di Marco Pozzi

Nel 2018 un documentario comincia ad aggirarsi per l’Europa e dice che può esistere un gioco del calcio diverso da come lo conosciamo, con altre regole, un campo diverso. Laurențiu Ginghină negli anni ‘80 giocava a calcio in Romania, finché subì un fallo che gli ruppe una gamba stroncandogli la carriera. Lasciato suo malgrado il campo come giocatore, lo stesso campo diventa la sua ossessione come teorico: come rinnovare il gioco? come renderlo più fluido, più bello, migliore? ottimizzato, affinché siano più basse le probabilità di farsi male?

Laurențiu, mentre lavora da burocrate in un ufficio governativo, analizza il gioco tenendo che gli spigoli del campo producano rallentamenti e spazi vuoti nelle azioni; allora, attingendo ad alcuni suoi studi nella filosofia orientale, progetta un campo ovale, per dar fluidità, mediando verso un campo quasi ottagonale, con gli spigoli smussati, con ogni squadra divisa in due sottosquadre, attaccanti e difensori, ciascuno nella sua metà campo. Qui Laurențiu, sperimentandole sul campo, elabora parecchie variazioni, modificando ad esempio il fuorigioco, oppure dividendo il campo in porzioni dove giocano solo alcuni giocatori, senza passare mai nelle altre, come fra limiti invalicabili. Nella sua visione “la palla deve essere libera”, e affinché la palla si sposti maggiormente, maggiormente devono restare fermi i giocatori; ciò ridurrebbe lo sforzo fisico degli atleti, aumentando la bellezza del gioco, che ha nella palla la sua protagonista.

Di questa storia parla il documentario Fotbal Infinit, scritto e diretto da Corneliu Porumboiu. Racconta di un atleta che non può più esserlo come vorrebbe, e riconverte la sua passione in un altro ruolo, cercando di prendere parte a uno sport non più col corpo ma con la mente, attraverso una riflessione continua e originale, per cambiarne le regole e suscitare nei tifosi emozioni nuove, come forse sempre aveva sognato di suscitarne segnando gol in uno stadio affollato. L’infortunio avviene durante l’epoca di Ceaușescu, la riprogettazione del calcio avviene negli anni ‘90, quando la società sta assumendo una nuova forma dopo la rivoluzione del 1989.

Il tentativo di Laurențiu ha un che di socialista, nella sua intenzione di riprogettare l’interazione fra singoli individui; non mediante l’economia bensì il gioco, in un piccolo modellino di società su un campo sportivo; una pianificazione dall’alto, scientifica e razionale, sulla scia dei numerosi tentativi che fin dal XIX secolo hanno cercato di costruire organizzazione sociale alternativa contro le disuguaglianze nella nascente società industriale (anche l’allenatore sovietico più famoso, il colonnello dell’Armata Rossa Valerij Vasyl’ovyč Lobanovs’kyj, era un ingegnere meccanico, laureato al Politecnico di Odessa).

Anche Laurențiu cerca un’alternativa scientifica e razionale allo status-quo, al calcio così com’è. Aggiunge qualche riflessione fuori campo, su punizione, conoscenza e destino, mettendo in connessione lo sport con la vita, il campo da gioco col mondo. Lo sport come utopia politica.

Alcune alternative di calcio riguardano le disabilità. Non troppo pubblicizzato, il calcio è anche alla Paralimpiadi dall’edizione di Atene 2004. Si chiama “calcio a 5 B1”, o “blind football”, e riguarda ipovedenti e ciechi, dove i giocatori hanno gli occhi coperti da mascherine o bende; si gioca nel campo di calcio a 5 e dietro la porta d’attacco una persona dà indicazioni alla squadra con la voce; possono parlare anche allenatore e portiere (che è vedente o ipovedente), quando la palla è nella proprio zona di competenza. Nessun altro può parlare, perché bisogna ascoltare il pallone, che al suo interno, fra la camera d’aria e l’involucro esterno, ingloba alcuni sonagli, che lo rendono percepibile agli atleti. Anche i tifosi devono rispettare il più rigoroso silenzio, come nel tennis. Si resta stupiti dalla velocità e dalla tecnica dei giocatori, la loro percezione dello spazio; e i calci di rigore nella finale di Paris 2024 sono da guardare.

Dal 1984 al 2016 è stata specialità olimpica anche il Calcio a 7-un lato, con disabilità differenti, con difficolta nei movimenti, di coordinazione, di equilibrio, a seguito di danno celebrale; la palla deve solo rotolare, senza lanci lunghi, senza fuorigioco; si gioca in un campo ridotto, con partita in due tempi da 30 minuti.

Esiste poi un calcio in carrozzina (Powerchair Football), che si gioca su un campo da basket (curiosa sintesi fra sport quasi opposti), quattro contro quattro, con carrozzine dotate di protezione ai piedi, con cui si calcia una palla di diametro ridotto. Per spingere a occupare l’intero spazio del campo, solo due giocatori (uno per squadra) possono stare nel raggio di tre metri dalla palla, e la squadra di difesa può avere solo due giocatori nella propria metà campo. Esistono campionati mondali, ma non è disciplina olimpica.

Insomma, il calcio evolve, benché giornali e televisioni lo raccontino spesso uguale, negli stessi rituali dei campionati nazionali e internazionali. Oltre che alle innovazioni tecnologiche o ai nuovi palinsesti dei diritti televisivi, anche il gioco può cambiare. Tante sperimentazioni potrebbero essere fatte, come successe quando si vietò il retropassaggio al portiere. Ad esempio, ci si stupisce del fatto che, almeno per gli ultimi dieci/quindici minuti di una partita, non si adotti il tempo effettivo, come nel basket, per rimediare alle sceneggiate infantili di finti infortuni o sostituzioni a ritmo-lumaca. Si può pensare a questo, non solo al Var o alla Super Lega.

Su calcio e disabilità suggerimento questo delizioso cortometraggio, semplice e bello: Due piedi sinistri di Isabella Salvetti (6 minuti).

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