M – Il Figlio del Secolo renderà ‘simpatico’ Mussolini? Devo fare una confessione

La serie televisiva M – Il figlio del secolo in onda su Sky dal 10 gennaio, dedicata all’ascesa di Benito Mussolini tra 1919 e 1925, secondo me è originale, bella, ben diretta (da Joe Wright) e ben interpretata (da Luca Marinelli, nei panni del dittatore, e da altri attori). Questa premessa è d’obbligo, non vorrei apparire prevenuto. Così come penso che più si mostra cosa sia (stato) il fascismo con efficacia, meglio è. Detto questo, voglio anticipare un quesito che mi ronza per la testa dopo aver visto le prime puntate: la serie serve e servirà, come tanti si aspettano, per consolidare, soprattutto tra gli under 40 e i giovani, una cultura storica accompagnata dalla repulsione nei confronti dell’ideologia fascista e dalla consapevolezza della necessità dell’antifascismo?
Per spiegare il senso del quesito, devo fare una confessione: fin dalle prime scene mi sono chiesto per quale motivo l’atmosfera della serie mi avesse fatto venire in mente, più che Milano (in cui sono ambientate le puntate d’esordio), la Gotham City cupa che abbiamo visto nella saga cinematografica (da me molto amata) su Batman (mi riferisco a quella inaugurata dal film omonimo del 1989, diretto da Tim Burton). Mi sono anche chiesto perché il Mussolini rappresentato, con indubbie doti, da Marinelli mi abbia ricordato i principali cattivi di quella saga: Joker e il Pinguino. Avrò probabilmente torto, d’altra parte non sono un critico televisivo o cinematografico: sono soltanto un ormai “vecchio” cronista, nonché un giornalista che scrive anche di storia e frequenta il giro degli storici di professione; inoltre ho qualche confidenza col tema perché presiedo a Milano l’Associazione nazionale degli ex internati militari italiani nei lager nazisti, l’Anei (mio padre Pietro è stato uno di loro, un Imi). Tuttavia la caratterizzazione molto marcata di Mussolini scelta da Wright, con Milano-Gotham sullo sfondo, mi ha fatto venire in mente proprio quei due feroci bat-nemici.
Joker – conosciuto con una serie di soprannomi che sarebbero adatti pure per Benito, tra cui il Clown del Crimine, l’Arlecchino dell’Odio, l’Asso dei Furfanti e il Giullare del Genocidio – è stato interpretato al cinema da Jack Nicholson, Heath Ledger e Joaquin Phoenix. Ancor di più, se devo essere sincero, guardando il Mussolini targato Sky mi è venuto in mente il Pinguino: un altro criminale, interpretato nella saga da Danny DeVito e da Colin Farrell. Per certi versi, queste suggestioni distaccano dalla realtà storica. Per altro, è un vero peccato che né nella serie né nell’Italia di allora ci sia o ci sia stato un supereroe nostrano capace di sconfiggere Benito-Joker. Nel mondo reale novecentesco sono stati necessari ben 20 anni di attesa, tantissima sofferenza, le decine di milioni di morti in una guerra mondiale, le deportazioni di massa, i lager e i campi di sterminio, la Resistenza di partigiani, soldati anti-fascisti e internati militari.
Anche il modo molto appariscente con cui nella serie Marinelli interpreta il duce ha contribuito e sta contribuendo, secondo me, a consolidare una specie di distacco tra la storia del Ventennio (quella studiata dagli storici) e il personaggio rappresentato in televisione. Mussolini-Marinelli si rivolge continuamente a noi. Nel lessico teatrale e cinematografico, si chiama “rottura della quarta parete”. Questo termine deriva dall’idea che il palcoscenico o la scena del film siano una stanza con tre pareti e che la quarta sia quella, immaginaria, che separa gli attori dagli spettatori. Quando un attore “rompe” quest’ultima scena, dialoga direttamente col pubblico, stabilendo un contatto: in questo modo commenta l’azione in corso, offre la sua prospettiva o i suoi pensieri su persone ed eventi, condivide informazioni che gli altri personaggi non conoscono, crea un senso di complicità con lo spettatore.
