La Corte costituzionale ha ammesso il referendum per abrogare il cuore del Jobs Act e la riforma del lavoro del 2015 è tornata in cima all’agenda del dibattito politico. Anche questa volta non risparmiato dalle teorie fantasiose e dai numeri a casaccio lanciati dai sostenitori della stagione politica che vide protagonista Matteo Renzi e il suo governo. Il capogruppo di Italia Viva al Senato Enrico Borghi, per esempio, ha riesumato la storia del presunto milione di posti di lavoro creato “grazie al Jobs Act”, condita da un ulteriore dato errato secondo cui più della metà di questi rapporti sarebbero “a tempo indeterminato”. Vediamo cosa dicono i dati. E che cosa cambierebbe in caso di vittoria del Sì.
Cosa dicono i dati – Partiamo dai numeri reali facilmente riscontrabili dalle banche dati Istat: tra il 2015, cioè l’anno di approvazione del Jobs Act, e il 2018, gli occupati dipendenti in Italia sono in effetti aumentati di poco più di un milione, ma solo grazie a una fase economica favorevole grazie alla fine della recessione e alle politiche monetarie espansive della Banca centrale europea. Non è quindi merito di una riforma che ha ridotto le tutele in caso di licenziamento illegittimo. Lo dimostra il fatto che l’incremento di occupati era in atto già da un anno prima della sua approvazione. Inoltre, il 65% di quell’aumento è passato per contratti precari. Quelli a tempo indeterminato erano solo il 35%, non “più della metà” come afferma Borghi.
Le sentenze della Consulta – Quello che è successo dopo il 2018 non ha legami diretti con il Jobs Act, perché a partire dall’autunno di quell’anno la riforma renziana – di cui fa parte integrante il decreto Poletti arrivato nel 2014 – ha subito una serie di modifiche più o meno consistenti. A settembre 2018, infatti, la Corte costituzionale ha smontato il contratto a tutele crescenti, principale creatura del Jobs Act. È stato dichiarato incostituzionale il sistema previsto dal governo Renzi per quantificare in modo automatico i risarcimenti in caso di licenziamento ingiusto, tutela ritenuta troppo debole per i lavoratori: la Consulta ha quindi previsto che il giudice debba tenere in considerazione vari fattori nel determinare l’indennizzo al lavoratore licenziato, non solo l’anzianità presso l’azienda. A novembre 2018, poi, è entrato effettivamente in vigore il decreto dignità, voluto dal Movimento Cinque Stelle con il governo Conte I, che ha aumentato le indennità previste per i lavoratori licenziati e reso più stringenti i vincoli per i contratti a tempo determinato.
Un dato con cui i renziani fanno fatica a fare i conti è questo: il Jobs Act ha subito una serie di sonore bocciature dalla Corte costituzionale e, in un caso, dal Comitato europeo per i diritti sociali. Le “tutele” previste per i lavoratori sono state giudicate troppo deboli e sproporzionate a favore delle imprese. In altri casi, sebbene Italia Viva e qualche pezzo del Pd parlino ancora di grande riforma, le norme a volte sono state bocciate in quanto mal scritte, pasticciate e incoerenti.
Che cosa resta – Allora perché la Cgil ha chiesto e ottenuto un referendum? Il motivo è che, nonostante le sentenze, resta intatta la norma che in caso di licenziamento illegittimo, sia esso disciplinare o economico, non prevede il diritto del lavoratore a essere reintegrato ma solo l’indennizzo. La riforma, infatti, ha mantenuto la tutela della reintegra solo nei casi di licenziamento discriminatorio, nullo o completamente pretestuoso, cioè quando la giusta causa è del tutto inventata dall’azienda. Le sentenze della Corte costituzionale hanno agito prevalentemente sul metodo per quantificare i risarcimenti ma non hanno reintrodotto il diritto a essere reintegrati, tranne che in casi particolari (per esempio estendendo il diritto in tutti i casi di nullità e non solo in quelli “espressamente previsti dalla legge”).
