Lunedì abbiamo commemorato la Giornata della memoria. Il 27 gennaio di 80 anni fa, nel 1945, la sessantesima armata dell’esercito sovietico varcò i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz e l’orrore dell’olocausto divenne un fatto conosciuto a livello mondiale. Ricordiamo questa data per segnare, nella storia dell’umanità, una rottura radicale, una discontinuità: l’olocausto non solo non deve essere dimenticato ma deve essere ricordato affinché l’orrore che richiama non sia più ripetibile, affinché quell’orrore diventi tabù. Il tentativo di far scomparire il popolo ebraico dalla faccia della terra deve essere rammemorato e quella sofferenza indicibile deve dare luogo ad un insegnamento fondativo per l’umanità.

Il delirio nazista che ha coniugato il massimo della razionalità tecnologica con il disegno inumano di sterminare ebrei, zingari, omosessuali, comunisti e così via, deve diventare tabù. La barbarie nazista di sterminare una parte dell’umanità – un disegno incompatibile con il concetto di umanità – deve diventare tabù. Quella della memoria è quindi una Giornata dal valore universale che ha un obiettivo universale: non deve accadere mai più, mai più per nessuno.

Come abbiamo visto ieri, questa Giornata altamente simbolica è oggi messa in discussione, attaccata.

Anni addietro è stata attaccata dal revisionismo storico che negava l’Olocausto sia nelle dimensioni che nella qualità del disegno criminale. Questo attacco persiste ma non ha mai avuto grandi successi. Oggi assistiamo ad un altro attacco al significato dell’Olocausto, un attacco molto più infido e pericoloso che non avviene in forma esplicita ma subdola: non pone in discussione la Giornata della memoria ma ne rovescia il significato. Per certi versi si può dire che viene dall’interno: più che attaccata, la Giornata della memoria viene corrosa, modificata per osmosi, ne viene stravolto il significato in modo da mantenerne le forme tradendone la sostanza.

Il soggetto principe di questo tentativo di stravolgimento è il governo israeliano presieduto da Benjamin Netanyahu. Nella vulgata del governo israeliano la Giornata della memoria perde ogni valenza universale: il “mai più per nessuno” viene trasformato in un “mai più per noi”. Il soggetto non è più l’umanità e la necessità di impedire che nessun popolo, nessun aggregato di persone debba subire un nuovo olocausto: il significato viene ristretto al “noi” dove il noi significa nessun ebreo, nessun israeliano.

Questo abbandono del significato universale della Giornata della memoria diventa la giustificazione per due stravolgimenti ulteriori: da un lato l’Olocausto diventa la giustificazione per lo Stato di Israele di infliggere ad altri sofferenze simili a quelle che ha subito il popolo ebraico, purché queste vengano motivate dalla necessità di difendersi. Infine Netanyahu amplia a dismisura questo concetto presentando ogni atto ostile nei confronti di Israele come se si trattasse dell’inizio di un nuovo olocausto.

In questo modo l’Olocausto diventa la giustificazione di qualsivoglia politica dello stato di Israele. Nella versione di Netanyahu la Giornata della memoria non è più un messaggio universale, una presa di coscienza di tutta l’umanità a partire dalla sofferenza inflitta dai nazisti al popolo ebraico, ma al contrario diventa una giustificazione totale per lo stato di Israele nell’infliggere ogni sofferenza al popolo palestinese, praticare il genocidio e la pulizia etnica in Palestina, senza che per questo debba essere giudicato.

Dalla sofferenza indicibile dell’Olocausto non emerge il: “mai più per nessuno”, ma piuttosto la piena impunità per la criminale azione dello stato di Israele.

Il problema è aggravato dal fatto che i governi occidentali condividono in modo pressoché integrale questa impostazione negazionista di Netanyahu e la estendono. Che alle cerimonia che si è tenuta ad Auschwitz, per il terzo anno consecutivo, non sia stato invitato il governo russo – che rappresenta quell’armata Rossa che concretamente chiuse il campo di concentramento e liberò gli ultimi sopravvissuti – si muove nella stessa logica del revisionismo di Netanyahu.

Da un lato Netanyahu utilizza l’olocausto come giustificazione universale dei propri crimini, dall’altra i paesi europei riscrivono la storia della liberazione e – negandone il valore universale – riducono l’Olocausto a schieramento geopolitico.

Il significato della Giornata della memoria, il tentativo di introdurre una discontinuità nella storia dell’umanità che elevasse a tabù l’Olocausto, è quindi sotto attacco, in Occidente, da parte delle classi dominanti che da un lato lo vogliono trasformare in una giustificazione degli orribili crimini dello stato israeliano e dall’altra lo banalizzano abbandonando il valore fondativo della lotta contro il nazifascismo.

Penso che sconfiggere questo revisionismo storico delle elites occidentali – sudbolo e pericoloso perché cancella riscrivendo – è uno dei grandi compiti storici di chi oggi difende la giornata della memoria e ripete “mai più per nessuno”. Perché la sacralità della lotta contro il nazifascismo e la sua barbarie inumana è il solo terreno solido su cui si possa costruire una qualunque forma di convivenza civile: tra tutti e tutte, non solo per qualcuno.

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