’altro, come accaduto a Mark Edmondson (da lavavetri di un ospedale a campione assoluto da numero 212 del ranking). E chissà se Sinner renderà ancora “happy” milioni di italiani.
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Australian Open, Djokovic dal parrucchiere e Hewitt barista: storie incredibili e curiosità dello Slam più felice del mondo
Dall’anonimato al titolo di "Happy Slam": cosa (forse) non sai del torneo di Melbourne (che si disputò anche in una Nuova Zelanda)
Novak Djokovic si taglia i capelli nel salone di bellezza del torneo pochi minuti prima di scendere sul Campo Centrale e Lleyton Hewitt regala cappuccino e brioche agli oltre 5mila spettatori rimasti svegli tutta notte per assistere al suo match. Cose che solo agli Australian Open possono accadere. E non è un caso se oggi è chiamato “Happy Slam”, un’oasi felice in cui i tennisti danno il via a una lunga stagione di sport. Ultimogenito dei quattro Slam (Wimbledon, Roland Garros e US Open), per molti anni è stato anche il meno importante. Vista come una tappa lontanissima e a tratti inospitale, il restyling degli anni ’80 ha ridato il giusto appeal a una competizione alla quale tutti vogliono partecipare. Che poi, a pensarci bene, negli anni ’50 era necessario fare così tanta fatica per cercare di vincere il torneo per un ombrello e un servizio da tè come montepremi?
Dal “Down under” all’“Happy Slam”
Australian Open, il torneo che fa felice tutti. Ma non è sempre stato così: creato e disputato nel novembre 1905 al Warehouseman’s Cricket Ground di Melbourne (poi diventato Albert Reserve Tennis Centre), negli anni ’20 la città era raggiungibile solo in nave con un comodo viaggio di 45 giorni oppure, internamente, in treno percorrendo 3mila chilometri da una costa all’alta. Proprio per questo, il soprannome “Down under”: letteralmente “giù sotto”, all’interno di una realtà nomade e ancora poco conosciuta in quel periodo. Le prime edizioni, infatti, erano praticamente prive di tennisti europei e anche il numero era esiguo (massimo 10 partecipanti). Nella sua storia è stato ospitato in cinque città australiane e due neozelandesi: Melbourne, Sydney, Adelaide, Brisbane, Perth in Australia; Christchurch e Hastings in Nuova Zelanda, negli anni ’10. Inizialmente sotto la bandiera dell’Australasia, solo nel 1927 si era iniziato a parlare di Australian Championship e nel 1969 (con la nascita del tennis Open) di Australian Open. Dall’anonimato e dai pregiudizi di un qualcosa di troppo lontano alla scoperta di un torneo prestigioso e di un popolo che rispetta e si fa amare.
La svolta del cemento
Da quando Melbourne – nel 1972 – è diventata la sede fissa degli Australian Open, il torneo è tornare ad essere “felice”. La città era – ed è tuttora – capace di attrarre maggior pubblico rispetto ad altre sul territorio australiano. E così, anche i tennisti stranieri hanno deciso di dare una seconda chance anche al “Down under”: da lì, il via alla ristrutturazione degli stadi (passando dal piccolo Kooyong al Flinders Park) e all’aumento del valore del montepremi. Ma soprattutto, era stato il cambio di superficie a fare la differenza: dall’erba al cemento (più propriamente detto plexicushion) che permette un gioco molto veloce e spettacolare.
La doppia edizione
Tra le tante curiosità, c’è stato un anno in cui sono state disputate due edizioni. Nel 1977, infatti, si erano giocati due Australian Open: il primo, a cavallo di capodanno tra il 1976 e il 1977. Il secondo, dal 19 al 31 dicembre del ’77. Un flop totale, considerando la “concorrenza” degli altri Slam organizzati in giro per il mondo.
Negligenza del regolamento e linee troppo corte
“Dategli il latte, ha fame”. Con queste parole, John McEnroe negli ottavi di finale del 1990 ha avuto l’onore di essere stato il primo giocatore squalificato per comportamento antisportivo negli Slam nell’era Open. Tutto per una nuova regola che McEnroe non conosceva: se prima la squalifica scattava alla quarta violazione, ora ne bastano solo tre. E così è stato: prima la condotta antisportiva, poi la rabbia contro il bambino e, infine, le continue proteste per un punto assegnato all’avversario. C’è anche chi, nel 1954, ha commesso troppi doppi falli per una linea più corta di almeno 50 centimetri: Mervyn Rose, che vincerà il titolo in quella stagione, si era infatti accorta di un rettangolo di battuta non regolare sul campo di gioco. In quello stesso anno, l’allora presidente della federazione australiana Charles Edwards, appena arrivato allo stadio e irritato dal fatto che la semifinale femminile non fosse ancora conclusa, aveva costretto gli organizzatori a interromperla per spostarla su un altro campo.