Cosa cambia se vince il Sì – Se dovesse vincere il Sì al referendum, sarebbe quindi abrogato l’intero decreto legislativo che ha abolito definitivamente l’articolo 18 per gli assunti dopo il 7 marzo 2015. Sul piano politico, sarebbe un colpo importante: il governo non potrebbe che prendere atto della volontà popolare di tornare al diritto alla reintegrazione per chi viene ingiustamente licenziato. Sul piano tecnico, invece, l’effetto immediato sarebbe complesso, perché si tornerebbe alla disciplina precedente al Jobs Act, che con la riforma Fornero aveva già comunque ridotto il diritto alla reintegrazione in diversi casi di licenziamento, tant’è che in questi anni nei Tribunali abbiamo assistito a una complessa opera di interpretazione delle norme.
Sicuramente un effetto pratico molto importante si avrebbe sui licenziamenti collettivi: per questi il Jobs Act non prevede mai diritto alla reintegrazione, a differenza della Fornero che la prevede in alcune fattispecie. Sui licenziamenti individuali, il confine tra Fornero e Jobs Act si è invece rivelato più complicato, considerando che la riforma del governo Monti è ancora applicata a tutti gli assunti prima del 7 marzo 2015. In ogni caso, dopo la vittoria del referendum la Cgil ha intenzione di colmare il vuoto attraverso una legge di iniziativa popolare che prevede il diritto alla reintegrazione per licenziamento ingiusto in tutte le imprese, anche in quelle sotto i 15 dipendenti.
Ci sono poi gli altri tre quesiti. Il primo riguarda proprio le tutele per i licenziamenti ingiusti nelle piccole aziende. In quelle con meno di 15 dipendenti, infatti, oggi è prevista l’alternativa tra la riassunzione e l’indennizzo tra una e sei mensilità, che può essere aumentato a seconda dell’anzianità del lavoratore. Il referendum Cgil propone di abolire questo limite massimo, quindi lasciare discrezionalità al giudice.
Il terzo quesito riguarda i contratti a tempo determinato: oggi non è previsto l’obbligo di causale per i rapporti di durata inferiore ai dodici mesi; la Cgil propone di abrogare questa norma e quindi obbligare sempre la causale.
Infine, il quarto quesito riguarda il mondo degli appalti e propone di cancellare la norma che esenta l’azienda committente dalla responsabilità per gli infortuni che avvengono nelle aziende appaltatrici quando l’evento che ha scatenato l’incidente è conseguenza del “rischio specifico” dell’attività della stessa azienda appaltatrice. In pratica, il sindacato vorrebbe che la responsabilità dell’impresa committente sia prevista sempre.
Pur trattandosi di norme non approvate dal governo Meloni, un eventuale raggiungimento del quorum suonerebbe come un durissimo colpo all’attuale maggioranza di centrodestra.
Lavoro & Precari
Referendum sul Jobs Act, perché non è vero che la riforma renziana “ha creato 1 milione di posti di lavoro” e cosa cambia se vince il Sì
Gran parte dei decreti legislativi è già stata smontata dalla Consulta, ma resta intatta la norma che in caso di licenziamento illegittimo non prevede il diritto del lavoratore a essere reintegrato bensì solo l'indennizzo. Se si raggiunge il quorum e passa il sì si torna alla riforma Fornero
La Corte costituzionale ha ammesso il referendum per abrogare il cuore del Jobs Act e la riforma del lavoro del 2015 è tornata in cima all’agenda del dibattito politico. Anche questa volta non risparmiato dalle teorie fantasiose e dai numeri a casaccio lanciati dai sostenitori della stagione politica che vide protagonista Matteo Renzi e il suo governo. Il capogruppo di Italia Viva al Senato Enrico Borghi, per esempio, ha riesumato la storia del presunto milione di posti di lavoro creato “grazie al Jobs Act”, condita da un ulteriore dato errato secondo cui più della metà di questi rapporti sarebbero “a tempo indeterminato”. Vediamo cosa dicono i dati. E che cosa cambierebbe in caso di vittoria del Sì.
