È un’ipotesi di scuola in considerazione dell’argomento e dei protagonisti della vicenda, ma la premier Giorgia Meloni può contare su una formidabile arma per risolvere velocemente il caso Almasri: il segreto di Stato. L’apertura di un fascicolo della procura di Roma sul controverso comandante libico accusato di atrocità sui migranti ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati della presidente del Consiglio, del sottosegretario Alfredo Mantovano e dei ministri dell’Interno e della Giustizia, Matteo Piantedosi e Carlo Nordio. Se e quando saranno chiamati a rispondere alle domande dei giudici del Tribunale dei ministri (competente a fare indagini e sui reati commessi da componenti dell’esecutivo, ndr) la prima ministra, per sostenere quei “motivi di sicurezza” che avrebbero spinto il responsabile del Viminale a fare accompagnare alla frontiera l’alto ufficiale libico con un volo di Stato, potrebbe apporre il segreto di Stato: è l’unica figura istituzionale che può farlo. Glielo consente la legge. Contemporaneamente gli altri indagati – che sono pubblici ufficiali in quanto ministri – potrebbero sollevarlo davanti ai magistrati e vederselo ovviamente confermare dal capo dell’esecutivo. Questa eventualità potrebbe portare all’immediata chiusura di indagine per non luogo a procedere. Poco importa che il libico sia accusato dall’Aja di crimini di guerra e contro l’umanità.
La procedura – Il segreto di Stato, apposto per il caso di Abu Omar portando al proscioglimento degli imputati appartenenti al Sismi, è regolato dall’articolo 202 del codice di procedura penale e prevede che i “pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l’obbligo di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato”. Ovviamente un dovere che butta la palla nel campo avversario perché “se il testimone oppone un segreto di Stato, l’autorità giudiziaria ne informa il Presidente del Consiglio dei Ministri, ai fini dell’eventuale conferma, sospendendo ogni iniziativa volta ad acquisire la notizia oggetto del segreto”. Di conseguenza recita l’articolo: “Qualora il segreto sia confermato e per la definizione del processo risulti essenziale la conoscenza di quanto coperto dal segreto di Stato, il giudice dichiara non doversi procedere per l’esistenza del segreto di Stato”. Una procedura che comunque ha tempi stretti perché la conferma del segreto deve avvenire entro 30 giorni. In assenza di conferma si può procedere con le indagini.
Il caso di Abu Omar – I due casi sono meno lontani nella sostanza di quello che si pensa. Abu Omar, sequestrato a Milano da Cia e Sismi nel marzo del 2003, era formalmente indagato per terrorismo internazionale e sarebbe stato arrestato dalla Digos di Milano, ma fu di fatto consegnato agli Usa che lo rispedirono in Egitto dove fu torturato. Tant’è Almasri è sicuramente tornato al suo posto di comando senza conseguenze. Il potenziale stop del potere esecutivo all’azione giudiziaria è potente, ma non invincibile. La legge prevede che “l’opposizione del segreto di Stato, confermata con atto motivato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, inibisce all’autorità giudiziaria l’acquisizione e l’utilizzazione, anche indiretta, delle notizie coperte dal segreto”, ma “non è, in ogni caso, precluso all’autorità giudiziaria di procedere in base a elementi autonomi e indipendenti dagli atti, documenti e cose coperti dal segreto”.
Cosa prevede la legge – Non è un limite invalicabile anche perché, come nel caso dell’imam egiziano rapito a Milano da Cia e Sismi, si può sollevare un conflitto davanti alla Consulta. A questo punto sono i giudici della Corte costituzionale che decidono: nel caso Abu Omar venne confermato aprendo un vero e proprio scontro con la Cassazione che scrisse nelle motivazioni del proscioglimento che il “controllo magistrati era stato consegnato a politica” e che era calato “un nero sipario” sulla vicenda. Ma la norma prevede anche che “quando è sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri, qualora il conflitto sia risolto nel senso dell’insussistenza del segreto di Stato, il Presidente del Consiglio dei Ministri non può più opporlo con riferimento al medesimo oggetto” e naturalmente prevede anche che “qualora il conflitto sia risolto nel senso della sussistenza del segreto di Stato, l’autorità giudiziaria non può né acquisire né utilizzare, direttamente o indirettamente, atti o documenti sui quali è stato opposto il segreto di Stato. In nessun caso il segreto di Stato è opponibile alla Corte costituzionale. La Corte adotta le necessarie garanzie per la segretezza del procedimento”. E un altro ‘nero sipario’ potrebbe calare.
