“Le ferite sono tante e pesanti, ho deciso di iniziare un percorso con uno psicologo”. Stephane Omeonga non dimenticherà mai il giorno di Natale 2024. Intervistato dal Corriere della Sera, l’ex calciatore del Genoa ha ricordato di quando è stato costretto dalla polizia italiana a scendere forzatamente dall’aereo che da Roma Fiumicino lo avrebbe portato a Tel Aviv per poi, una volta ammanettato, essere buttato a terra e successivamente malmenato dagli agenti.

“Ho chiesto solo spiegazioni. Mi dissero che ero nella black list d’Israele e che devo scendere”, ha ricordato Omeonga prima di tornare sul fattaccio: “Si vede anche nel video, non ho alzato la voce o opposto resistenza. Mi hanno ammanettato e poi preso per il collo davanti a tutti i passeggeri dell’areo. Un’umiliazione enorme, mi sono sentito un criminale”. L’agente di polizia gli ha poi messo un ginocchio sul petto e l’altra gamba di fianco alla testa: “Stavo pensando a George Floyd, faticavo a respirare. Stavo male. Poi l’agente mi ha spinto contro la finestra e mi ha tirato un pugno in faccia”. In tutto questo, il giovane ricorda anche una frase pronunciata dall’agente: “Siete sempre voi neri. Perché hai fatto tutto quel casino? È colpa tua. A me non frega un c***o se sei un calciatore”. Un volta caricato in macchina e condotto in cella, Omeonga ha avuto modo di parlare con altri poliziotti: “Quando hanno saputo che avevo giocato in Serie A mi hanno trattato con maggior rispetto. E se invece fossi stato un qualsiasi ragazzo nero? Non voglio immaginare”. L’agente che l’ha malmenato tornò mostrandogli una denuncia per aggressione: “Con questa non giochi più. Contro di noi non puoi fare nulla, sei il colpevole e ora sei nella m***a”. L’ex Genoa ha quindi ammesso di essersi sentito impotente: “Non sono uscito di casa per giorni. Fatico tuttora ad accettare quello che è successo. Sono ferite difficili da guarire. Ho anche pensato di smettere di giocare a calcio. In me c’era un senso di vuoto, sono caduto in depressione“.

Le accuse di essere una persona non gradita allo Stato d’Israele non erano fondate. In un’intervista al giornale belga La dernière heure il calciatore ha replicato a quanto sostenuto dalle forze dell’ordine: “Hanno cercato di dare la colpa all’immigrazione israeliana che mi ha negato l’accesso al Paese. Ma li ho contattati il giorno dopo il fermo per sapere se era vero e mi hanno detto che non lo era. Ho un permesso di lavoro valido e posso andare lì quando voglio”. Il tutto senza considerare che “nessuno mi aveva detto nulla al check-in e al controllo di frontiera”. Ma Omeonga farà denuncia? “Non so se me la sento. Farla contro un agente significa farla contro un sistema in cui vive anche un po’ di razzismo. Mi sembra una battaglia legale impossibile da vincere, ma voglio raccontare quello che è successo affinché possa essere d’aiuto per altre persone che subiscono razzismo”.

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