Cappuccino e brioche per tutti i presenti
In una notte del 2008, la Rod Lover Arena (dedicata al tennista capace di completare il Grande Slam prima e durante l’era open) di Melbourne si è trasformata in uno dei più classici Café Bar. Il motivo? Marcos Baghdatis e Lleyton Hewitt hanno dato vita a uno dei match più lunghi di sempre: dalle 23.47 alle 4.34, dalla notte all’alba. 4-6, 7-5, 7-5, 6-7 (4), 6-3 il risultato finale per Hewitt che, per ringraziare gli oltre 5mila tifosi rimasti svegli, ha offerta una colazione all’”italiana”. Parlando di match interminabili ma epici, non può non essere citata la finale Slam più lunga di sempre: quella tra Djokovic e Nadal nel 2012. Stremati dopo 5 ore e 53 minuti (per un match vinto poi dal serbo in cinque set), è emblematica la foto di rito con medaglie e trofei, nella quale i due hanno fatto fatica a rimanere in piedi.
Dalle partite disputate in notturna, a quelle concluse affannosamente sotto 46 gradi. Per un tennista, un “place to be” dove poter iniziare al meglio la stagione, sognare la vittoria di uno Slam, farsi aprire un ristorante con il tuo nome (Marcos Baghdatis, tennista cipriota e idolo del torneo nell’edizione del 2006, ne sa qualcosa) e dove sperare che la tua carriera possa cambiare da un momento all’altro, come accaduto a Mark Edmondson (da lavavetri di un ospedale a campione assoluto da numero 212 del ranking). E chissà se Sinner renderà ancora “happy” milioni di italiani.
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Washington, 25 gen. (Adnkronos/Afp) - l Senato degli Stati Uniti ha confermato di misura l'ex conduttore di Fox News Pete Hegseth come capo del Pentagono, nonostante le accuse di abuso di alcol, molestie sessuali e altri timori sulla sua capacità di guidare l'esercito più potente del mondo. Tre senatori repubblicani hanno votato contro la scelta di Donald Trump come segretario della Difesa, con un pareggio 50-50 che ha costretto JD Vance a esprimere il voto decisivo. Il risultato ha evidenziato le preoccupazioni su Hegseth, che assumerà la guida del Pentagono mentre la guerra infuria in Ucraina, il Medio Oriente è instabile nonostante i cessate il fuoco in Libano e a Gaza e Trump sta ampliando il ruolo dell'esercito nella sicurezza al confine tra Stati Uniti e Messico.
Poco dopo la sua conferma, Trump ha scritto sulla sua piattaforma Social Truth: "Congratulazioni a Pete Hegseth. Sarà un grande Segretario della Difesa!"
Palermo, 24 gen. (Adnkronos) - Il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza di Palermo presieduto dal prefetto Massimo Mariani ha disposto oggi di assegnare una scorta all'inviato di Repubblica Salvo Palazzolo, oggetto di minacce per le sue inchieste sui boss scarcerati. Nei giorni scorsi al giornalista era stato comunicato dalla Squadra mobile di essere oggetto di "gravi ostilita'" emerse nel corso di alcune indagini.
Roma, 24 gen. (Adnkronos) - "Meloni si dice coerente su tutto, ma è la campionessa mondiale di incoerenza". Lo dice Matteo Renzi in diretta su Instagram.
Roma, 24 gen. (Adnkronos) - "L'atteggiamento di Giorgia Meloni in questi giorni è insopportabile. A dicembre 2024 Meloni va ad Atreju e dice che i centri migranti funzioneranno, perchè bisogna sconfiggere la mafia dei trafficanti di migranti. E cosa accade ora? Accade che la scorsa settimana uno di quei criminali, che la Corte Penale Internazionale definisce trafficante e torturatore, viene arrestato dai poliziotti e la Meloni lo libera, con un volo di Stato, a spese nostre". Così Matteo Renzi in una diretta su Instagram.
Roma, 24 gen. (Adnkronos) - "Se il governo abbassa le tasse, io sono contento. Ma quando hai un livello di ipocrisia come quello che abbiamo visto, mi arrabbio e lo dico. C'è un governo indecente con un sottosegretario alla Giustizia condannato, un ministro dei Trasporti che va benino sulle dirette di Tik Tok, ma non nella gestione dei trasporti". Lo dice Matteo Renzi in diretta su Instagram. "Se vogliono cacciare la Santanchè perchè rinviata a giudizio, allora devono mandare a casa anche Delmastro che è rinviato a giudizio. Meloni ha due pesi e due misure".