Ciò provoca, anche nella serie in questione, sorpresa, talvolta divertimento; coinvolge coloro che guardano facendoli sentire parte dell’azione e, infine, aggiunge un pizzico di quella che viene definita metateatralità (cara a Shakespeare e a Pirandello, per fare due esempi): un’esplicita consapevolezza della finzione scenica che crea, tra chi assiste, un effetto straniante.
Ciò che ho descritto sinora può servire per determinare una vera repulsione nei confronti del fascismo? Secondo me, forse non serve. Si rischia piuttosto di creare un Mussolini artificiale, persino simpatico in certe occasioni, nonostante la sua tragica stronzaggine; un Benito lontano dal personaggio reale e dal contesto storico del Ventennio, nonché dal nostro contesto attuale (visti i tanti nostalgici che sventolano saluti romani più o meno plateali nelle piazze e in Parlamento). Questo pericolo non lo corrono tanto i miei coetanei (a meno che non siano fascisti o fascistoidi): sono/siamo parzialmente immunizzati dai racconti dei nostri padri e nonni che hanno vissuto il fascismo e la guerra. Il rischio di considerare il duce un personaggio cattivo, ma quasi di fantasia, lo corrono gli under 40 e soprattutto i più giovani, che sono a digiuno di storia e di memoria grazie anche alle tante carenze nell’insegnamento scolastico (per non parlare delle indicazioni vetero-nazionaliste appena fornite dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara e dal governo Meloni).
Vedremo se avrò torto o ragione. Per il momento mi trovo d’accordo con il 55enne Antonio Scurati, dal cui romanzo storico M. Il figlio del secolo è stata tratta la serie tv; ha anche contribuito alla sceneggiatura. Sono però d’accordo con lo Scurati che, all’esordio del progetto televisivo, aveva molte perplessità. Lo scrittore ha ammesso di essere stato inizialmente scettico in merito ad alcune scelte creative, come il bilanciamento tra tragedia e commedia e il rischio, appunto…, di rendere Mussolini un personaggio troppo empatico. Come riporta Ciakmagazine.it, ha spiegato: “Durante la scrittura del libro mi sono sforzato di […] evitare di generare nel lettore empatia con il personaggio principale, mi sono proibito tutta una serie di procedure romanzesche, come dialoghi fittizi, personaggi fittizi, l’introspezione. Non volevo che il lettore empatizzasse con lui, non volevo che ne venisse sedotto e volevo assolutamente evitare che Mussolini risultasse un personaggio da commedia, perché sono convinto che il fascismo sia stata una tragedia, una terribile tragedia, e che continui a stendere la sua ombra tragica su di noi”.
Alla fine, però, Scurati ha cambiato idea: “Quando ho visto il risultato sullo schermo sono rimasto abbagliato e ammirato. […] Il tono è miracolosamente trovato in un equilibrio difficilissimo tra tragico e comico”. Per quel che mi riguarda – pur riconoscendo la qualità artistica della serie televisiva – dopo aver visto i primi episodi nutro ancora le preoccupazioni che lo scrittore aveva all’inizio. La mia è un’accusa? Macché. Però resto del parere che la lotta contro l’ideologia fascista, contro ogni dittatura e autoritarismo, contro nazionalismo, sovranismo e razzismo si debba realizzare con pazienza, costantemente, attraverso l’attività politica (quella nobile), l’impegno sociale, la cultura e la didattica, a cominciare dalla scuola dell’obbligo. Magari bastasse una serie televisiva ben interpretata. Tanto più che sono passati 80 anni dalla fine di Mussolini, ma il mussolinismo è ancora molto trendy.
Come ha scritto trent’anni fa Umberto Eco nel suo saggio Il fascismo eterno, quel fascismo inossidabile “è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. […] Può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo”.