Giustizia & Impunità
Il caso Almasri, il precedente di Abu Omar e l’arma con cui Meloni può chiudere l’inchiesta: il segreto di Stato
Questa eventualità potrebbe portare all'immediata chiusura di indagine per non luogo a procedere. Poco importa che il libico sia accusato dall’Aja di crimini di guerra e contro l’umanità
È un’ipotesi di scuola in considerazione dell’argomento e dei protagonisti della vicenda, ma la premier Giorgia Meloni può contare su una formidabile arma per risolvere velocemente il caso Almasri: il segreto di Stato. L’apertura di un fascicolo della procura di Roma sul controverso comandante libico accusato di atrocità sui migranti ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati della presidente del Consiglio, del sottosegretario Alfredo Mantovano e dei ministri dell’Interno e della Giustizia, Matteo Piantedosi e Carlo Nordio. Se e quando saranno chiamati a rispondere alle domande dei giudici del Tribunale dei ministri (competente a fare indagini e sui reati commessi da componenti dell’esecutivo, ndr) la prima ministra, per sostenere quei “motivi di sicurezza” che avrebbero spinto il responsabile del Viminale a fare accompagnare alla frontiera l’alto ufficiale libico con un volo di Stato, potrebbe apporre il segreto di Stato: è l’unica figura istituzionale che può farlo. Glielo consente la legge. Contemporaneamente gli altri indagati – che sono pubblici ufficiali in quanto ministri – potrebbero sollevarlo davanti ai magistrati e vederselo ovviamente confermare dal capo dell’esecutivo. Questa eventualità potrebbe portare all’immediata chiusura di indagine per non luogo a procedere. Poco importa che il libico sia accusato dall’Aja di crimini di guerra e contro l’umanità.
La procedura – Il segreto di Stato, apposto per il caso di Abu Omar portando al proscioglimento degli imputati appartenenti al Sismi, è regolato dall’articolo 202 del codice di procedura penale e prevede che i “pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l’obbligo di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato”. Ovviamente un dovere che butta la palla nel campo avversario perché “se il testimone oppone un segreto di Stato, l’autorità giudiziaria ne informa il Presidente del Consiglio dei Ministri, ai fini dell’eventuale conferma, sospendendo ogni iniziativa volta ad acquisire la notizia oggetto del segreto”. Di conseguenza recita l’articolo: “Qualora il segreto sia confermato e per la definizione del processo risulti essenziale la conoscenza di quanto coperto dal segreto di Stato, il giudice dichiara non doversi procedere per l’esistenza del segreto di Stato”. Una procedura che comunque ha tempi stretti perché la conferma del segreto deve avvenire entro 30 giorni. In assenza di conferma si può procedere con le indagini.
Il caso di Abu Omar – I due casi sono meno lontani nella sostanza di quello che si pensa. Abu Omar, sequestrato a Milano da Cia e Sismi nel marzo del 2003, era formalmente indagato per terrorismo internazionale e sarebbe stato arrestato dalla Digos di Milano, ma fu di fatto consegnato agli Usa che lo rispedirono in Egitto dove fu torturato. Tant’è Almasri è sicuramente tornato al suo posto di comando senza conseguenze. Il potenziale stop del potere esecutivo all’azione giudiziaria è potente, ma non invincibile. La legge prevede che “l’opposizione del segreto di Stato, confermata con atto motivato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, inibisce all’autorità giudiziaria l’acquisizione e l’utilizzazione, anche indiretta, delle notizie coperte dal segreto”, ma “non è, in ogni caso, precluso all’autorità giudiziaria di procedere in base a elementi autonomi e indipendenti dagli atti, documenti e cose coperti dal segreto”.