Cosa dicono i dati – Partiamo dai numeri reali facilmente riscontrabili dalle banche dati Istat: tra il 2015, cioè l’anno di approvazione del Jobs Act, e il 2018, gli occupati dipendenti in Italia sono in effetti aumentati di poco più di un milione, ma solo grazie a una fase economica favorevole grazie alla fine della recessione e alle politiche monetarie espansive della Banca centrale europea. Non è quindi merito di una riforma che ha ridotto le tutele in caso di licenziamento illegittimo. Lo dimostra il fatto che l’incremento di occupati era in atto già da un anno prima della sua approvazione. Inoltre, il 65% di quell’aumento è passato per contratti precari. Quelli a tempo indeterminato erano solo il 35%, non “più della metà” come afferma Borghi.
Le sentenze della Consulta – Quello che è successo dopo il 2018 non ha legami diretti con il Jobs Act, perché a partire dall’autunno di quell’anno la riforma renziana – di cui fa parte integrante il decreto Poletti arrivato nel 2014 – ha subito una serie di modifiche più o meno consistenti. A settembre 2018, infatti, la Corte costituzionale ha smontato il contratto a tutele crescenti, principale creatura del Jobs Act. È stato dichiarato incostituzionale il sistema previsto dal governo Renzi per quantificare in modo automatico i risarcimenti in caso di licenziamento ingiusto, tutela ritenuta troppo debole per i lavoratori: la Consulta ha quindi previsto che il giudice debba tenere in considerazione vari fattori nel determinare l’indennizzo al lavoratore licenziato, non solo l’anzianità presso l’azienda. A novembre 2018, poi, è entrato effettivamente in vigore il decreto dignità, voluto dal Movimento Cinque Stelle con il governo Conte I, che ha aumentato le indennità previste per i lavoratori licenziati e reso più stringenti i vincoli per i contratti a tempo determinato.
Un dato con cui i renziani fanno fatica a fare i conti è questo: il Jobs Act ha subito una serie di sonore bocciature dalla Corte costituzionale e, in un caso, dal Comitato europeo per i diritti sociali. Le “tutele” previste per i lavoratori sono state giudicate troppo deboli e sproporzionate a favore delle imprese. In altri casi, sebbene Italia Viva e qualche pezzo del Pd parlino ancora di grande riforma, le norme a volte sono state bocciate in quanto mal scritte, pasticciate e incoerenti.
Che cosa resta – Allora perché la Cgil ha chiesto e ottenuto un referendum? Il motivo è che, nonostante le sentenze, resta intatta la norma che in caso di licenziamento illegittimo, sia esso disciplinare o economico, non prevede il diritto del lavoratore a essere reintegrato ma solo l’indennizzo. La riforma, infatti, ha mantenuto la tutela della reintegra solo nei casi di licenziamento discriminatorio, nullo o completamente pretestuoso, cioè quando la giusta causa è del tutto inventata dall’azienda. Le sentenze della Corte costituzionale hanno agito prevalentemente sul metodo per quantificare i risarcimenti ma non hanno reintrodotto il diritto a essere reintegrati, tranne che in casi particolari (per esempio estendendo il diritto in tutti i casi di nullità e non solo in quelli “espressamente previsti dalla legge”).
Cosa cambia se vince il Sì – Se dovesse vincere il Sì al referendum, sarebbe quindi abrogato l’intero decreto legislativo che ha abolito definitivamente l’articolo 18 per gli assunti dopo il 7 marzo 2015. Sul piano politico, sarebbe un colpo importante: il governo non potrebbe che prendere atto della volontà popolare di tornare al diritto alla reintegrazione per chi viene ingiustamente licenziato. Sul piano tecnico, invece, l’effetto immediato sarebbe complesso, perché si tornerebbe alla disciplina precedente al Jobs Act, che con la riforma Fornero aveva già comunque ridotto il diritto alla reintegrazione in diversi casi di licenziamento, tant’è che in questi anni nei Tribunali abbiamo assistito a una complessa opera di interpretazione delle norme.
