Talvolta le parole uccidono più di una lupara. Ed è quello che accadde al magistrato Giovanni Falcone, che dovette subire l’inquisizione al Csm per difendersi da accuse infamanti: aver occultato nei cassetti indagini su mafia e politica. Io non vedo film, fiction che parlano di mafia e non leggo nemmeno libri sul tema. E quindi la mia ritrosia sui fatti di mafia raccontati nei film e libri nasce dal mio passato fatto di emozioni, dolori ed eventi barbari, per aver visto decine e decine di uomini ammazzati dalla mafia.
Di contro, però, a me piace leggere migliaia di documenti processuali riguardanti alcuni omicidi commessi da Cosa nostra. E da questa lettura, traggo il convincimento che spesso la realtà processuale è diversa da come alcuni media la disvelano. Spesso noto una narrazione diversa, seppur estrapolata dal medesimo processo, da giornali e giornali o tv, e quindi sono portato a pensare che ognuno tiri l’acqua al proprio mulino ideologico. Ed ecco che poi nasce la canea di fan di quella o quell’altra verità: il derby della verità. In parole povere, nascono teoremi che nemmeno la verità processuale col bollo della Cassazione riesce a debellare.
Ho appena finito di leggere il “verbale nr 61” della Prima commissione referente del Csm, datato 15 ottobre 1991, dell’audizione di Falcone. In alcuni passaggi, sono stato costretto a interrompere la lettura per la troppa emozione, specie quando Falcone racconta un episodio in cui eravamo stati coinvolti prima di iniziare un interrogatorio. Sono stato costretto ad una pausa riflessiva e ciò mi ha consentito di volgere lo sguardo al passato, rivedendo il film dei nostri rapporti, soprattutto negli interrogatori di pentiti o quella bellissima “ora d’aria” che ci concedemmo nel cortile del carcere Casetti di Rimini, sugli inizi degli anni 90. L’ultima volta che avevo incontrato Falcone fu a Roma – erano gli ultimi mesi del 1989 – in occasione degli interrogatori di Marino Mannoia aveva chiesto a De Gennaro la mia presenza.
L’audizione di Falcone durò 4 ore, e leggendola non si può fare a meno di rattristarsi e anche tanto. Ha raccontato la vox populi che lo indicavano come colui che aveva posto sugli scogli l’esplosivo nel mancato attentato all’Addaura: per farsi pubblicità, dissero. Assurdo! Ma in tanti non sanno che già nei primi anni 80, Cosa nostra aveva pianificato un agguato nei suoi confronti, che doveva avvenire nella strettoia dell’uscita del parco Della Favorita, in direzione Mondello. Il commando capitanato da “U Tignusu” ci rinunciò perché a Falcone fu aumentata la scorta. Leggere il verbale del Csm è come ricevere un pugno sullo stomaco. Falcone si è dovuto difendere da accuse rivoltegli da noti personaggi palermitani.
Nell’audizione, nonostante le obbrobriose accuse, egli dimostrò di essere un grand’uomo dello Stato, direi un patriota del Diritto, disse: “I sospetti sono stati lanciati, sono stati respinti, e per doveroso rispetto nei confronti del Csm finora non si è fatto nulla. Non si può andare avanti in questa maniera, questo sia chiaro, non è possibile; questo è un linciaggio morale continuo. Io sono in grado di resistere ma altri colleghi di meno. Io vorrei che voi vedeste che tipo di atmosfera c’è per adesso a Palermo. Ma veramente non lavorano più! Si trovano in una situazione estremamente demotivata e delegittimata, sono guardati con estremo sospetto da tutti. Per carità voi fate tutto e per intero il vostro dovere, ma tenete conto anche di questo, perché io li conosco questi ragazzi, non possono essere guardati…”. Difendeva a spada tratta i suoi giovani colleghi della Procura.
Parimenti è stato costretto a difendere una persona a me molto cara, Lillo Zucchetto, assassinato il 14 novembre 1982. Io ero il suo capo pattuglia e anche questa volta i miei occhi si sono inumiditi. Falcone, continua riferendosi ai personaggi che l’accusavano: “Diceva Dalla Chiesa, nel suo diario, che Palermo è una ‘città di prestigio’ e lui stesso ha messo questa frase bellissima fra virgolette. Facendo in certa maniera, come fanno – non voi – loro, le conseguenze saranno incalcolabili. Ma veramente incalcolabili”.
Aveva ragione: “le conseguenze incalcolabili” si materializzarono il 23 maggio 92 a Capaci, erano appena trascorsi 6 mesi. Eppoi, diventarono tutti suoi amici. Chiudo col pensiero di Giovanni Falcone: “La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, la cultura del sospetto è l’anticamera del Komeinismo”. Mi auguro che dotti ed eminenti giuristi, giornalisti e politici ne tengano conto.
