“Ci hanno picchiato, torturato, ci hanno preso telefoni e soldi. Ci hanno costretto a caricare i corpi di chi non ce l’ha fatta”. Questo è solo uno dei passaggi più espliciti, tra le 30 testimonianze di persone migranti selezionate per la loro solidità nel rapporto “Tratta di Stato sulle espulsioni e la vendita di migranti dalla Tunisia alla Libia”. Presentato oggi, mercoledì 29 gennaio, dal gruppo di ricercatori europei RR[X] a Bruxelles, con il sostegno di europarlamentari dei gruppi S&D, Sinistra e Verdi (tra i quali Cecilia Strada, Ilaria Salis e Leoluca Orlando) è una denuncia circostanziata di pratiche che, secondo le testimonianze, si ripetono dal giugno del 2023.
Traffico di esseri umani sostenuto indirettamente dagli accordi finanziati dall’Unione Europea, perché i mezzi utilizzati sono quelli forniti dal memorandum UE-Tunisia di due anni fa. Accordo con il presidente tunisino Kaïs Saïed fortemente voluto dall’Italia, che ha svolto un ruolo da capofila, con almeno quattro viaggi di Giorgia Meloni a Tunisi per negoziare l’intensificazione dei controlli alle frontiere e il finanziamento di mezzi e infrastrutture militari. A leggere il lungo e dettagliato dossier presentato al Parlamento Europeo, la volontà di “inseguire i trafficanti su tutto il globo terraqueo”, si sarebbe indirettamente declinata nel finanziamento degli stessi. Le testimonianze descrivono una filiera di violenze e abusi che va dalla cattura alla successiva detenzione in condizione inumane e arriva alla vendita alle milizie libiche per le già note pratiche di detenzione a scopo di ricatto, vendita e tortura.
A seguito delle intercettazioni in mare o mentre si trovano sul territorio in attesa di trovare un’opportunità di imbarco, le persone migranti subsahariane, giunte in Tunisia con l’obiettivo di raggiungere diversi paesi europei sbarcando in Italia, vengono arrestate arbitrariamente dalle autorità tunisine con pretesti di volta in volta diversi. Al termine “arresto” i ricercatori preferiscono il termine “cattura”, “perché non si tratta di arresti formalizzati come tali”. Neppure sulla base delle leggi tunisine ci sarebbero condizioni legali sufficienti per questi fermi. “Se avessimo saputo, avremo potuto resistere – si legge in una testimonianza – Con noi c’erano anche due studenti, entrati legalmente in Tunisia”. Le vittime vengono trasferite in strutture di detenzione vicino al confine con la Libia: “Ti ammanettano, ti picchiano e ti fanno sedere”, si legge nel report: “Ci hanno torturato così, con botte, senza acqua, senza cibo, nessuna ong, solo la Garde. Poi sono arrivati i bus, ci hanno perquisito e preso telefoni e soldi. Ti picchiano, ti torturano e ti caricano sul bus. C’erano mamme e bimbi, perquisivano anche loro”.
Nei centri di detenzione al confine tra Tunisia e Libia, dove le persone sarebbero trattenute fino a 30 giorni, gli uomini vengono trattenuti in gabbie di cui i ricercatori mostrano alcune immagini. Qui molte donne denunciano di aver subito aggressioni: “Tutte le donne sono state brutalizzate, e sottratti con violenza i loro beni” denuncia una delle 22 donne. “C’erano alcune che non volevano essere perquisite e allora sono state picchiate. Gli uomini ci picchiavano con un manganello mentre una donna poliziotto ci guardava, seduta. Guardavano persino nel sedere per vedere se c’era del denaro e il telefono”.
Nelle rare circostanze in cui ad assistere alla procedura c’erano anche funzionari dell’Oim, alcuni testimoni raccontano che avrebbero di trattative per un ‘ritorno volontario’ verso il paese di provenienza, al posto dell’espulsione verso la Libia o l’Algeria.
Segue una lunga serie di testimonianze come queste: “Abbiamo visto un poliziotto picchiare una donna e abbiamo voluto reagire, era una donna incinta. Hanno iniziato a lanciarci lacrimogeni, poi ci hanno ammanettato e caricato su dei veicoli”, “Fanno domande che non capiamo e ci picchiano. Poi ci fanno salire su due bus e partiamo verso la Libia. La Garde Nationale ha rubato tutto quello che avevamo e distrutto i telefoni”.
