Quella di Donald Trump contro il ‘suo’ ex capo di Stato Maggiore, Mark Milley, si sta trasformando in una crociata, una caccia all’uomo. Se ne era accorto anche Joe Biden che poco prima di lasciare la Casa Bianca lo aveva inserito tra le personalità alle quali riconoscere una grazia preventiva al fine di escludere ritorsioni da parte del tycoon. Ma il nuovo presidente americano ha imboccato un’altra strada per punire l’ex alleato diventato tra i principali critici del suo operato: il capo del Pentagono, Pete Hegseth, ha deciso di rimuovere la scorta al generale in pensione, di revocare il suo nullaosta di sicurezza e di ordinare un’inchiesta dell’ispettore generale per determinare se ci siano prove sufficienti per togliergli una stella in base alle sue azioni volte a “indebolire la catena di comando” durante il primo mandato del presidente Trump.

In questo modo, il livello di sicurezza intorno a Milley è diminuito considerevolmente. Una preoccupazione ben più grande rispetto alla questione della stella o della rimozione del suo ritratto vicino a quelli degli ex capi di Stato Maggiore. D’altra parte, in passato fu lo stesso Trump a invocare la pena di morte per alto tradimento per Milley, caduto in disgrazia per aver resistito a varie istanze dell’allora commander in chief e per aver parlato segretamente con la Cina per rassicurarla dopo l’assalto a Capitol Hill. Milley, che ha definito Trump “un fascista sino al midollo“, ha riconosciuto anche in una testimonianza al Congresso di essere stato la fonte di diversi libri poco lusinghieri sulla prima amministrazione Trump.

Un esempio è quello scritto dallo storico giornalista del Washington Post, Bob Woodward, e intitolato Peril. Da quanto rivelato è emerso che Milley in quelle ore era talmente preoccupato dalla possibile reazione di Trump da averlo fatto sorvegliare. “Il presidente poteva fare la canaglia, ho agito in buona fede”, aveva ammesso il generale. Emerge che le maggiori autorità militari del Paese, dietro consiglio di Milley e oltrepassando i loro poteri istituzionali, hanno tentato di limitare le azioni di Trump nei suoi ultimi giorni alla Casa Bianca per paura che potesse provocare danni irreparabili, come anche un attacco ingiustificato alla Cina e l’uso di armi nucleari. Dopo anni di scontri, infine, nel 2023 Milley è andato in pensione e nel suo discorso di congedo riserva un passaggio anche al suo ormai acerrimo nemico Donald Trump: “Non facciamo un giuramento a un Paese. Non giuriamo a una tribù. Non giuriamo a una religione. Non giuriamo a un re, a una regina, a un tiranno o a un dittatore. E non giuriamo a un aspirante dittatore. Non giuriamo a un individuo. Facciamo un giuramento alla Costituzione e all’idea che è l’America e siamo disposti a morire per proteggerla”.

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