La Repubblica Democratica del Congo è un Paese senza pace e il Kivu è la regione dove fiamme e sangue si mescolano in una carneficina che va avanti, con alti e bassi, ormai da trent’anni. Una regione fra le più ricche al mondo, con un sottosuolo che trabocca di materie prime preziose, ma proprio per questo fra le più impoverite. Quello in corso nel Paese è il conflitto che ha provocato il più alto numero di morti dopo le due guerre mondiali: ad oggi si stimano circa 10 milioni di vittime. Ma rimane uno dei meno raccontati.
Con capitale Kinshasa, la Rdc è il secondo Paese africano per superficie: grande come l’Europa occidentale, ma senza strade e collegamenti fra est e ovest. Per spostarsi serve l’aereo, che in pochi possono permettersi. Già questo fa comprendere la distanza, non solo fisica, fra l’elefantiaco apparato governativo e le province più popolate del Paese, nell’Est: Nord e Sud Kivu sono sull’altopiano che percorre tutta l’Africa orientale, dove l’altitudine, le catene vulcaniche e gli immensi laghi che disegnano la Rift Valley rendono il territorio fertilissimo e ricchissimo di materie prime.
Le premesse e gli attori in gioco
Normalmente si fa risalire l’inizio del conflitto al 1996, anno in cui scoppiò la cosiddetta “prima guerra mondiale africana”. In realtà, le cause profonde si annidano in quel righello che tracciò un’artificiosa spartizione del continente fra le potenze coloniali, durante la Conferenza di Berlino del 1885. Divisioni effettuate senza tener conto della storia, dei popoli e delle culture, creando i presupposti per un’instabilità che si è protratta nei decenni.
La regione dei Grandi Laghi ribolle già dagli anni ’70, in particolare nei confinanti Rwanda e Burundi, piccoli, sovrappopolati e poveri di risorse. Nel ’72 il dimenticato genocidio degli hutu in Burundi, poi quello in Rwanda. L’abbattimento dell’aereo su cui volavano il presidente burundese Ntaryamira e quello rwandese Habyarimana, il 6 aprile 1994, scatenò uno dei più terribili genocidi del XX secolo: la caccia ai tutsi, agli hutu moderati e a tutti gli oppositori durò fino al luglio di quell’anno, lasciando sul terreno fra gli 800mila e 1 milione di morti. Un impressionante fiume di persone in fuga si riversò oltreconfine, in Nord Kivu. Fra la moltitudine, si nascondevano anche i genocidari. Per questo i campi profughi furono impunemente bombardati, provocando innumerevoli vittime. Da allora, le conseguenze del genocidio rwandese non hanno smesso di ripercuotersi sulla Rd Congo. La caccia alle FDLR, eredi dei genocidari di allora ma ormai ridotte a poche centinaia di uomini, restano il motivo ufficiale per cui da anni il Rwanda periodicamente giustifica le sue incursioni in territorio congolese.
Dal ‘94 il Rwanda è controllato da Paul Kagame, ufficiale formato negli Stati Uniti e divenuto prima vicepresidente (94-2000) e poi presidente e padrone, rieletto lo scorso anno per la quarta volta con il 99,18% delle preferenze. Un uomo solo al comando, il cui invasivo apparato di sicurezza controlla capillarmente tutto e tutti, ma che spesso i Paesi occidentali indicano come esempio di sviluppo, volutamente ignorando la mancanza di libertà interna e lo sfruttamento esterno.
I conflitti tra Congo e Rwanda
Dal 1996 al 2003 si sono combattute la prima (1996-97) e la seconda “guerra mondiale africana” (1997-2003), in cui Congo e Rwanda si sono scontrati coinvolgendo come alleati, da una parte o dall’altra, molti Paesi africani e, dietro le quinte, gli schieramenti occidentali. Dal 2000, le Nazioni Unite hanno istituito una missione di osservazione, la MONUC, divenuta nel 2010 MONUSCO: ad oggi la più grande missione di peacekeeping dell’Onu.