Sicuramente un effetto pratico molto importante si avrebbe sui licenziamenti collettivi: per questi il Jobs Act non prevede mai diritto alla reintegrazione, a differenza della Fornero che la prevede in alcune fattispecie. Sui licenziamenti individuali, il confine tra Fornero e Jobs Act si è invece rivelato più complicato, considerando che la riforma del governo Monti è ancora applicata a tutti gli assunti prima del 7 marzo 2015. In ogni caso, dopo la vittoria del referendum la Cgil ha intenzione di colmare il vuoto attraverso una legge di iniziativa popolare che prevede il diritto alla reintegrazione per licenziamento ingiusto in tutte le imprese, anche in quelle sotto i 15 dipendenti.
Ci sono poi gli altri tre quesiti. Il primo riguarda proprio le tutele per i licenziamenti ingiusti nelle piccole aziende. In quelle con meno di 15 dipendenti, infatti, oggi è prevista l’alternativa tra la riassunzione e l’indennizzo tra una e sei mensilità, che può essere aumentato a seconda dell’anzianità del lavoratore. Il referendum Cgil propone di abolire questo limite massimo, quindi lasciare discrezionalità al giudice.
Il terzo quesito riguarda i contratti a tempo determinato: oggi non è previsto l’obbligo di causale per i rapporti di durata inferiore ai dodici mesi; la Cgil propone di abrogare questa norma e quindi obbligare sempre la causale.
Infine, il quarto quesito riguarda il mondo degli appalti e propone di cancellare la norma che esenta l’azienda committente dalla responsabilità per gli infortuni che avvengono nelle aziende appaltatrici quando l’evento che ha scatenato l’incidente è conseguenza del “rischio specifico” dell’attività della stessa azienda appaltatrice. In pratica, il sindacato vorrebbe che la responsabilità dell’impresa committente sia prevista sempre.
Pur trattandosi di norme non approvate dal governo Meloni, un eventuale raggiungimento del quorum suonerebbe come un durissimo colpo all’attuale maggioranza di centrodestra.
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Catania, 13 mar. (Adnkronos) - "La politica tende a minimizzare il ruolo dei clan all'interno delle comunità e della capacità che hanno di raccogliere consensi. Quindi c'è una minore consapevolezza in questa direzione. Farsi condizionare significa mettersi a disposizione" dei clan. E' il monito del Presidente della Commissione regionale antimafia all'Ars Antonello Cracolici conversando con i giornalisti a Catania dove oggi si è trasferita la Commissione per le audizioni. "La politica se si mette a disposizione - dice - è inevitabilmente subalterna alla criminalità".
Catania, 13 mar. (Adnkronos) - "Oltre il 20 per cento dei comuni del catanese sono coinvolti in fatti di infiltrazioni, è un dato di fatto. Comuni sciolti per mafia, o per cui è stato deciso l'accesso. O per il quale verrà chiesto ei prossimi giorni, come a Ramacca". E' il grido d'allarme lanciato dal Presidente della Commissione regionale antimafia all'Ars, Antonello Cracolici, a margine delle audizioni a Catania. "E' evidente che c'è una condizione sulla quale bisogna guardare con molta preoccupazione quello che sta avvenendo nei territori - dice parlando con i giornalisti-Anche perché la mafia ha cambiato pelle, ha cambiato persino anagrafe".
Il Cairo, 13 mar. (Adnkronos/Afp) - Egitto, Hamas e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) hanno accolto con favore le dichiarazioni di Donald Trump secondo cui “nessuno espellerà i palestinesi” dalla Striscia di Gaza, come il presidente americano ha dichiarato ieri alla Casa Bianca, in risposta a un giornalista che gli chiedeva se il piano di “espellere i palestinesi da Gaza” fosse stato menzionato durante le sue discussioni con il primo ministro irlandese, Michael Martin, in visita a Washington.
L'Egitto "afferma che questa posizione riconosce l'importanza di evitare il peggioramento delle condizioni umanitarie nella regione e la necessità di lavorare per soluzioni giuste e durature per la causa palestinese", ha affermato in una nota il Ministero degli Esteri egiziano.
Da parte sua, il portavoce di Hamas Hazem Qassem ha affermato che "le dichiarazioni di Trump sulla mancata espulsione dei residenti di Gaza sono state ben accolte". E apprezzamento è stato dichiarato anche dall'Olp: "Apprezziamo le dichiarazioni del presidente americano che conferma che gli abitanti della Striscia di Gaza non sono obbligati a lasciare la loro patria", ha scritto su X il segretario generale Hussein al-Sheikh.
