Il mondo FQ

Trump rinnega l’accordo Ocse sulla tassazione delle multinazionali. E minaccia ritorsioni contro i Paesi che hanno web tax: anche l’Italia

Un memorandum pubblicato sul sito della Casa Bianca lamenta che a" causa del Global Tax Deal e di altre pratiche fiscali estere discriminatorie le aziende americane potrebbero affrontare regimi fiscali internazionali ritorsivi". E prevede contromisure
Commenti

Non solo l‘uscita dall’Oms e dagli accordi di Parigi sul clima e la spada di Damocle dei dazi. Tra le prime mosse di Donald Trump da presidente c’è anche la decisione di ritirare gli Usa dall’intesa sulla tassazione globale delle multinazionali faticosamente raggiunta nel 2021 in sede Ocse. Con tanto di minaccia di ritorsioni nei confronti dei Paesi che abbiano adottato norme da cui derivano svantaggi per le compagnie statunitensi. All’identikit corrispondono l’intera Unione europea e la Gran Bretagna, dove dallo scorso anno è in vigore la global minimum tax del 15%. Ma nel mirino finiranno innanzitutto Italia, Austria, Francia e Spagna, che applicano unilateralmente delle imposte sui servizi digitali.

Il nuovo corso è stato annunciato con un memorandum presidenziale pubblicato sul sito della Casa Bianca poche ore dopo l’insediamento. Trump, che come è noto ha incassato il sostegno dei vertici delle principali Big tech, nel documento destinato al Segretario al Tesoro e al rappresentante permanente degli Usa presso l’Ocse lamenta che a” causa del Global Tax Deal” negoziato durante la presidenza Biden “e di altre pratiche fiscali estere discriminatorie le aziende americane potrebbero trovarsi ad affrontare regimi fiscali internazionali ritorsivi”. Che ostacolerebbero il suo obiettivo di ridurre ulteriormente le tasse versate dalle imprese e dalle fasce più benestanti. Dunque dispone che quell’accordo “non abbia effetto negli Stati Uniti”. Il Tesoro viene poi incaricato di stilare – e consegnare entro 60 giorni al presidente – una lista di possibili misure protettive da mettere in campo nei confronti dei Paesi che non rispettino i trattati fiscali in vigore con gli Usa o che applichino regole dannose per le corporation americane.

La tassa minima del 15% applicata dalla Ue – Cosa rischia la Ue? Per provare a capirlo serve un riassunto delle puntate precedenti. Da gennaio 2024 tutto il Vecchio Continente applica la direttiva che disciplina il cosiddetto “secondo pilastro” della riforma della tassazione delle multinazionali, cioè la tassa minima effettiva del 15% sui profitti. Una misura fin dall’inizio molto depotenziata rispetto agli auspici iniziali e che riguarda solo i gruppi con oltre 750 milioni di fatturato nel mondo. Ma in ogni caso si traduce nella possibilità di battere cassa dalle grandi aziende Usa. L’Italia conta di ricavarne poco meno di 400 milioni l’anno, che dovrebbero arrivare da una imposta minima nazionale pari alla differenza tra il 15% (livello minimo concordato dai Paesi Ocse) e l’imposizione effettiva a cui è soggetta l’impresa.

Gli Usa, nonostante l’intenzione dell’amministrazione Biden di adeguarsi all’accordo per prevenire l’elusione fiscale dei grandi gruppi, non hanno mai adottato la regola. Impongono solo una tassa minima (Global Intangible Low-Taxed Income, in acronimo Gilti) del 10,5% sul reddito delle controllate estere di società statunitensi: un regime nazionale non conforme alle regole Ocse. Sulla carta, se non ci saranno cambiamenti in futuro i 27 potrebbero imporre alle controllate che operano nei loro Paesi una tassazione suppletiva calcolata in base al numero di dipendenti e ai beni impiegati. Il memorandum dice, tra le righe, che Trump leggerebbe una scelta del genere come una violazione della sovranità fiscale e reagirebbe.

Nel mirino chi impone una digital tax – Nell’immediato, però, il tasto più dolente è quello che riguarda il cosiddetto “primo pilastro” dell’accordo, che prevede la redistribuzione del “diritto a tassare” una parte di utili tra tutti i Paesi in cui un gruppo è attivo. Avrebbe dovuto entrare in vigore, stando ai piani iniziali, più di un anno fa, ma al Senato Usa non c’è mai stata la maggioranza necessaria per far passare il necessario trattato fiscale internazionale. Trump non ne vuol sentire parlare e ora – come aveva già fatto in via preventiva nel 2019 – minaccia ritorsioni nei confronti dei Paesi che, in attesa di passi avanti su quel fronte, hanno mantenuto in vigore le loro digital tax nazionali in forza di un accordo di compromesso con Washington (nel frattempo scaduto).

In Italia aliquota del 3% sui ricavi – Nel gruppo c’è anche l’Italia, dove la web tax è tornata al centro del dibattito a fine 2024 quando il governo Meloni, nel ddl di Bilancio, ha proposto di estenderla anche alle piccole imprese. Forza Italia si è opposta e il blitz è sfumato, ma l’imposta resta in vigore nella forma precedente, che risale al 2020: si tratta un’aliquota del 3% sui ricavi – non gli utili – da pubblicità digitale, accesso alle piattaforme web e trasmissione di dati raccolti dagli utenti per le aziende con ricavi globali sopra i 750 milioni. Il gettito è di circa 390 milioni l’anno, in valore assoluto cifra trascurabile per i grandi gruppi tech. Sufficiente, però, per far scattare la risposta della nuova amministrazione statunitense in nome dell'”interesse delle imprese e dei lavoratori americani”.

Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione