La vicenda Almasri non è solo una questione giudiziaria. È uno specchio impietoso che riflette le contraddizioni, le omissioni e le responsabilità di chi governa il Paese.
L’iscrizione nel registro degli indagati della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, insieme ad altri membri del suo governo, è un colpo secco al cuore della politica italiana. Un episodio che non solo getta ombre sulla gestione della giustizia e della sicurezza nel nostro Paese, ma dimostra anche quanto la politica possa intrecciarsi con le vicende giudiziarie, creando una palude di conflitti di interesse e dubbi su trasparenza e imparzialità.
La decisione di iscrivere nel registro degli indagati Meloni, insieme ai ministri della Giustizia e dell’Interno, non è un dettaglio marginale. Meloni, che si era sempre presentata come una paladina della sicurezza e dell’ordine, rischia di vedere intaccata la sua immagine di leader invincibile, incapace di vedere oltre gli interessi di partito. La politica di sostegno ai poteri forti e la protezione dei “servizi” viene messa in discussione da un tribunale che vorrebbe fare luce su una trama opaca che, fino a questo momento, sembrava essere stata tenuta sotto il tappeto.
Le accuse non sono facili da ignorare e pongono domande scomode sulla trasparenza delle azioni di governo e sul livello di controllo che il nostro Paese ha, o non ha, esercitato sulle operazioni internazionali condotte in nome della sicurezza. I ministri coinvolti dovranno rispondere delle loro scelte politiche e delle potenziali violazioni che potrebbero non solo compromettere la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, ma mettere in discussione i principi democratici stessi.
L’affaire Almasri è solo l’ultimo capitolo di una lunga serie di scandali che segnano la cronaca italiana dagli albori della Repubblica, un Paese che sembra incapace di liberarsi di una politica fatta di opacità e contatti pericolosi. Se avverrà un rinvio a giudizio e si arrivasse mai a un processo (cosa improbabile), Meloni e i suoi alleati dovranno comunque confrontarsi con una fragile, supposta stabilità del loro governo.
L’Italia vive da decenni una crisi che non è solo economica o sociale, ma soprattutto politica e morale. Ogni volta che si forma un governo, sembra inevitabile un corollario di scandali, di inchieste e di accuse di malagestione, per non parlare – a volte – di palese illegalità. Questo non è un fenomeno che può essere spiegato come un’eccezione, un incidente. Piuttosto, è il risultato di una classe dirigente che ha sempre costruito le proprie fondamenta su alleanze utilitaristiche, su promesse vuote e su compromessi con poteri esterni, quando non direttamente con regimi autoritari e situazioni che sfiorano la violazione dei diritti umani. Il caso Almasri è un chiaro esempio. La gestione di situazioni internazionali delicate e potenzialmente controverse – come quelle che coinvolgono la Libia o altri Paesi dove i diritti fondamentali sono calpestati – solleva interrogativi non solo sulla politica estera italiana, ma anche sull’etica di chi sta al potere. Come se non fosse mai abbastanza, la politica stessa oscilla in una perenne tensione tra la necessità di garantire un’illusoria stabilità e il rischio di compromettere i principi democratici fondamentali di giustizia, trasparenza e solidarietà.
È in questo contesto che una riflessione sull’elettore italiano diventa cruciale. In una democrazia matura, ci si aspetterebbe che l’elettorato esercitasse un voto consapevole, fondato su valori chiari di giustizia, legalità, e rispetto dei diritti umani. Tuttavia, in Italia – come accade in molte altre democrazie occidentali in crisi – sembra che molti elettori scelgano figure politiche nonostante – o a causa di – una certa opacità e incoerenza nei loro comportamenti. È frustrazione quella degli elettori, di fronte a decenni di delusioni politiche, crisi economiche e ingiustizie sociali.
L’elettore italiano che vota per un partito come quello di Meloni potrebbe farlo spinto da una sensazione di “necessità” di cambiamento, di rottura con il passato, e magari anche dalla promessa di un ordine nuovo, più sicuro e più “forte”. In questo clima, coerenza, legalità e diritti umani passano spesso in secondo piano, o vengono giustificati con la necessità di proteggere la nazione da minacce esterne o interne. È la logica della “sicurezza a qualsiasi costo”, che ha sempre avuto un forte appeal in periodi di incertezze e paure collettive.
In alcuni casi, inoltre, c’è un fenomeno di disillusione che porta gli elettori a considerare il “male minore”, votando per un tal politico che percepiscono come l’unico capace di affrontare i loro problemi concreti, anche se questo implica fare compromessi con i propri valori etici o legali. È il trionfo della pragmatica sulla morale, della ricerca di soluzioni rapide a fronte di un sistema che appare ingessato e incapace di rispondere alle emergenze quotidiane della gente.
Questa “scelta pragmatica” non è mai priva di conseguenze. I compromessi con regimi autoritari, con i poteri occulti o con pratiche discutibili possono garantire una stabilità apparente, ma lasciano dietro di sé una scia di macerie morali e giuridiche. Ogni governo che si forma su queste basi non è destinato a durare a lungo senza far emergere le crepe della sua costruzione.
Ivo Mej
Caporedattore Coffee Break La7
Politica - 29 Gennaio 2025
Caso Almasri: non solo una questione giudiziaria, ma un colpo secco al cuore della politica
La vicenda Almasri non è solo una questione giudiziaria. È uno specchio impietoso che riflette le contraddizioni, le omissioni e le responsabilità di chi governa il Paese.
L’iscrizione nel registro degli indagati della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, insieme ad altri membri del suo governo, è un colpo secco al cuore della politica italiana. Un episodio che non solo getta ombre sulla gestione della giustizia e della sicurezza nel nostro Paese, ma dimostra anche quanto la politica possa intrecciarsi con le vicende giudiziarie, creando una palude di conflitti di interesse e dubbi su trasparenza e imparzialità.
La decisione di iscrivere nel registro degli indagati Meloni, insieme ai ministri della Giustizia e dell’Interno, non è un dettaglio marginale. Meloni, che si era sempre presentata come una paladina della sicurezza e dell’ordine, rischia di vedere intaccata la sua immagine di leader invincibile, incapace di vedere oltre gli interessi di partito. La politica di sostegno ai poteri forti e la protezione dei “servizi” viene messa in discussione da un tribunale che vorrebbe fare luce su una trama opaca che, fino a questo momento, sembrava essere stata tenuta sotto il tappeto.
Le accuse non sono facili da ignorare e pongono domande scomode sulla trasparenza delle azioni di governo e sul livello di controllo che il nostro Paese ha, o non ha, esercitato sulle operazioni internazionali condotte in nome della sicurezza. I ministri coinvolti dovranno rispondere delle loro scelte politiche e delle potenziali violazioni che potrebbero non solo compromettere la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, ma mettere in discussione i principi democratici stessi.
L’affaire Almasri è solo l’ultimo capitolo di una lunga serie di scandali che segnano la cronaca italiana dagli albori della Repubblica, un Paese che sembra incapace di liberarsi di una politica fatta di opacità e contatti pericolosi. Se avverrà un rinvio a giudizio e si arrivasse mai a un processo (cosa improbabile), Meloni e i suoi alleati dovranno comunque confrontarsi con una fragile, supposta stabilità del loro governo.
L’Italia vive da decenni una crisi che non è solo economica o sociale, ma soprattutto politica e morale. Ogni volta che si forma un governo, sembra inevitabile un corollario di scandali, di inchieste e di accuse di malagestione, per non parlare – a volte – di palese illegalità. Questo non è un fenomeno che può essere spiegato come un’eccezione, un incidente. Piuttosto, è il risultato di una classe dirigente che ha sempre costruito le proprie fondamenta su alleanze utilitaristiche, su promesse vuote e su compromessi con poteri esterni, quando non direttamente con regimi autoritari e situazioni che sfiorano la violazione dei diritti umani. Il caso Almasri è un chiaro esempio. La gestione di situazioni internazionali delicate e potenzialmente controverse – come quelle che coinvolgono la Libia o altri Paesi dove i diritti fondamentali sono calpestati – solleva interrogativi non solo sulla politica estera italiana, ma anche sull’etica di chi sta al potere. Come se non fosse mai abbastanza, la politica stessa oscilla in una perenne tensione tra la necessità di garantire un’illusoria stabilità e il rischio di compromettere i principi democratici fondamentali di giustizia, trasparenza e solidarietà.
È in questo contesto che una riflessione sull’elettore italiano diventa cruciale. In una democrazia matura, ci si aspetterebbe che l’elettorato esercitasse un voto consapevole, fondato su valori chiari di giustizia, legalità, e rispetto dei diritti umani. Tuttavia, in Italia – come accade in molte altre democrazie occidentali in crisi – sembra che molti elettori scelgano figure politiche nonostante – o a causa di – una certa opacità e incoerenza nei loro comportamenti. È frustrazione quella degli elettori, di fronte a decenni di delusioni politiche, crisi economiche e ingiustizie sociali.
L’elettore italiano che vota per un partito come quello di Meloni potrebbe farlo spinto da una sensazione di “necessità” di cambiamento, di rottura con il passato, e magari anche dalla promessa di un ordine nuovo, più sicuro e più “forte”. In questo clima, coerenza, legalità e diritti umani passano spesso in secondo piano, o vengono giustificati con la necessità di proteggere la nazione da minacce esterne o interne. È la logica della “sicurezza a qualsiasi costo”, che ha sempre avuto un forte appeal in periodi di incertezze e paure collettive.