Pippo Giordano
Ex ispettore DIA
Mafie - 28 Gennaio 2025
La realtà processuale è spesso diversa da come viene raccontata dai media: un aneddoto su Falcone
Talvolta le parole uccidono più di una lupara. Ed è quello che accadde al magistrato Giovanni Falcone, che dovette subire l’inquisizione al Csm per difendersi da accuse infamanti: aver occultato nei cassetti indagini su mafia e politica. Io non vedo film, fiction che parlano di mafia e non leggo nemmeno libri sul tema. E quindi la mia ritrosia sui fatti di mafia raccontati nei film e libri nasce dal mio passato fatto di emozioni, dolori ed eventi barbari, per aver visto decine e decine di uomini ammazzati dalla mafia.
Di contro, però, a me piace leggere migliaia di documenti processuali riguardanti alcuni omicidi commessi da Cosa nostra. E da questa lettura, traggo il convincimento che spesso la realtà processuale è diversa da come alcuni media la disvelano. Spesso noto una narrazione diversa, seppur estrapolata dal medesimo processo, da giornali e giornali o tv, e quindi sono portato a pensare che ognuno tiri l’acqua al proprio mulino ideologico. Ed ecco che poi nasce la canea di fan di quella o quell’altra verità: il derby della verità. In parole povere, nascono teoremi che nemmeno la verità processuale col bollo della Cassazione riesce a debellare.
Ho appena finito di leggere il “verbale nr 61” della Prima commissione referente del Csm, datato 15 ottobre 1991, dell’audizione di Falcone. In alcuni passaggi, sono stato costretto a interrompere la lettura per la troppa emozione, specie quando Falcone racconta un episodio in cui eravamo stati coinvolti prima di iniziare un interrogatorio. Sono stato costretto ad una pausa riflessiva e ciò mi ha consentito di volgere lo sguardo al passato, rivedendo il film dei nostri rapporti, soprattutto negli interrogatori di pentiti o quella bellissima “ora d’aria” che ci concedemmo nel cortile del carcere Casetti di Rimini, sugli inizi degli anni 90. L’ultima volta che avevo incontrato Falcone fu a Roma – erano gli ultimi mesi del 1989 – in occasione degli interrogatori di Marino Mannoia aveva chiesto a De Gennaro la mia presenza.
L’audizione di Falcone durò 4 ore, e leggendola non si può fare a meno di rattristarsi e anche tanto. Ha raccontato la vox populi che lo indicavano come colui che aveva posto sugli scogli l’esplosivo nel mancato attentato all’Addaura: per farsi pubblicità, dissero. Assurdo! Ma in tanti non sanno che già nei primi anni 80, Cosa nostra aveva pianificato un agguato nei suoi confronti, che doveva avvenire nella strettoia dell’uscita del parco Della Favorita, in direzione Mondello. Il commando capitanato da “U Tignusu” ci rinunciò perché a Falcone fu aumentata la scorta. Leggere il verbale del Csm è come ricevere un pugno sullo stomaco. Falcone si è dovuto difendere da accuse rivoltegli da noti personaggi palermitani.
Nell’audizione, nonostante le obbrobriose accuse, egli dimostrò di essere un grand’uomo dello Stato, direi un patriota del Diritto, disse: “I sospetti sono stati lanciati, sono stati respinti, e per doveroso rispetto nei confronti del Csm finora non si è fatto nulla. Non si può andare avanti in questa maniera, questo sia chiaro, non è possibile; questo è un linciaggio morale continuo. Io sono in grado di resistere ma altri colleghi di meno. Io vorrei che voi vedeste che tipo di atmosfera c’è per adesso a Palermo. Ma veramente non lavorano più! Si trovano in una situazione estremamente demotivata e delegittimata, sono guardati con estremo sospetto da tutti. Per carità voi fate tutto e per intero il vostro dovere, ma tenete conto anche di questo, perché io li conosco questi ragazzi, non possono essere guardati…”. Difendeva a spada tratta i suoi giovani colleghi della Procura.
Parimenti è stato costretto a difendere una persona a me molto cara, Lillo Zucchetto, assassinato il 14 novembre 1982. Io ero il suo capo pattuglia e anche questa volta i miei occhi si sono inumiditi. Falcone, continua riferendosi ai personaggi che l’accusavano: “Diceva Dalla Chiesa, nel suo diario, che Palermo è una ‘città di prestigio’ e lui stesso ha messo questa frase bellissima fra virgolette. Facendo in certa maniera, come fanno – non voi – loro, le conseguenze saranno incalcolabili. Ma veramente incalcolabili”.
Aveva ragione: “le conseguenze incalcolabili” si materializzarono il 23 maggio 92 a Capaci, erano appena trascorsi 6 mesi. Eppoi, diventarono tutti suoi amici. Chiudo col pensiero di Giovanni Falcone: “La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, la cultura del sospetto è l’anticamera del Komeinismo”. Mi auguro che dotti ed eminenti giuristi, giornalisti e politici ne tengano conto.