Cosa prevede la legge – Non è un limite invalicabile anche perché, come nel caso dell’imam egiziano rapito a Milano da Cia e Sismi, si può sollevare un conflitto davanti alla Consulta. A questo punto sono i giudici della Corte costituzionale che decidono: nel caso Abu Omar venne confermato aprendo un vero e proprio scontro con la Cassazione che scrisse nelle motivazioni del proscioglimento che il “controllo magistrati era stato consegnato a politica” e che era calato “un nero sipario” sulla vicenda. Ma la norma prevede anche che “quando è sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri, qualora il conflitto sia risolto nel senso dell’insussistenza del segreto di Stato, il Presidente del Consiglio dei Ministri non può più opporlo con riferimento al medesimo oggetto” e naturalmente prevede anche che “qualora il conflitto sia risolto nel senso della sussistenza del segreto di Stato, l’autorità giudiziaria non può né acquisire né utilizzare, direttamente o indirettamente, atti o documenti sui quali è stato opposto il segreto di Stato. In nessun caso il segreto di Stato è opponibile alla Corte costituzionale. La Corte adotta le necessarie garanzie per la segretezza del procedimento”. E un altro ‘nero sipario’ potrebbe calare.
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Roma, 17 feb (Adnkronos) - Ha da poco preso il via, alla Camera, la 'chiama' dei deputati per il voto di fiducia sul Dl emergenze.
Londra, 17 feb. (Adnkronos) - Il principe William ha saltato la cerimonia dei Bafta, premio di cui è presidente. Anziché unirsi al mondo dello spettacolo in occasione della premiazione annuale cinematografica dell'Accademia a Londra, che ha visto 'Conclave' e 'The Brutalist' fare incetta di premi, il futuro re britannico ha deciso di concedersi una vacanza ai Caraibi con la sua famiglia. Il Mail on Sunday ha rivelato che il principe di Galles si trova a più di seimila chilometri dalla Gran Bretagna, nell'esclusivo paradiso caraibico dell'isola di Mustique.
Il principe William, Kate e i loro figli sono volati sull'isola privata giovedì, pochi giorni dopo che Kensington Palace aveva annunciato che la coppia non avrebbe preso parte alla cerimonia, a cui hanno partecipato numerose star, alla Royal Festival Hall. La famiglia sta trascorrendo la seconda vacanza nel giro di pochi mesi, dopo la pausa sciistica di Capodanno. Si ritiene che abbiano viaggiato tutti insieme in business class, su un volo della British Airways, poiché negli ultimi anni il protocollo che prevede che gli eredi al trono volino separatamente è stato allentato.
Una fonte afferma che hanno preso un volo per Saint Lucia prima di prenderne uno privato per Mustique, notoriamente il rifugio preferito della defunta principessa Margaret, nonché un luogo di fuga molto amato dalle celebrità. Anche la defunta regina e il principe Filippo vi fecero visita nel 1966, 1977 e 1985. Sembra che anche la madre di Kate, Carole Middleton, che apprezza la privacy che il luogo offre, si trovi sull'isola. Mustique è di proprietà di una società privata e non consente la permanenza a giornalisti o fotografi. Sull'isola c'è un piccolo hotel e i visitatori devono possedere una casa o avere un invito per soggiornarvi.
C'è un solo bar, il Basil's, la cui clientela include Mick Jagger, Daniel Craig, Noel Gallagher e Kate Moss. Inizialmente, gli addetti ai lavori dei Bafta speravano che William e Kate avrebbero preso parte insieme alla cerimonia di ieri, segnando un ritorno sul red carpet per Kate, dopo la sua malattia. William ha partecipato alla cerimonia l'anno scorso senza la moglie, ma non vi ha preso parte per due anni consecutivi da quando è diventato presidente nel 2010.
Roma, 17 feb. (Adnkronos) - "Mentre Giorgia Meloni annuncia con ostinazione di voler portare avanti il protocollo Italia-Albania, la realtà dei fatti racconta un'altra storia: il progetto si sta rivelando un fallimento sotto ogni aspetto. Continuare a insistere, ignorando le evidenti criticità emerse, significa solo perseverare nell’errore e continuare a sprecare somme ingenti di denaro pubblico, già oltre il miliardo di euro". Lo dichiarano i deputati democratici della Commissione Affari Costituzionali alla Camera, Simona Bonafè, Gianni Cuperlo, Federico Fornaro, Matteo Mauri e Matteo Orfini.