Le strutture in cui le persone vengono concentrate presentano condizioni disumane: “Campo dopo campo, i prigionieri sono soggetti agli stessi rituali di perquisizione, violenza e umiliazione”. Mancanza di cibo, acqua e cure mediche, violenze sistematiche e torture con uso di barre di ferro, bastoni, pistole taser, minacce con cani, proiettili sparati in aria: “In diverse testimonianze si menzionano situazioni in cui i prigionieri muoiono per le violenze e le assenze di cure. In questi casi i corpi vengono trasportati in luoghi sconosciuti dopo essere caricati sui pick-up e altri mezzi militari”.
Violenze e tortura hanno l’obiettivo di disincentivare ogni ipotesi di ritorno in Tunisia. Dopo un periodo di detenzione nelle condizioni descritte, che può arrivare a 30 giorni, le autorità tunisine consegnano le persone migranti alle milizie libiche o ad altri gruppi armati, in cambio di denaro, carburante o hashish: “Una costante fra i venditori è la presenza di personale in uniforme dal lato tunisino. Variabile è la tipologia degli acquirenti dal lato libico”. Le testimonianze riportano la presenza di “gruppi interamente in uniforme e con mezzi ufficiali, gruppi misti e milizie prive di uniforme”. Nelle operazioni documentate i prigionieri venduti sono uomini, donne, coppie, donne incinte, bambini e minori: “Le donne hanno un valore di mercato superiore. Vengono trattati in ogni singola operazione gruppi da 50 fino a 150 persone”. “Vendevano gli uomini a 100 dinari (circa 30 euro, ndr) e le donne a 300 dinari (circa 90 euro, ndr)- riferiscono diverse testimonianze – facevano scambi in denaro. Erano armati e in uniforme militare”.
Il lungo rapporto si concentra su cinque fasi: la “cattura” (collettiva, arbitraria, basata sulla ‘profilazione razziale’); il trasporto verso la frontiera tunisino-libica; il ruolo dei campi di detenzione alla frontiera tunisina; il passaggio e la vendita a corpi armati libici; l’ormai assodata detenzione nelle prigioni libiche sino al pagamento del riscatto. Con il supporto dei giuristi dell’Asgi, viene ricostruito un preciso “sommario” delle violazioni del diritto internazionale, con reati che vengono classificati sotto il termine di “crimini di Stato”: crimini contro l’umanità, detenzione arbitraria, discriminazione e incitazione all’odio razziale, respingimenti collettivi, riduzione in schiavitù, sparizioni forzate, tortura e trattamenti inumani e degradanti, tratta e violenza di genere.
La vendita di esseri umani alla frontiera da parte di apparati di polizia e militari tunisini e l’interconnessione fra questa “infrastruttura dei respingimenti” e “l’industria del sequestro” nelle prigioni libiche viene così ricostruita nel dettaglio. La tesi sostenuta dai dati presentati nel report è che questo “sistema basato sulla vendita di esseri umani” sia strutturato dagli stessi apparati dello stato tunisino. Gli europarlamentari che hanno deciso di presentare il dossier a Bruxelles, intendono ridiscutere lo statuto di “paese sicuro” assegnato alla Tunisia e il suo ruolo di partner e beneficiario economico della frontiera esterna dell’Unione, con lo stanziamento di oltre 150 milioni di euro negli ultimi due anni.
Tra 2023 e 2024 la Tunisia ha bloccato oltre 100mila persone in fuga, di cui oltre l’80% provenienti dall’Africa sub-sahariana, la maggior parte dei quali è stata successivamente violentemente espulsa verso Algeria e Libia: “Queste testimonianze fanno luce sulle modalità con cui la Tunisia ha reso possibile, negli ultimi anni, la drastica riduzione degli arrivi in Italia lungo la rotta del Mediterraneo centrale e l’aumento delle intercettazioni in mare da parte della Garde Nationale Tunisienne”.
Se incentivare i blocchi delle partenze era la precisa volontà comunitaria, le autorità tunisine sarebbero andate “ben oltre il mandato previsto, deportando le vittime nel deserto o vendendole alle milizie libiche, in violazione della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, quella contro la tortura e altre normative internazionali sui diritti umani”. “Il progetto di ricerca in origine voleva studiare la vita negli accampamenti e l’organizzazione sociale dei viaggi” spiega uno dei ricercatori, che hanno preferito mantenere una forma anonima per ragioni di sicurezza. “A partire dall’estate del 2023 abbiamo iniziato a raccogliere ripetute testimonianze di ‘vendita’ e ‘scambio’, per questo abbiamo deciso di focalizzare le interviste per confrontare e verificare queste testimonianze, moltiplicando e diversificando le fonti e approfondendo i dettagli spazio-temporali degli eventi”.