In alcuni casi, inoltre, c’è un fenomeno di disillusione che porta gli elettori a considerare il “male minore”, votando per un tal politico che percepiscono come l’unico capace di affrontare i loro problemi concreti, anche se questo implica fare compromessi con i propri valori etici o legali. È il trionfo della pragmatica sulla morale, della ricerca di soluzioni rapide a fronte di un sistema che appare ingessato e incapace di rispondere alle emergenze quotidiane della gente.
Questa “scelta pragmatica” non è mai priva di conseguenze. I compromessi con regimi autoritari, con i poteri occulti o con pratiche discutibili possono garantire una stabilità apparente, ma lasciano dietro di sé una scia di macerie morali e giuridiche. Ogni governo che si forma su queste basi non è destinato a durare a lungo senza far emergere le crepe della sua costruzione.
Articolo Precedente
Libia, quando il ministro dell’Interno fu fermato a Parigi con 500mila euro. Per l’Onu è un trafficante, a Roma è sempre il benvenuto
Articolo Successivo
Gaffe del ministro della Cultura Giuli alla Camera: Spoleto diventa “provincia”
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Cronaca
Peggiorano le condizioni di Papa Francesco: “Infezione polimicrobica, il quadro clinico è complesso. La degenza sarà adeguata”
Mondo
Summit di Parigi sull’Ucraina: l’Europa prova a uscire dall’irrilevanza. Lavrov e Rubio a Riyad: ‘Non ha senso invitare l’Ue ai negoziati’. Anche Zelensky va in Arabia
Mondo
Russia ancora contro Mattarella: ‘Parallelo con Hitler? Conseguenze’ Hacker russi attaccano siti italiani
Roma, 17 feb (Adnkronos) - Ha da poco preso il via, alla Camera, la 'chiama' dei deputati per il voto di fiducia sul Dl emergenze.
Londra, 17 feb. (Adnkronos) - Il principe William ha saltato la cerimonia dei Bafta, premio di cui è presidente. Anziché unirsi al mondo dello spettacolo in occasione della premiazione annuale cinematografica dell'Accademia a Londra, che ha visto 'Conclave' e 'The Brutalist' fare incetta di premi, il futuro re britannico ha deciso di concedersi una vacanza ai Caraibi con la sua famiglia. Il Mail on Sunday ha rivelato che il principe di Galles si trova a più di seimila chilometri dalla Gran Bretagna, nell'esclusivo paradiso caraibico dell'isola di Mustique.
Il principe William, Kate e i loro figli sono volati sull'isola privata giovedì, pochi giorni dopo che Kensington Palace aveva annunciato che la coppia non avrebbe preso parte alla cerimonia, a cui hanno partecipato numerose star, alla Royal Festival Hall. La famiglia sta trascorrendo la seconda vacanza nel giro di pochi mesi, dopo la pausa sciistica di Capodanno. Si ritiene che abbiano viaggiato tutti insieme in business class, su un volo della British Airways, poiché negli ultimi anni il protocollo che prevede che gli eredi al trono volino separatamente è stato allentato.
Una fonte afferma che hanno preso un volo per Saint Lucia prima di prenderne uno privato per Mustique, notoriamente il rifugio preferito della defunta principessa Margaret, nonché un luogo di fuga molto amato dalle celebrità. Anche la defunta regina e il principe Filippo vi fecero visita nel 1966, 1977 e 1985. Sembra che anche la madre di Kate, Carole Middleton, che apprezza la privacy che il luogo offre, si trovi sull'isola. Mustique è di proprietà di una società privata e non consente la permanenza a giornalisti o fotografi. Sull'isola c'è un piccolo hotel e i visitatori devono possedere una casa o avere un invito per soggiornarvi.
C'è un solo bar, il Basil's, la cui clientela include Mick Jagger, Daniel Craig, Noel Gallagher e Kate Moss. Inizialmente, gli addetti ai lavori dei Bafta speravano che William e Kate avrebbero preso parte insieme alla cerimonia di ieri, segnando un ritorno sul red carpet per Kate, dopo la sua malattia. William ha partecipato alla cerimonia l'anno scorso senza la moglie, ma non vi ha preso parte per due anni consecutivi da quando è diventato presidente nel 2010.