Se a lungo si è fatto passare il tutto come “conflitto etnico”, era già noto allora che la vera posta in gioco fosse il controllo delle immense ricchezze del sottosuolo. La rivoluzione tecnologica era già partita e il controllo dell’estrazione del coltan (nel Nord Kivu si trova l’80% delle riserve mondiali) avrebbe giocato un ruolo decisivo nei decenni a seguire. Tutt’oggi il Movimento 23 Marzo (M23), ultima metamorfosi dei vari gruppi armati (RCD-Goma, CNDP) che negli anni si sono susseguiti cambiando nome ma non sponsor e obiettivi, dichiara come propria “missione” la difesa della minoranza tutsi, ma nei mesi scorsi, occupando porzioni sempre più estese di territorio nel Nord Kivu, ha occupato la miniera di Rubaya, il più grande giacimento al mondo di coltan, dove ha instaurato un’amministrazione parallela dedita allo sfruttamento e all’esportazione diretta dell’”oro nero” verso il Rwanda. Non è un caso che lo scorso anno Kigali sia risultato il primo esportatore al mondo di coltan, pur non avendo miniere.
Giungere oggi a controllare anche il capoluogo Goma sancisce l’appropriazione di uno dei territori più ricchi del Paese e del continente. Kinshasa, la capitale, è lontana. L’esercito regolare, insieme ai “wazalendo” (civili armati che combattono in appoggio ai militari), non ha la formazione, l’equipaggiamento e la guida necessari per arginare l’avanzata dell’M23, un movimento a fianco del quale sono schierate le truppe regolari rwandesi e dietro il quale si celano altri sponsor occulti.
Mondo
I minerali preziosi, le milizie e il ruolo del Rwanda: perché in Congo si combatte da oltre 30 anni una guerra sanguinosa
Quella nell'Est di uno dei Paesi più ricchi (e allo stesso tempo poveri) dell'Africa è una guerra tra Kinshasa e Kigali per il controllo delle miniere
La Repubblica Democratica del Congo è un Paese senza pace e il Kivu è la regione dove fiamme e sangue si mescolano in una carneficina che va avanti, con alti e bassi, ormai da trent’anni. Una regione fra le più ricche al mondo, con un sottosuolo che trabocca di materie prime preziose, ma proprio per questo fra le più impoverite. Quello in corso nel Paese è il conflitto che ha provocato il più alto numero di morti dopo le due guerre mondiali: ad oggi si stimano circa 10 milioni di vittime. Ma rimane uno dei meno raccontati.
Con capitale Kinshasa, la Rdc è il secondo Paese africano per superficie: grande come l’Europa occidentale, ma senza strade e collegamenti fra est e ovest. Per spostarsi serve l’aereo, che in pochi possono permettersi. Già questo fa comprendere la distanza, non solo fisica, fra l’elefantiaco apparato governativo e le province più popolate del Paese, nell’Est: Nord e Sud Kivu sono sull’altopiano che percorre tutta l’Africa orientale, dove l’altitudine, le catene vulcaniche e gli immensi laghi che disegnano la Rift Valley rendono il territorio fertilissimo e ricchissimo di materie prime.
Le premesse e gli attori in gioco
Normalmente si fa risalire l’inizio del conflitto al 1996, anno in cui scoppiò la cosiddetta “prima guerra mondiale africana”. In realtà, le cause profonde si annidano in quel righello che tracciò un’artificiosa spartizione del continente fra le potenze coloniali, durante la Conferenza di Berlino del 1885. Divisioni effettuate senza tener conto della storia, dei popoli e delle culture, creando i presupposti per un’instabilità che si è protratta nei decenni.
La regione dei Grandi Laghi ribolle già dagli anni ’70, in particolare nei confinanti Rwanda e Burundi, piccoli, sovrappopolati e poveri di risorse. Nel ’72 il dimenticato genocidio degli hutu in Burundi, poi quello in Rwanda. L’abbattimento dell’aereo su cui volavano il presidente burundese Ntaryamira e quello rwandese Habyarimana, il 6 aprile 1994, scatenò uno dei più terribili genocidi del XX secolo: la caccia ai tutsi, agli hutu moderati e a tutti gli oppositori durò fino al luglio di quell’anno, lasciando sul terreno fra gli 800mila e 1 milione di morti. Un impressionante fiume di persone in fuga si riversò oltreconfine, in Nord Kivu. Fra la moltitudine, si nascondevano anche i genocidari. Per questo i campi profughi furono impunemente bombardati, provocando innumerevoli vittime. Da allora, le conseguenze del genocidio rwandese non hanno smesso di ripercuotersi sulla Rd Congo. La caccia alle FDLR, eredi dei genocidari di allora ma ormai ridotte a poche centinaia di uomini, restano il motivo ufficiale per cui da anni il Rwanda periodicamente giustifica le sue incursioni in territorio congolese.