Roma, 13 mar. (Adnkronos Salute) - "L’anno scorso la Commissione scientifica ed economia del Farmaco dell'Aifa ha riclassificato, dalla diretta alla convenzionata, le gliptine, farmaci antidiabetici di largo utilizzo. È stata fatta questa riclassificazione sulla base di criteri scientifici. È una classe omogenea di farmaci, ci sono evidenze scientifiche, si è fatta un’analisi dell’impatto e a distanza di un anno possiamo dire che l’esperimento comunque ha funzionato. Effettivamente questi farmaci sono farmaci antidiabetici oggi molto utilizzati, sono di largo impiego, hanno un profilo rischio-beneficio estremamente favorevole, ma il fatto che si siano riclassificati ha portato anche a una maggiore aderenza terapeutica". Lo ha detto il presidente dell'Agenzia italiana del farmaco Robert Giovanni Nisticò nel suo intervento da remoto oggi, al ministero, per l'evento 'Farmaco accessibile: bilanci e prospettive. Un anno dalla norma' promosso dal sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato.
"Il diabete - ha proseguito Nisitcò - è una patologia comunque cronica, che può portare a molte complicanze, quindi favorire l’aderenza, attraverso appunto canali distributivi che vadano verso la prossimità del paziente, è sicuramente una cosa importante. Quindi anche la rivalutazione della farmacia, della farmacia territoriale per raggiungere meglio il paziente, quindi della medicina di prossimità, della sanità di prossimità è sicuramente una cosa importante. Certamente il fatto di aver riclassificato farmaci, da un contenitore già molto sotto pressione a un altro, ci deve dire che sicuramente da un lato possiamo alleggerire quello che è il peso, la pressione del payback farmaceutico, dall’altro però ci sono nuove criticità che dobbiamo tutti insieme affrontare, ad esempio l’impatto sulle Regioni".
L'Aifa "rimane disponibile in tutto questo scenario e noi siamo chiaramente un’istituzione pronta a dialogare con tutti, per far sì che queste disposizioni della Legge di Bilancio abbiano poi la loro finalità, da un lato verso la salute dei pazienti, dall’altro anche verso la sostenibilità del Ssn" ha concluso.
Roma, 13 mar. (Adnkronos Salute) - "I numeri parlano chiaro: 9 ,7 milioni di risparmi per il Ssn, e da maggio a novembre 2024 le farmacie territoriali hanno dispensato oltre 2 milioni di confezioni di farmaci antidiabetici a base di gliptine. Tradotto in termini significa milioni di accessi in più a farmaci essenziali, senza file in ospedale, senza doppi passaggi in farmacia per la distribuzione per conto, senza barriere burocratiche. Abbiamo semplificato la vita a centinaia di migliaia di pazienti diabetici, soprattutto anziani, che oggi possono ritirare le loro cure direttamente nella farmacia sotto casa". Lo ha detto il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, nel suo intervento oggi, al ministero, per l'evento 'Farmaco accessibile: bilanci e prospettive. Un anno dalla norma' .
"L'impatto economico del provvedimento è altrettanto significativo -sottolinea Gemmato - La spesa a carico del nostro Ssn è risultata inferiore rispetto a quanto si sarebbe verificato con la precedente modalità di distribuzione diretta e per conto, con un risparmio per il Ssn di 9,7 milioni di euro". Gemmato sottolinea l'importanza di quella che lui stesso definisce "una riforma gentile" che "consente al cittadino un migliore accesso alle cure e, di conseguenza, una migliore aderenza terapeutica", oltre "ad un risparmio per le casse dello Stato, mi sembra un ottimo risultato".