Roma, 24 gen. (Adnkronos) - Uniti si vince. Anzi, no. Divisi si vince. Dario Franceschini dal suo nuovo ufficio ex-officina, spariglia. "I partiti che formano la possibile alternativa alla destra sono diversi e lo resteranno. È inutile fingere che si possa fare un’operazione come fu quella dell’Ulivo. L’Ulivo non tornerà". E allora meglio andare "al voto ognuno per conto suo, valorizzando le proprie proposte e l’aspetto proporzionale della legge elettorale" e sul terzo dei seggi assegnati con l'uninomiale "è sufficiente stringere un accordo", la proposta di Franceschini. Che si rivolge pure a Forza Italia: "Ha il biglietto della lotteria in tasca, ma non lo sa", con il proporzionale "sarebbe arbitra dei governi per i prossimi vent’anni".
"Volpone...", commenta Matteo Renzi. Carlo Calenda condivide l'analisi sul marciare divisi, Angelo Bonelli la boccia mentre dal Movimento 5 Stelle si fa sapere che l'intervista all'ex-ministro del Conte II è stata letta "con attenzione", vista come "prospettiva compatibile con le richieste della nostra comunità", quindi un’opzione su cui "è possibile un confronto". Nel Pd ha infiammato le chat ma la reazione ai attesta tra lo stupore e il silenzio, al momento. A partire dalla segretaria. Plasticamente impegnata in quanto di più lontano da riflessioni di alchimia politica, posta sui social le foto dell'incontro oggi a Porto Marghera con i lavoratori del petrolchimico, settore in allarme. "Eni sta dismettendo la chimica di base in Italia con l’assenso del governo Meloni, che resta a guardare. Grazie a questi lavoratori per l’incontro, il Pd è al loro fianco", scrive Schlein su Instagram.
Tuttavia, si riferisce, che stamattina ci sarebbero state interlocuzioni con Franceschini sull'intervista. E l'ex-ministro avrebbe rassicurato sulle sue buone intenzioni. Quel "marciare divisi" non andrebbe letto come una sconfessione della "testardamente unitaria" Schlein. Il senso dell'operazione sarebbe quello di dare un fermo, uno stop al dibattito che si sta alimentando nelle ultime settimane - giudicato inutile e maliziosamente dannoso - sul federatore, sulla coalizione e anche su un ipotetico partito dei cattolici. Una forza moderata sarebbe utile ma, sottolinea Franceschini, "noi cattolici democratici, non possiamo che restare in una forza progressista come ci hanno insegnato Zaccagnini e Granelli". E quindi un assist alla segretaria, si assicura.
Detto questo, non a pochi nel Pd, la proposta del "marciare divisi" è apparsa quanto meno eccentrica di fronte a una coalizione di centrodestra guidata da una leader, almeno al momento, molto forte. "Lei parla con Trump e noi ci presentiamo al voto divisi, a darci addosso l'un l'altro?". E comunque ancor più prosaicamente c'è chi fa notare come "senza alleanze, con questa legge elettorale, hai automaticamente perso". E' la matematica e il voto del 2022 docet. Riflessioni che restano riservate. "Nessuno vuol ribattere a un dirigente storico del Pd".
Anche il passaggio su Forza Italia sembra un po' fuori sincrono. Certo, osserva Matteo Renzi, "se Forza Italia accettasse di avere il sistema proporzionale governerebbe per anni perché si entrerebbe in un sistema in cui si creerebbero le maggioranze in Parlamento". Ma che gli azzurri si sfilino dal centrodestra, non sembra alle viste. Franceschini "prova a sedurre con una danza del ventre evocando il proporzionale puro", dice Alessandro Sorte, ma "Forza Italia è" già "l'unico vero centro e oggi ha un ruolo fondamentale".
Per Bonelli la proposta dell'ex-ministro non convince: "Non sarà l'Ulivo, non sarà il programma di 300 pagine dell'Unione, ma un minimo comun denominatore con cui presentarsi alle elezioni e battere la destra serve. E' quello che abbiamo fatto alle regionali in Sardegna, Umbria, Emilia. E quello su cui lavoreremo per le prossime regionali che ci attendono. Perché lo stesso schema non deve valere per le politiche?". Nel Pd a parlare in chiaro, in Tv, è Debora Serracchiani secondo cui l'ipotesi di Franceschini è "da valutare" e "credo abbia detto una cosa saggia: rafforzare il Pd, pensare alle cose concrete. La segretaria su questo sta dando veramente una linea importante. Invece di costruire a tavolino delle alleanze, cerchiamo di metterci insieme sui temi che ci tengono uniti".