Dal ‘94 il Rwanda è controllato da Paul Kagame, ufficiale formato negli Stati Uniti e divenuto prima vicepresidente (94-2000) e poi presidente e padrone, rieletto lo scorso anno per la quarta volta con il 99,18% delle preferenze. Un uomo solo al comando, il cui invasivo apparato di sicurezza controlla capillarmente tutto e tutti, ma che spesso i Paesi occidentali indicano come esempio di sviluppo, volutamente ignorando la mancanza di libertà interna e lo sfruttamento esterno.
I conflitti tra Congo e Rwanda
Dal 1996 al 2003 si sono combattute la prima (1996-97) e la seconda “guerra mondiale africana” (1997-2003), in cui Congo e Rwanda si sono scontrati coinvolgendo come alleati, da una parte o dall’altra, molti Paesi africani e, dietro le quinte, gli schieramenti occidentali. Dal 2000, le Nazioni Unite hanno istituito una missione di osservazione, la MONUC, divenuta nel 2010 MONUSCO: ad oggi la più grande missione di peacekeeping dell’Onu.
Se a lungo si è fatto passare il tutto come “conflitto etnico”, era già noto allora che la vera posta in gioco fosse il controllo delle immense ricchezze del sottosuolo. La rivoluzione tecnologica era già partita e il controllo dell’estrazione del coltan (nel Nord Kivu si trova l’80% delle riserve mondiali) avrebbe giocato un ruolo decisivo nei decenni a seguire. Tutt’oggi il Movimento 23 Marzo (M23), ultima metamorfosi dei vari gruppi armati (RCD-Goma, CNDP) che negli anni si sono susseguiti cambiando nome ma non sponsor e obiettivi, dichiara come propria “missione” la difesa della minoranza tutsi, ma nei mesi scorsi, occupando porzioni sempre più estese di territorio nel Nord Kivu, ha occupato la miniera di Rubaya, il più grande giacimento al mondo di coltan, dove ha instaurato un’amministrazione parallela dedita allo sfruttamento e all’esportazione diretta dell’”oro nero” verso il Rwanda. Non è un caso che lo scorso anno Kigali sia risultato il primo esportatore al mondo di coltan, pur non avendo miniere.
Giungere oggi a controllare anche il capoluogo Goma sancisce l’appropriazione di uno dei territori più ricchi del Paese e del continente. Kinshasa, la capitale, è lontana. L’esercito regolare, insieme ai “wazalendo” (civili armati che combattono in appoggio ai militari), non ha la formazione, l’equipaggiamento e la guida necessari per arginare l’avanzata dell’M23, un movimento a fianco del quale sono schierate le truppe regolari rwandesi e dietro il quale si celano altri sponsor occulti.
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Roma, 15 feb (Adnkronos) - "Ancora sangue innocente in Germania e in Austria per mano criminale di clandestini e immigrati. Cambiare si può! #Afd #Fpo". Lo scrive sui social Matteo Salvini.
Roma, 15 feb (Adnkronos) - "I vigliacchi di Hamas ancora una volta esibiscono ostaggi, ma si mostrano a volto coperto. Perché sono dei codardi. Sono protagonisti di un’azione terroristica che dimostra la loro impossibilità di proporsi come uno Stato". Lo dice Maurizio Gasparri.
"O i palestinesi si liberano di questa setta di terroristi vigliacchi o non potranno essere interlocutori della comunità internazionale. Non si può parlare di due popoli e di due Stati quando c'è uno stato democratico, un popolo perseguitato, Israele e gli israeliani, e c'è un popolo palestinese che si fa comandare da questi vili criminali, che si nascondono perché non hanno il coraggio di mostrare il loro volto da assassini al mondo intero", aggiunge il presidente dei senatori di FI.
Roma, 15 feb. (Adnkronos) - Non saranno sempre "una cosa bellissima", come diceva l'allora ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa, ma le tasse restano stabilmente nella top ten dei temi 'divisivi' del centrosinistra. L'ultima accesa discussione, e non è certo la prima volta, è scoppiata sulla patrimoniale. Un 'evergreen', dall'Ulivo al campo largo. Che adesso vede, appunto, coinvolti Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e tutto il fronte alternativo al centrodestra.
A far (ri) scoppiare la polemica è stato lo stesso Fratoianni che, ad un convegno sui sistemi fiscali si è rivolto ai compagni di viaggio, seduti al suo fianco per ascoltare le relazioni del premio nobel Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz e dell'economista Hayati Ghosh. "Mi rivolgo a voi: verrà presto il momento di formulare una proposta per l’alternativa e bisogna dire che per una patrimoniale sulle grandi ricchezze è arrivato il momento, non si può rinviare", ha detto il leader di SI a Schlein e Conte.