Molte delle persone che hanno testimoniato la tratta sono riuscite a raggiungere l’Europa (Belgio, Francia, Italia), altre sono state rimpatriate nei paesi di origine o si trovano ancora in Libia. “Il report non pretende di ‘costruire una verità giudiziaria’, ma molte delle persone coinvolte nell’indagine, ora in Europa, sono intenzionate a portare avanti le proprie denunce per “avere giustizia rispetto a una violenza istituzionale subita”.
Questo pomeriggio a Bruxelles un secondo incontro, organizzato da un gruppo di europarlamentari di S&D, Left e Verdi/Ale, riporterà ulteriori testimonianze e dettagli. “Per anni i nostri governi ci hanno raccontato che era necessario fare accordi con la Libia e con la Tunisia per sconfiggere il traffico di esseri umani, per combattere i trafficanti. La verità è proprio il contrario – denuncia l’europarlamentare Cecilia Strada – Sono le autorità libiche e tunisine che gestiscono il traffico di esseri umani e che sono responsabili di indicibili abusi e violenze, stupri e torture sulle persone migranti. Ecco cosa succede davvero, oltre alla propaganda, con i soldi delle cittadine e dei cittadini europei”.
Solo l’Italia, dal 2017 a oggi, ha speso circa 75 milioni di euro nell’equipaggiamento e nella “formazione” delle guardie di frontiera tunisine, prima attraverso il cosiddetto “Fondo migrazioni”, poi attraverso il “Fondo di premialità per le politiche di rimpatrio”. Nell’incassare i finanziamenti, la Tunisia ha in più occasioni chiarito che non voler diventare “un hub delle migrazioni dirette in Europa”, ma in assenza di un sistema di asilo interno, “inevitabilmente al blocco del transito verso l’Europa da parte della Tunisia seguono violenti meccanismi di espulsione”
Mondo
“Arrestati in Tunisia, picchiati e venduti alle milizie libiche per 30 euro”: un dossier denuncia la “tratta di Stato con i fondi Ue”
Il report presentato a Bruxelles raccoglie decine di testimonianze sulla vendita di migranti da parte delle autorità tunisine. Un traffico di Stato sostenuto indirettamente dai fondi europei
“Ci hanno picchiato, torturato, ci hanno preso telefoni e soldi. Ci hanno costretto a caricare i corpi di chi non ce l’ha fatta”. Questo è solo uno dei passaggi più espliciti, tra le 30 testimonianze di persone migranti selezionate per la loro solidità nel rapporto “Tratta di Stato sulle espulsioni e la vendita di migranti dalla Tunisia alla Libia”. Presentato oggi, mercoledì 29 gennaio, dal gruppo di ricercatori europei RR[X] a Bruxelles, con il sostegno di europarlamentari dei gruppi S&D, Sinistra e Verdi (tra i quali Cecilia Strada, Ilaria Salis e Leoluca Orlando) è una denuncia circostanziata di pratiche che, secondo le testimonianze, si ripetono dal giugno del 2023.
Traffico di esseri umani sostenuto indirettamente dagli accordi finanziati dall’Unione Europea, perché i mezzi utilizzati sono quelli forniti dal memorandum UE-Tunisia di due anni fa. Accordo con il presidente tunisino Kaïs Saïed fortemente voluto dall’Italia, che ha svolto un ruolo da capofila, con almeno quattro viaggi di Giorgia Meloni a Tunisi per negoziare l’intensificazione dei controlli alle frontiere e il finanziamento di mezzi e infrastrutture militari. A leggere il lungo e dettagliato dossier presentato al Parlamento Europeo, la volontà di “inseguire i trafficanti su tutto il globo terraqueo”, si sarebbe indirettamente declinata nel finanziamento degli stessi. Le testimonianze descrivono una filiera di violenze e abusi che va dalla cattura alla successiva detenzione in condizione inumane e arriva alla vendita alle milizie libiche per le già note pratiche di detenzione a scopo di ricatto, vendita e tortura.
