“I poteri forti hanno coperto l’assassino di Simonetta”: a dirlo, stavolta, è Paola Cesaroni, la sorella della ragazza brutalmente assassinata il 7 agosto del 1990 negli uffici degli Ostelli della Gioventù in via Carlo Poma. Quel giorno, Simonetta ci arrivò in metro dalla fermata di Subaugusta, nel suo quartiere di Cinecittà per quello che sarebbe stato il suo ultimo giorno di lavoro prima delle ferie. “C’è stata una volontà sin da subito di non trovare l’assassino di mia sorella”, dice Paola in un’intervista rilasciata a Repubblica. Una delle poche che squarciano il silenzio che ha sempre caratterizzato la famiglia Cesaroni dalla morte di Simonetta e del padre Claudio, e dopo l’ultimo e unico processo che ha visto come imputato l’allora fidanzato di Simonetta Raniero Busco che è stato assolto fino in Cassazione perché estraneo ai fatti. Busco non è assolutamente coinvolto nell’omicidio della ragazza così come gli altri indagati poi prosciolti, nell’ordine: il portiere Pietrino Vanacore, suo figlio Mario e Federico Valle. Sono tutti risultati estranei ai fatti ma allora chi ha ucciso Simonetta quel giorno sul posto di lavoro? C’è un’inchiesta, riaperta nel 2022, che si spera potrà risolvere il giallo dell’estate di Italia 90.
“Che sia vivo o morto, voglio sapere chi ha ucciso mia sorella con 29 coltellate”, dice oggi Paola al giornalista Giacomo Galanti. La Cesaroni condivide anche l’ipotesi riportata dal Gip Giulia Arcieri che ha respinto la richiesta di archiviazione: quella di “poteri forti che avrebbero inquinato le indagini fin da subito” (fonte: Repubblica). “L’ufficio degli ostelli dove è stata uccisa Simonetta è stato posto sotto sequestro solo per cinque giorni”, dice Paola. “Quando è arrivato il momento di togliere i sigilli, l’orario prestabilito era mezzogiorno ma alle nove di mattina c’era già il presidente degli ostelli Francesco Caracciolo di Sarno che portava via faldoni pieni di documenti. Chi può violare i sigilli dell’autorità? Credo nessuno”, aggiunge.
L’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno, scomparso nel 2016, pur essendo il datore di lavoro di Simonetta, durante il processo ha sempre negato di averla vista o conosciuta: non sapeva chi fosse questa sua dipendente, ribadì anche durante il processo. “La cosa strana – fa notare Paola Cesaroni – è che già il 7 agosto, prima di ritrovare il cadavere di Simonetta, tutti cercavano Caracciolo”. Questa circostanza è emersa da alcune intercettazioni ambientali e telefoniche messe agli atti secondo cui l’avvocato fu contattato nella sua casa di campagna nel rietino, dagli uffici degli Ostelli in via Poma, molto prima che Paola e il suo fidanzato andassero a cercare Simonetta a mezzanotte per trovarla esanime sul pavimento, il suo corpo flagellato.
“Evidentemente era necessario agire in quel modo, per tutelare loro stessi o proteggere qualcun altro, lo pensa anche la Gip”, afferma la Cesaroni. “Non parlerei di sfortuna”, dice Paola in merito alle indagini che purtroppo non hanno portato a identificare l’assassino in 35 anni, “ma forse di qualche imperizia, errori e poi di una precisa volontà. Come dice la Gip, la mano di qualcuno di forte c’è stata” (fonte: Repubblica). La Arcieri nella sua ordinanza chiede anche di ripartire dalle prove scientifiche: quel sangue di gruppo A rinvenuto sulla porta della stanza in cui fu ammazzata Simonetta. Come sottolinea la sorella della vittima, ed è ben noto, “Anche per le persone decedute, attraverso fratelli e figli, si può risalire al Dna”.