Da lì, il dibattito è partito incontenibile. Ai leader di sinistra, c'è da dire, è arrivato l'abbrivio di Stiglitz che, citando il Papa, ha sottolineato: "Le tasse sono uno strumento importante per proteggere i poveri". Ma a sinistra non c'era certo bisogno dell'endorsement di un premio Nobel per accendere la miccia sul fisco. I più 'nostalgici' ricordano la mossa elettorale di Rifondazione comunista. Correva l'anno 2006, il partito di Nichi Vendola era al governo (quello con Padoa Schioppa ministro) e per le elezioni pensò di riempire le città con i manifesti con la foto di un panfilo e lo slogan preso da una telenovela degli anni '70: 'Anche i ricchi piangano'. Da lì a poco la stagione dell'Ulivo arrivò al capolinea.
(Adnkronos) - Eppure l'idea del 'prelievo forzoso' sulla quale i progressisti sono messi da sempre all'indice dagli avversari politici non è una idea di sinistra. A inventarlo, in Italia, è il governo Nitti nel 1919 per far quadrare i conti traballanti. Ma lo fa anche Mussolini, dopo la guerra in Etiopia, nel '36. Per gli stessi motivi. Eppure è sempre a sinistra che si guarda (e si polemizza) quando si parla di tasse. Silvio Berlusconi ha costruito una campagna anti sinistra, una costante della sua carriera politica, sin quando parlava del prelievo "con il favore delle tenebre" a proposito del 6xmille retroattivo sui conti correnti imposto dal governo Amato nel '92 per arginare le falle dei conti pubblici.
E le polemiche su Matteo Renzi e l'Imu? "Elimineremo noi, perché gli altri hanno fatto la finta, la tassa sulla prima casa, l'Imu agricola e sugli imbullonati", annunciò l'allora premier all'assemblea del Pd, finendo nel mirino con l'accusa di 'berlusconismo'. Ma gli esempi sono tanti, anche più recenti. Alle elezioni del 2022 Enrico Letta lanciò la proposta della dote ai 18enni, un capitale di circa 10mila euro da spendere in formazione, casa o per avviare una attività. "Sarà finanziata con la tassa di successione per i patrimoni plurimilionari", spiegò il segretario del Pd, subito accusato di voler introdurre la patrimoniale in maniera surrettizia.
A distanza di anni i progressisti si trovano ancora, sempre, alle prese con la discussione sul fisco e sulle varie ricette per le tasse. Con Schlein che oggi dice: "Non è un tabù un intervento sui grandi patrimoni", indicando però una soluzione "almeno a livello europeo" sulle orme di quella suggerita dal presidente brasiliano Lula al G20. E Conte che invita a parlare di tasse ma "in modo intelligente", per "contrastare il capitalismo parassitario".
Roma, 15 feb (Adnkronos) - "Nella giornata di oggi, 15 febbraio, presso i locali della federazione provinciale del Pd in corso Mazzini, si è svolto l’incontro fra la delegazione del Partito democratico, composta da Vittorio Pecoraro, segretario provinciale, Rosi Caligiuri, segretaria cittadina, e Francesco Alimena, capogruppo Pd in Consiglio comunale, con il sindaco di Cosenza, Franz Caruso". Lo spiegano in una nota congiunta gli stessi Pecoraro, Caligiuri e Alimena.
"Nell’esprimere il proprio sostegno all’esperienza amministrativa, il Partito democratico, ribadendo la propria unità, ha rappresentato al sindaco la sua proposta per il completamento della giunta con l’indicazione dell’avvocata Maria Locanto quale vicesindaca", proseguono i dem.
"Il sindaco ha ascoltato la valutazione del Pd e, nel rispetto delle proprie prerogative, si è riservato di esaminare con attenzione tale richiesta. L’indicazione di Maria Locanto è l’espressione del territorio ed è stata formulata a livello cittadino, provinciale e regionale del Partito, nonché dalle rispettive rappresentanze istituzionali. La scelta di Maria Locanto testimonia in modo chiaro l’unità del Pd, essendo presidente provinciale del Partito e avendo sempre lavorato con equilibrio e senso di responsabilità per la crescita della nostra comunità", sottolineano ancora gli esponenti Pd.