"La premier rivendica il 'diritto della politica di governare', ma governare significa anche assumersi la responsabilità di riconoscere quando un’operazione non funziona e soprattutto rispettare la legge. Il miliardo di euro investito nel progetto avrebbe potuto rafforzare servizi essenziali come sanità, istruzione e welfare, invece viene impiegato per un’iniziativa che sta mostrando tutti i suoi limiti".
"La notizia dei licenziamenti nei centri di Shengjin e Gjader - concludono - certifica ulteriormente la fragilità di questo sistema. Il governo prenda atto della realtà e non insista con nuove forzature legislative per tenere in piedi un’iniziativa ormai compromessa".
Roma, 17 feb. (Adnkronos) - “In merito allo scandalo Paragon, non è stato smentito che, oltre all'intelligence, non vi siano altri apparati dello Stato che abbiano in dote tale spyware, non indicando nello specifico quali sarebbero i clienti italiani di Paragon Solutions”. Così una interrogazione di Matteo Renzi e dei senatori di Italia Viva rivolta al Ministro della Giustizia Carlo Nordio.
“Pare fondamentale accertarsi dal Ministro interrogato che la Polizia penitenziaria sia totalmente estranea all’utilizzo di Paragon e se così non fosse, si chiede di sapere quando e da chi sia stato firmato il contratto e quanto valga, sia l’importo dell’accordo; se risulti veritiero o meno che la Polizia penitenziaria abbia in dote e utilizzi tale spyware, se risulti veritiero che il Gom utilizzi una propria struttura di intercettazione e quante persone compongano l’ufficio incaricato di seguire le intercettazioni per la polizia penitenziaria e quante risorse economiche siano state utilizzate dalla stessa per gli strumenti di intercettazione negli ultimi tre anni".
"Se risulti veritiero che l’ex capo del Dap si sia dimesso e abbia indicato le ragioni del suo gesto in una lettera riservata inviata al Ministro. Se in questa lettera e nella decisione delle dimissioni influiscano divergenze tra le vedute dell’ex capo del Dap e il sottosegretario Del Mastro delle Vedove e la capo di gabinetto Bartolozzi”, si legge nell’ interrogazione.
Roma, 17 feb. (Adnkronos) - "È in atto un attacco all’Europa per dividerla e indebolire la sua forza. Un obiettivo delle destre di tutto il mondo che va contrastato con determinazione perché solo un’Europa più forte e coesa può garantire una soluzione di pace per l’Ucraina. Per questo chiediamo alla Premier Meloni oggi a Parigi di abbandonare le sirene trumpiane e di collocare l’Italia nel campo europeista dove pace, democrazia e sicurezza sono valori irrinunciabili". Così in una nota Chiara Braga e Francesco Boccia, capigruppo Pd alla Camera dei Deputati e al Senato, e Nicola Zingaretti, capo delegazione Pd al Parlamento Europeo.
Roma, 17 feb. (Adnkronos) - "Come già dimostrato dai fatti, il protocollo Italia-Albania rimane un progetto fallimentare, costosissimo, contro i diritti umani e le normative internazionali e Ue". Così in una nota Alessandro Zan, vice presidente della commissione Libe, responsabile diritti nella Segreteria Pd.
"Le dichiarazioni del Commissario Brunner appaiono quanto meno sorprendenti, soprattutto perché Giorgia Meloni ha scialacquato un miliardo di euro dei contribuenti italiani che poteva invece essere investito nella sanità pubblica. La Commissione deve garantire il sistema europeo comune di asilo, le norme comuni dell'Ue in materia di migrazione, per non lasciare sola l’Italia e non cercare scorciatoie sbagliate e inumane. Come può quindi condividere gli obiettivi del modello Albania e sostenere l'elusione degli obblighi internazionali e Ue? Dal Parlamento Ue continueremo a vigilare e far sentire la nostra voce contro ogni violazione e contro ogni ulteriore sperpero di denaro pubblico."
Roma, 17 feb. (Adnkronos) - Su "tutto ciò che costruisce unità, noi ci saremo". Angelo Bonelli risponde così interpellato sulla possibilità di una manifestazione sulla questione sociale annunciata da Giuseppe Conte e su cui Elly Schlein si è detta disponibile.