Si chiama Laura e ha la stessa età che avrebbe oggi Orlandi, 56 anni, così come le altre sue due amiche con cui ogni anno si ritrova a gennaio e a giugno, nelle date dei due sit-in a Roma. A FQMagazine ha raccontato in esclusiva cosa è accaduto
“Chi ha paura di Emanuela Orlandi?”: c’era scritto su uno degli striscioni portati sabato in piazza Cavour a Roma in occasione del sit-in per ricordare, nel giorno della sua nascita, la cittadina vaticana misteriosamente scomparsa nel 1983. Come ogni anno sono arrivati attivisti da tutto il mondo per esprimere solidarietà a Pietro Orlandi, che da 42 anni lotta insieme alla sua famiglia per sapere cosa sia accaduto a sua sorella.
“Credo siano in tanti ad avere paura di Emanuela”, scrive Pietro oggi sul suo profilo social, in seguito a un episodio avvenuto domenica davanti alla Basilica di Santa Maria Maggiore. “Sabato delle persone sono venute a Roma con delle foto di Emanuela per partecipare al sit-in e dare, come nei precedenti incontri, la loro solidarietà”, spiega Pietro. “La mattina seguente – aggiunge – prima di ripartire decidono di visitare la basilica di Santa Maria Maggiore. Avevano lo zainetto con all’interno le foto utilizzate al sit-in. Come è ormai prassi, in questo periodo, vengono ispezionate le borse di chi vuole accedere alla Basilica. Aprono e non trovano pistole, bombe a mano o coltelli, ma peggio, trovano le foto di Emanuela che immediatamente vengono sequestrate e tenute fuori dalla Basilica. Solo in questo modo è stato permesso ai visitatori di entrare. Assurdo ma Emanuela, o meglio la foto di Emanuela è dovuta restare fuori: è rimasta sequestrata fuori dalla Basilica. All’uscita le foto sono state restituite le foto ai proprietari che però sono stati accompagnati ad una uscita secondaria. Siamo arrivati a questo punto – conclude in tono amareggiato il fratello di Emanuela Orlandi –, povera Emanuela, non c’è fine alla vergogna. Penso che qualcuno dovrà scusarsi”.
La testimonianza
Si chiama Laura e ha la stessa età che avrebbe oggi Emanuela Orlandi, 56 anni, così come le altre sue due amiche con cui ogni anno si ritrova a gennaio e a giugno, nelle date dei due sit-in per Emanuela a Roma. “Siamo venute giù in treno da tre punti diversi dell’Italia, abbiamo dormito in albergo perché rientrare in giornata non sarebbe possibile, siamo tutte e tre distanti centinaia di chilometri da Roma. Ognuna di noi riprende sempre il treno alle 12,30 del giorno dopo. Siamo coetanee di Emanuela, seguiamo la sua vicenda dal 1983, avevamo 15 anni. La nostra vita va avanti con lei da quel giorno, il suo mistero ci ha coinvolte emotivamente. Ci turba molto non sapere che fine ha fatto una ragazza come lo eravamo noi, che è uscita di casa per andare a scuola di musica e non è mai più tornata. Sentiamo da sempre molta vicinanza con questa famiglia”.
Domenica scorsa, al mattino, Laura e le sue due amiche si erano messe in coda per visitare la Basilica di Santa Maria Maggiore, non l’avevano mai vista. “Ci siamo messe in fila dopo aver fatto colazione. La prima d noi che era in coda si è costruita da tempo un cartoncino giallo con su la foto di Emanuela che porta sempre al sit-in: era arrotolato e chiuso nello zaino, e la foto di Emanuela era avvolta nella parte interna. Avevamo tutte delle foto di Emanuela che portiamo sempre al sit-in ma nessuna di noi si sarebbe permessa di esporla: non vorremmo mai creare un danno o qualcosa di negativo a questa famiglia. Le forze dell’ordine all’ingresso hanno chiesto alla mia amica cosa fosse questo cartoncino che fuoriusciva un po’ dallo zaino e anche un po’ usurato. Dopo che hanno visto la foto di Emanuela Orlandole hanno fatto aprire lo zaino chiedendole cosa altro avesse. Ne aveva un’altra dentro e l’ha data loro. Davanti a me c’era l’altra delle tre e io ero l’ultima in fila, quando ho capito la situazione mi sono autodenunciata e ho consegnato le foto di Emanuela che avevo con me. Sia io che la mia amica gliele abbiamo date prima che ci controllassero. Poi ce le hanno ridate all’uscita, le abbiamo richieste. Siamo donne di una certa età, persone rispettabili, madri di famiglia, non volevamo certo creare problemi. Non mi sarei messa mai la foto di Emanuela al collo dentro la Basilica. Il clima che si respira è di tensione e preconcetto, c’è molta paura”.