(Adnkronos) - "La delegazione del Pd ha, nel contempo, espresso al Sindaco la volontà di un impegno unitario perché la riorganizzazione della giunta non si espliciti soltanto attraverso una mera sostituzione assessorile ma sia opportunità per un rilancio strategico dell'azione amministrativa, affinché la seconda metà della consiliatura possa essere la fase di pieno compimento della attuazione del programma di governo su cui la maggioranza degli elettori cosentini ha espresso fiducia nella proiezione del progetto "Cosenza 2050'", concludono i dirigenti dem.
Roma, 15 feb (Adnkronos) - "Oggi si vota in 101 province per il congresso di Azione, un esercizio organizzativo molto complesso, ma necessario per riportare i partiti a essere quello che erano: luoghi di confronto democratico sulle idee e sulla linea politica. Siamo molto felici di come è andato". Lo dice Carlo Calenda.
"Ringrazio tutti i militanti, gli iscritti, i garanti congressuali e le persone che in questi mesi si sono attivati per tenere viva e rendere più forte la nostra comunità", aggiunge il leader di Azione.
Sanremo, 15 feb. - (Adnkronos) - “Tradizione, italianità e vicinanza sono valori del Festival di Sanremo e anche di Generali che li applica nel quotidiano per essere partner dei nostri clienti e costruire insieme il loro futuro”. Lo ha detto Massimo Monacelli, General Manager di Generali Italia, dal famoso e ormai iconico ‘Balconcino’ dell’Agenzia di Sanremo “che idealmente rappresenta tutte le piazze, tutti i balconcini, tutti i luoghi dove tutta la nostra eccezionale rete di agenti opera tutti i giorni per progettare il futuro” con gli italiani". "Proprio “la rete di 2mila agenzie e 20mila colleghe e colleghi presenti sul territorio, è il cuore del nostro business - sottolinea Monacelli - È grazie a loro se riusciamo a tenere fede alla nostra ambizione, che è quella di essere ‘Partner di Vita’ delle persone, in ogni momento rilevante, accompagnandole, con la consulenza di valore, a fare scelte consapevoli e responsabili con l’obiettivo di proteggere il loro futuro e il futuro delle persone che stanno loro a cuore”.
Per il terzo anno consecutivo “siamo felicemente presenti a Sanremo” con vista sull’Ariston “perché vogliamo essere dove succedono le cose che contano - aggiunge Marco Oddone, Chief Marketing & Distribution Officer di Generali Italia - Milioni di persone seguono Sanremo ogni sera e noi vogliamo essere vicini agli Italiani, nei vari momenti di vita, anche in un momento leggero, come si vede nello spot che abbiamo lanciato in questa occasione: mentre ‘tutti cantano Sanremo’, ci sono persone che prendono decisioni importanti della loro vita e noi, con i nostri agenti siamo loro vicini”. Con Sanremo “è scoccata una vera e propria scintilla - racconta Oddone - C’è una condivisione di valori: tradizione, passione, ma anche innovazione, con nuovi linguaggi dedicati a tutte le generazioni. Abbiamo raccontato il Festival con la voce di Caterina Ferioli, protagonista della nuova serie TV Belcanto, che è diventata portavoce di una prospettiva privilegiata sul Teatro Ariston attraverso i social, per coinvolgere ed entusiasmare persone di tutte le età. Un racconto a 360 gradi - conclude - da una prospettiva unica sull’Ariston al quale siamo molto felici di dare il nostro contributo”.
Generali ha partecipato anche al FantaSanremo con la lega #BalconcinoGenerali per accogliere tutte le persone che sceglieranno di giocare durante i giorni della kermesse all’iniziativa social più popolare, coinvolgente e divertente.
Torino, 15 feb. - (Adnkronos) - “Sui dazi la storia dimostra che fanno male a tutti, anche a chi li impone. Poi naturalmente colpiscono di più i paesi che hanno una forte capacità di esportazione, quindi può essere che l’Italia sia un pochino più colpita di altri Paesi come primo impatto. Ma non dimentichiamo che l’Italia ha sempre dimostrato una capacità molto elevata di riorientare le proprie esportazioni in funzione dell’andamento dai mercati e dei prezzi. Quindi io sono abbastanza ottimista sulla capacità dell’Italia di minimizzare o comunque contenere i danni che possano derivare da questa guerra delle tariffe che si preannuncia". Lo ha affermato il presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, a margine del congresso Assiom Forex in corso a Torino." Naturalmente - osserva - nessun paese riuscirà a sfuggire al fatto che una guerra delle tariffe fa sempre male a tutti".