Roma, 24 gen. (Adnkronos) - Uniti si vince. Anzi, no. Divisi si vince. Dario Franceschini dal suo nuovo ufficio ex-officina, spariglia. "I partiti che formano la possibile alternativa alla destra sono diversi e lo resteranno. È inutile fingere che si possa fare un’operazione come fu quella dell’Ulivo. L’Ulivo non tornerà". E allora meglio andare "al voto ognuno per conto suo, valorizzando le proprie proposte e l’aspetto proporzionale della legge elettorale" e sul terzo dei seggi assegnati con l'uninomiale "è sufficiente stringere un accordo", la proposta di Franceschini. Che si rivolge pure a Forza Italia: "Ha il biglietto della lotteria in tasca, ma non lo sa", con il proporzionale "sarebbe arbitra dei governi per i prossimi vent’anni".
"Volpone...", commenta Matteo Renzi. Carlo Calenda condivide l'analisi sul marciare divisi, Angelo Bonelli la boccia mentre dal Movimento 5 Stelle si fa sapere che l'intervista all'ex-ministro del Conte II è stata letta "con attenzione". Nel Pd ha infiammato le chat ma la reazione ai attesta tra lo stupore e il silenzio, al momento. A partire dalla segretaria. Plasticamente impegnata in quanto di più lontano da riflessioni di alchimia politica, posta sui social le foto dell'incontro oggi a Porto Marghera con i lavoratori del petrolchimico, settore in allarme. "Eni sta dismettendo la chimica di base in Italia con l’assenso del governo Meloni, che resta a guardare. Grazie a questi lavoratori per l’incontro, il Pd è al loro fianco", scrive Schlein su Instagram.
Tuttavia, si riferisce, che stamattina ci sarebbero state interlocuzioni con Franceschini sull'intervista. E l'ex-ministro avrebbe rassicurato sulle sue buone intenzioni. Quel "marciare divisi" non andrebbe letto come una sconfessione della "testardamente unitaria" Schlein. Il senso dell'operazione sarebbe quello di dare un fermo, uno stop al dibattito che si sta alimentando nelle ultime settimane - giudicato inutile e maliziosamente dannoso - sul federatore, sulla coalizione e anche su un ipotetico partito dei cattolici. Una forza moderata sarebbe utile ma, sottolinea Franceschini, "noi cattolici democratici, non possiamo che restare in una forza progressista come ci hanno insegnato Zaccagnini e Granelli". E quindi un assist alla segretaria, si assicura.
Detto questo, non a pochi nel Pd, la proposta del "marciare divisi" è apparsa quanto meno eccentrica di fronte a una coalizione di centrodestra guidata da una leader, almeno al momento, molto forte. "Lei parla con Trump e noi ci presentiamo al voto divisi, a darci addosso l'un l'altro?". E comunque ancor più prosaicamente c'è chi fa notare come "senza alleanze, con questa legge elettorale, hai automaticamente perso". E' la matematica e il voto del 2022 docet. Riflessioni che restano riservate. "Nessuno vuol ribattere a un dirigente storico del Pd".
Anche il passaggio su Forza Italia sembra un po' fuori sincrono. Certo, osserva Matteo Renzi, "se Forza Italia accettasse di avere il sistema proporzionale governerebbe per anni perché si entrerebbe in un sistema in cui si creerebbero le maggioranze in Parlamento". Ma che gli azzurri si sfilino dal centrodestra, non sembra alle viste. Franceschini "prova a sedurre con una danza del ventre evocando il proporzionale puro", dice Alessandro Sorte, ma "Forza Italia è" già "l'unico vero centro e oggi ha un ruolo fondamentale".
Per Bonelli la proposta dell'ex-ministro non convince: "Non sarà l'Ulivo, non sarà il programma di 300 pagine dell'Unione, ma un minimo comun denominatore con cui presentarsi alle elezioni e battere la destra serve. E' quello che abbiamo fatto alle regionali in Sardegna, Umbria, Emilia. E quello su cui lavoreremo per le prossime regionali che ci attendono. Perché lo stesso schema non deve valere per le politiche?". Nel Pd a parlare in chiaro, in Tv, è Debora Serracchiani secondo cui l'ipotesi di Franceschini è "da valutare" e "credo abbia detto una cosa saggia: rafforzare il Pd, pensare alle cose concrete. La segretaria su questo sta dando veramente una linea importante. Invece di costruire a tavolino delle alleanze, cerchiamo di metterci insieme sui temi che ci tengono uniti".