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Beirut, 17 feb. (Adnkronos) - Il governo libanese ha annunciato di aver approvato una risoluzione secondo cui soltanto lo Stato potrà possedere armi. La risoluzione chiede di fatto il disarmo di Hezbollah e include l'impegno a rispettare la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Roma, 17 feb. (Adnkronos) - Ha ribadito le perplessità sul formato del vertice di Parigi, sull'invio di truppe europee in Ucraina e la necessità di percorrere strade che prevedano il coinvolgimento degli Stati Uniti. Queste le linee, a quanto si apprende, dell'intervento della premier Giorgia Meloni oggi al summit a Parigi convocato da Emmanuel Macron alla presenza del britannico Keir Starmer, del premier olandese, Dick Schoof, del cancelliere tedesco Olaf Scholz, del capo del governo polacco Donald Tusk e del primo ministro spagnolo Pedro Sanchez. All'Eliseo anche il segretario generale della Nato, Mark Rutte e i vertici Ue, Antonio Costa e Ursula von der Leyen.
Meloni, a quanto si apprende, ha sottolineato di aver voluto essere presente per non rinunciare a portare il punto di vista dell’Italia, ma di avere espresso le sue perplessità riguardo un formato che, a suo giudizio, esclude molti Paesi, a partire da quelle più esposti al rischio di estensione del conflitto, anziché includere, come sarebbe opportuno fare in una fase storica come questa. Anche perché, avrebbe rimarcato la premier, la guerra in Ucraina l’abbiamo pagata tutti.
Per l'Italia le questioni centrali rimangono le garanzie di sicurezza per l’Ucraina, perché senza queste ogni negoziato rischia di fallire. Quindi Meloni avrebbe rimarcato l'utilità di un confronto tra le varie ipotesi in campo, osservando come quella che prevede il dispiegamento di soldati europei in Ucraina appaia come la più complessa e forse la meno efficace. Una strada su cui l'Italia avrebbe mostrato le sue perplessità al tavolo.
Secondo Meloni, a quanto viene riferito, andrebbero esplorate altre strade che prevedano il coinvolgimento anche degli Stati Uniti, perché è nel contesto euro-atlantico che si fonda la sicurezza europea e americana. La premier avrebbe definito una sferzata sul ruolo dell'Europa quella lanciata dall'amministrazione Usa ma ricordando che prima di questa analoghe considerazioni sono state già state fatte da importanti personalità europee. È una sfida, avrebbe quindi sottolineato, per essere più concreti e concentrarsi sulle cose davvero importanti, come la necessità di difendere la nostra sicurezza a 360 gradi, i nostri confini, i nostri cittadini, il nostro sistema produttivo.
Secondo la presidente del Consiglio sono i cittadini europei a chiederlo: non dobbiamo chiederci cosa gli americani possono fare per noi, ma cosa noi dobbiamo fare per noi stessi.
Meloni avrebbe quindi rimarcato come il formato del summit all'Eliseo non vada considerato come un formato anti-Trump. Tutt’altro. Gli Stati Uniti lavorano a giungere ad una pace in Ucraina e noi dobbiamo fare la nostra parte, la sollecitazione della premier italiana. Meloni infine, sempre a quanto si apprende, avrebbe manifestato condivisione per il senso della parole del Vice Presidente degli Stati Uniti Vance, ricordando di aver espresso concetti simili in precedenza. Ancora prima di garantire la sicurezza in Europa, avrebbe sottolineato Meloni, è necessario sapere che cosa stiamo difendendo.
Parigi, 17 feb. (Adnkronos/Afp) - "La Russia minaccia tutta l'Europa". Lo ha detto la premier danese Mette Frederiksen dopo i colloqui di emergenza a Parigi sul cambiamento di politica degli Stati Uniti sulla guerra in Ucraina.
La guerra in Ucraina riguarda i "sogni imperialisti di Mosca, di costruire una Russia più forte e più grande, e non credo che si fermeranno in Ucraina", ha detto ai giornalisti, mettendo in guardia gli Stati Uniti dai tentativi di concordare un cessate il fuoco "rapido" che darebbe alla Russia la possibilità di "mobilitarsi di nuovo, attaccare l'Ucraina o un altro paese in Europa".
Parigi, 17 feb. (Adnkronos) - "Oggi a Parigi abbiamo ribadito che l'Ucraina merita la pace attraverso la forza. Una pace rispettosa della sua indipendenza, sovranità, integrità territoriale, con forti garanzie di sicurezza. L'Europa si fa carico della sua intera quota di assistenza militare all'Ucraina. Allo stesso tempo abbiamo bisogno di un rafforzamento della difesa in Europa". Lo ha scritto su X la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.