di Eleonora Padovani e Luca Battistoli

La democrazia come forma di governo in cui la sovranità risiede nel popolo che la esercita direttamente o per mezzo delle persone e degli organi che elegge a rappresentarlo è in crisi, così come lo sono gli Stati retti a democrazia. Siamo pronti a considerarla una breve parentesi storica? L’attualità sembra essere già in una postdemocrazia? Cosa si affaccerà all’orizzonte?

Conosciamo la democrazia con il fine di perseguire il benessere comune della società e il mantenimento della pace, della co-abitazione, dell’integrazione. Ha fallito la sua missione? No. Essa ci chiede responsabilità. Non è un’entità astratta, separata da noi che fallisce o non fallisce. Va esercitata, non è esente dalla nostra partecipazione per migliorarla, possibilmente. Non sta su da sola. Oggi resta in piedi ma anche se è sempre più manovrata da interessi economici non voglio credere che sia una parabola volta a concludersi. Significherebbe che siamo disposti ad accettare inermi la direzione plutocratica che sembra aver preso. Ovvero un predominio politico d’individui o gruppi, detentori di grandi ricchezze. O peggio che siamo disposti a rispolverare dal 1938 la definizione che era caduta in disuso di demoplutocrazia – ossia, nella pubblicistica fascista, regime solo formalmente democratico, in cui in realtà il potere economico è nelle mani di pochi. All’oggi, una plutodemocrazia.

Ma come si può immaginare di non vivere più in una democrazia? Vero è però che le istituzioni oggi sono diventate quasi figurative, di facciata, mentre il potere probabilmente è altrove. Che la direzione che ha preso rischia di svuotarla perché le disuguaglianze anziché diminuire aumenteranno. Dove prevalgono le logiche di mercato infatti le minoranze non trovano spazio. Il rischio è quello che il popolo cercherà risposte sempre più estreme e non viceversa. Non vi è l’ipotesi invece che il popolo si accorga del pericolo e vada a cercare soluzioni più democratiche? Questo può avvenire solo se ci saranno delle classi dirigenti che continueranno a offrire un’alternativa di democrazia più trasparente, partecipativa. Il popolo deve vedere concretamente delle istituzioni che si fanno carico dei problemi reali della società e delle persone altrimenti va da un’altra parte. Il popolo non vede queste alternative.

Il direttore Marco Travaglio nel confronto a Otto e mezzo (La7) con il giornalista Massimo Giannini afferma: “la plutocrazia che oggi era ai piedi di Trump fino all’altro ieri era ai piedi di Biden. E andava bene a tutti”, e si chiede: “la postdemocrazia la stiamo inventando noi in Europa?”. Ci stiamo servendo di piccoli abusi di potere come nel caso delle elezioni annullate in Romania e la delegittimazione di quelle in Georgia. Se l’America nelle sue trasformazioni ha sempre mantenuto un assetto influenzato da logiche di mercato che oggi non sono più astratte ma incarnate da dodici imprenditori miliardari al fianco del presidente degli Usa, l’Europa in questi ultimi anni è diventata a sua volta un laboratorio di questo fenomeno. Chissà se alle prossime elezioni vedremmo anche i nostri eletti affiancati da chi gestisce il potere.

Bisogna forse continuare a pensare che un’Europa politica compatta esista ancora, seminare bene fin d’ora, perché i problemi reali restano e forse ne verranno di più grossi. Come affronta l’Europa il fenomeno Trump? Anche qui si parla di rischi e di opportunità. I singoli stati Ue hanno sempre cercato la sponda degli Usa fino a diventarne sudditi, con il rischio di essere annullati. La nostra opportunità è quell’esiguo margine di dibattito che ci è rimasto e che in quello spazio la strategia ruffiana e seduttiva dei tecnocrati diventi inaccettabile anche per noi. L’Ue potrebbe trovare compattezza e autonomia nel non riconoscersi in questa nuova forma di democrazia che rischia di fagocitarla completamente.

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