Roma, 17 feb. (Adnkronos) - "Mentre Giorgia Meloni annuncia con ostinazione di voler portare avanti il protocollo Italia-Albania, la realtà dei fatti racconta un'altra storia: il progetto si sta rivelando un fallimento sotto ogni aspetto. Continuare a insistere, ignorando le evidenti criticità emerse, significa solo perseverare nell’errore e continuare a sprecare somme ingenti di denaro pubblico, già oltre il miliardo di euro". Lo dichiarano i deputati democratici della Commissione Affari Costituzionali alla Camera, Simona Bonafè, Gianni Cuperlo, Federico Fornaro, Matteo Mauri e Matteo Orfini.
"La premier rivendica il 'diritto della politica di governare', ma governare significa anche assumersi la responsabilità di riconoscere quando un’operazione non funziona e soprattutto rispettare la legge. Il miliardo di euro investito nel progetto avrebbe potuto rafforzare servizi essenziali come sanità, istruzione e welfare, invece viene impiegato per un’iniziativa che sta mostrando tutti i suoi limiti".
"La notizia dei licenziamenti nei centri di Shengjin e Gjader - concludono - certifica ulteriormente la fragilità di questo sistema. Il governo prenda atto della realtà e non insista con nuove forzature legislative per tenere in piedi un’iniziativa ormai compromessa".
Roma, 17 feb. (Adnkronos) - “In merito allo scandalo Paragon, non è stato smentito che, oltre all'intelligence, non vi siano altri apparati dello Stato che abbiano in dote tale spyware, non indicando nello specifico quali sarebbero i clienti italiani di Paragon Solutions”. Così una interrogazione di Matteo Renzi e dei senatori di Italia Viva rivolta al Ministro della Giustizia Carlo Nordio.
“Pare fondamentale accertarsi dal Ministro interrogato che la Polizia penitenziaria sia totalmente estranea all’utilizzo di Paragon e se così non fosse, si chiede di sapere quando e da chi sia stato firmato il contratto e quanto valga, sia l’importo dell’accordo; se risulti veritiero o meno che la Polizia penitenziaria abbia in dote e utilizzi tale spyware, se risulti veritiero che il Gom utilizzi una propria struttura di intercettazione e quante persone compongano l’ufficio incaricato di seguire le intercettazioni per la polizia penitenziaria e quante risorse economiche siano state utilizzate dalla stessa per gli strumenti di intercettazione negli ultimi tre anni".
"Se risulti veritiero che l’ex capo del Dap si sia dimesso e abbia indicato le ragioni del suo gesto in una lettera riservata inviata al Ministro. Se in questa lettera e nella decisione delle dimissioni influiscano divergenze tra le vedute dell’ex capo del Dap e il sottosegretario Del Mastro delle Vedove e la capo di gabinetto Bartolozzi”, si legge nell’ interrogazione.
Roma, 17 feb. (Adnkronos) - "È in atto un attacco all’Europa per dividerla e indebolire la sua forza. Un obiettivo delle destre di tutto il mondo che va contrastato con determinazione perché solo un’Europa più forte e coesa può garantire una soluzione di pace per l’Ucraina. Per questo chiediamo alla Premier Meloni oggi a Parigi di abbandonare le sirene trumpiane e di collocare l’Italia nel campo europeista dove pace, democrazia e sicurezza sono valori irrinunciabili". Così in una nota Chiara Braga e Francesco Boccia, capigruppo Pd alla Camera dei Deputati e al Senato, e Nicola Zingaretti, capo delegazione Pd al Parlamento Europeo.
Roma, 17 feb. (Adnkronos) - "Come già dimostrato dai fatti, il protocollo Italia-Albania rimane un progetto fallimentare, costosissimo, contro i diritti umani e le normative internazionali e Ue". Così in una nota Alessandro Zan, vice presidente della commissione Libe, responsabile diritti nella Segreteria Pd.
"Le dichiarazioni del Commissario Brunner appaiono quanto meno sorprendenti, soprattutto perché Giorgia Meloni ha scialacquato un miliardo di euro dei contribuenti italiani che poteva invece essere investito nella sanità pubblica. La Commissione deve garantire il sistema europeo comune di asilo, le norme comuni dell'Ue in materia di migrazione, per non lasciare sola l’Italia e non cercare scorciatoie sbagliate e inumane. Come può quindi condividere gli obiettivi del modello Albania e sostenere l'elusione degli obblighi internazionali e Ue? Dal Parlamento Ue continueremo a vigilare e far sentire la nostra voce contro ogni violazione e contro ogni ulteriore sperpero di denaro pubblico."
Roma, 17 feb. (Adnkronos) - Su "tutto ciò che costruisce unità, noi ci saremo". Angelo Bonelli risponde così interpellato sulla possibilità di una manifestazione sulla questione sociale annunciata da Giuseppe Conte e su cui Elly Schlein si è detta disponibile.