Sulla possibilità che altre classi di farmaci vengano riclassificate, come è successo per gli antidiabetici, Gemmato non ha dubbi: "Noi contiamo di spostare pezzo per pezzo - spiega - anno per anno, così come la legge prevede, con un monitoraggio di spesa, la maggior quantità possibile di farmaci, ma proprio per andare incontro al cittadino, ridurre il disagio, migliorare la compliance, l'adenza terapeutica". Ci sono alcuni farmaci che "ovviamente richiedono una dispensazione in ambiente protetto e controllato, quale è quell'ospedaliero, e quelli evidentemente non vengono toccati. Per tutta un'altra serie di farmaci, invece, si apre la possibilità dello spostamento e quindi anno per anno, con una logica di medio e di lungo periodo, sposteremo compatibilmente con il bilancio dello Stato, quindi tenendo sempre sotto controllo i conti dello Stato, sposteremo quante più categorie possibili".
Roma, 13 mar. (Adnkronos Salute) - "Rivedere il processo di distribuzione dei farmaci significa, poi, valorizzare il ruolo del farmacista nella promozione dell’aderenza terapeutica, contribuendo a una maggiore appropriatezza e costanza nelle terapie che nel caso dei tanti pazienti cronici, con più di una patologia, è molto significativo. Questo non solo migliora gli esiti clinici e riduce le complicanze, ma apporta benefici anche alla sostenibilità del servizio sanitario. Siamo quindi di fronte a un cambiamento atteso e, per molti aspetti, radicale, che richiede un monitoraggio costante. Dai dati il bilancio è positivo. La spesa per il Servizio sanitario nazionale risulta ridotta, offrendo margini concreti per proseguire su questa strada, con benefici tangibili per i pazienti". Lo ha detto il ministro della Salute Orazio Schillaci nel suo intervento oggi, al ministero, per l'evento 'Farmaco accessibile: bilanci e prospettive. Un anno dalla norma' promosso dal sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato.
"Proprio un anno fa ci siamo incontrati qui insieme a rappresentanti di istituzioni, società scientifiche, associazioni di pazienti e rappresentanti della filiera farmaceutica, per discutere questo significativo cambiamento: la possibilità per le farmacie convenzionate di dispensare farmaci precedentemente disponibili solo presso le strutture ospedaliere. Un passo in avanti che ha posto al centro le esigenze dei pazienti, semplificando il loro accesso alle cure - ha ricordato il ministro - Questo percorso ha radici lontane. Già nella precedente legislatura, grazie a un’indagine parlamentare promossa proprio dal sottosegretario Gemmato, era emersa la necessità di superare regole ormai datate, nate principalmente per contenere la spesa farmaceutica. Su queste basi è stata costruita la cornice normativa della Legge di bilancio 2024, con il coinvolgimento dell’Aifa e l’istituzione di un tavolo tecnico presso il ministero della Salute per monitorare gli effetti finanziari della misura e garantirne la sostenibilità".
"Le prestazioni farmaceutiche rappresentano un pilastro fondamentale dei Livelli Essenziali di Assistenza. Per questo, oltre all’analisi dell’impatto economico del provvedimento, è essenziale valutarne i benefici in termini di maggiore aderenza terapeutica, resa possibile da condizioni di accesso più semplice - ha aggiunto Schillaci - Le nuove disposizioni costituiscono un banco di prova della capacità del nostro servizio sanitario di innovarsi e rispondere con tempestività ai bisogni di salute cambiati dei cittadini. Abbiamo rafforzato il diritto dei cittadini ad accedere più facilmente ai farmaci; abbiamo risposto in particolare alle esigenze dei pazienti cronici e degli anziani che sono i principali fruitori della distribuzione diretta, e di chi vive nelle aree interne e più lontane dalle farmacie ospedaliere che osservano orari di lavoro limitati".
"Rivedere il processo di distribuzione dei farmaci significa, poi, valorizzare il ruolo del farmacista nella promozione dell’aderenza terapeutica, contribuendo a una maggiore appropriatezza e costanza nelle terapie che nel caso dei tanti pazienti cronici, con più di una patologia, è molto significativo. Questo non solo migliora gli esiti clinici e riduce le complicanze, ma apporta benefici anche alla sostenibilità del servizio sanitario", ha concluso.
Roma, 13 mar. (Adnkronos Salute) - Davvero positivo il bilancio della nuova modalità di distribuzione dei farmaci che ha trasferito la dispensazione di alcuni antidiabetici dall’ospedale alle farmacie territoriali. L'impatto della misura è stato tracciato oggi, al ministero della Salute, nel corso dell’evento 'Farmaco accessibile: bilanci e prospettive. Un anno dalla norma'. Promosso dal sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, l'incontro è stato aperto dai saluti istituzionali del ministro della Salute Orazio Schillaci e del sottosegretario al ministero dell’Economia e delle Finanze, Lucia Albano.
"Lo scorso anno avevamo definito questa misura epocale e oggi possiamo dire con certezza che lo è stata davvero", afferma Gemmato, sottolineando l’importanza della riforma. "Abbiamo aggiornato un sistema fermo da oltre vent’anni, garantendo ai cittadini un accesso più rapido e semplice ai farmaci e migliorando l’efficienza della spesa sanitaria. I numeri parlano chiaro - evidenzia il sottosegretario - da maggio a novembre 2024, le farmacie territoriali hanno dispensato oltre 2 milioni di confezioni di farmaci antidiabetici a base di gliptine. Tradotto in termini concreti, significa milioni di accessi in più a farmaci essenziali, senza file in ospedale, senza doppi passaggi in farmacia per la distribuzione per conto, senza barriere burocratiche. Abbiamo semplificato la vita a centinaia di migliaia di pazienti diabetici, soprattutto anziani, che oggi possono ritirare le loro cure direttamente nella farmacia sotto casa".
L’impatto economico del provvedimento - riporta una nota - è altrettanto significativo. La spesa a carico del Servizio sanitario nazionale è risultata inferiore rispetto a quanto si sarebbe verificato con la precedente modalità di distribuzione diretta e per conto, con un risparmio per il Ssn di 9,7 milioni di euro. "Abbiamo dimostrato - sottolinea Gemmato - che innovare non significa solo migliorare i servizi, ma anche ottimizzare le risorse pubbliche. Con questa misura abbiamo reso il sistema più sostenibile, senza costi aggiuntivi per i cittadini e con vantaggi concreti per tutti gli attori coinvolti. Questo risultato è stato possibile grazie a un nuovo modello di remunerazione delle farmacie e a un sistema di scontistica - chiarisce - che ha visto il coinvolgimento sinergico di industria, farmacie e istituzioni, su impulso della politica. Senza entrare in tecnicismi, possiamo dire, con il supporto delle rilevazioni del Tavolo di monitoraggio della spesa, che i numeri ci danno ragione e confermano la validità della strada intrapresa".
Guardando al futuro, il percorso di riforma proseguirà con ulteriori passi concreti. "Abbiamo dato mandato ad Aifa di individuare nuove categorie di farmaci da riclassificare, così da ampliare ulteriormente i benefici per i pazienti e per il sistema sanitario - annuncia Gemmato - In particolare, in continuità con quanto deciso anche in seno al Tavolo per il monitoraggio della spesa, proporremo di includere altre classi di farmaci con caratteristiche simili a quelle già riclassificate, a partire da quelli senza brevetto scaduto". L’Agenzia del farmaco, come previsto dalla norma, avrà tempo fino al 30 marzo 2025 per rivedere il prontuario della distribuzione dei farmaci e proporre nuove transizioni dalla distribuzione diretta e per conto a quella convenzionata. Il tutto sarà poi sottoposto alla Commissione scientifica ed economica del farmaco (Cse) e al Consiglio di amministrazione dell’Agenzia.
Nel corso dell’evento sono state ascoltate anche le testimonianze dei pazienti, che hanno evidenziato i benefici tangibili della riforma, in particolare per chi vive in zone remote o con difficoltà di accesso alle strutture ospedaliere. "Questa misura è nata da un’intuizione politica, ma si è realizzata grazie al lavoro congiunto del Governo, delle Regioni, della rete delle farmacie e dell’industria - conclude Gemmato - Abbiamo dimostrato che, con il giusto approccio, è possibile innovare la sanità pubblica rendendola più moderna, efficiente e vicina alle reali esigenze dei cittadini".