A seguito delle intercettazioni in mare o mentre si trovano sul territorio in attesa di trovare un’opportunità di imbarco, le persone migranti subsahariane, giunte in Tunisia con l’obiettivo di raggiungere diversi paesi europei sbarcando in Italia, vengono arrestate arbitrariamente dalle autorità tunisine con pretesti di volta in volta diversi. Al termine “arresto” i ricercatori preferiscono il termine “cattura”, “perché non si tratta di arresti formalizzati come tali”. Neppure sulla base delle leggi tunisine ci sarebbero condizioni legali sufficienti per questi fermi. “Se avessimo saputo, avremo potuto resistere – si legge in una testimonianza – Con noi c’erano anche due studenti, entrati legalmente in Tunisia”. Le vittime vengono trasferite in strutture di detenzione vicino al confine con la Libia: “Ti ammanettano, ti picchiano e ti fanno sedere”, si legge nel report: “Ci hanno torturato così, con botte, senza acqua, senza cibo, nessuna ong, solo la Garde. Poi sono arrivati i bus, ci hanno perquisito e preso telefoni e soldi. Ti picchiano, ti torturano e ti caricano sul bus. C’erano mamme e bimbi, perquisivano anche loro”.
Nei centri di detenzione al confine tra Tunisia e Libia, dove le persone sarebbero trattenute fino a 30 giorni, gli uomini vengono trattenuti in gabbie di cui i ricercatori mostrano alcune immagini. Qui molte donne denunciano di aver subito aggressioni: “Tutte le donne sono state brutalizzate, e sottratti con violenza i loro beni” denuncia una delle 22 donne. “C’erano alcune che non volevano essere perquisite e allora sono state picchiate. Gli uomini ci picchiavano con un manganello mentre una donna poliziotto ci guardava, seduta. Guardavano persino nel sedere per vedere se c’era del denaro e il telefono”.
Nelle rare circostanze in cui ad assistere alla procedura c’erano anche funzionari dell’Oim, alcuni testimoni raccontano che avrebbero di trattative per un ‘ritorno volontario’ verso il paese di provenienza, al posto dell’espulsione verso la Libia o l’Algeria.
Segue una lunga serie di testimonianze come queste: “Abbiamo visto un poliziotto picchiare una donna e abbiamo voluto reagire, era una donna incinta. Hanno iniziato a lanciarci lacrimogeni, poi ci hanno ammanettato e caricato su dei veicoli”, “Fanno domande che non capiamo e ci picchiano. Poi ci fanno salire su due bus e partiamo verso la Libia. La Garde Nationale ha rubato tutto quello che avevamo e distrutto i telefoni”.
Le strutture in cui le persone vengono concentrate presentano condizioni disumane: “Campo dopo campo, i prigionieri sono soggetti agli stessi rituali di perquisizione, violenza e umiliazione”. Mancanza di cibo, acqua e cure mediche, violenze sistematiche e torture con uso di barre di ferro, bastoni, pistole taser, minacce con cani, proiettili sparati in aria: “In diverse testimonianze si menzionano situazioni in cui i prigionieri muoiono per le violenze e le assenze di cure. In questi casi i corpi vengono trasportati in luoghi sconosciuti dopo essere caricati sui pick-up e altri mezzi militari”.
Violenze e tortura hanno l’obiettivo di disincentivare ogni ipotesi di ritorno in Tunisia. Dopo un periodo di detenzione nelle condizioni descritte, che può arrivare a 30 giorni, le autorità tunisine consegnano le persone migranti alle milizie libiche o ad altri gruppi armati, in cambio di denaro, carburante o hashish: “Una costante fra i venditori è la presenza di personale in uniforme dal lato tunisino. Variabile è la tipologia degli acquirenti dal lato libico”. Le testimonianze riportano la presenza di “gruppi interamente in uniforme e con mezzi ufficiali, gruppi misti e milizie prive di uniforme”. Nelle operazioni documentate i prigionieri venduti sono uomini, donne, coppie, donne incinte, bambini e minori: “Le donne hanno un valore di mercato superiore. Vengono trattati in ogni singola operazione gruppi da 50 fino a 150 persone”. “Vendevano gli uomini a 100 dinari (circa 30 euro, ndr) e le donne a 300 dinari (circa 90 euro, ndr)- riferiscono diverse testimonianze – facevano scambi in denaro. Erano armati e in uniforme militare”.
Il lungo rapporto si concentra su cinque fasi: la “cattura” (collettiva, arbitraria, basata sulla ‘profilazione razziale’); il trasporto verso la frontiera tunisino-libica; il ruolo dei campi di detenzione alla frontiera tunisina; il passaggio e la vendita a corpi armati libici; l’ormai assodata detenzione nelle prigioni libiche sino al pagamento del riscatto. Con il supporto dei giuristi dell’Asgi, viene ricostruito un preciso “sommario” delle violazioni del diritto internazionale, con reati che vengono classificati sotto il termine di “crimini di Stato”: crimini contro l’umanità, detenzione arbitraria, discriminazione e incitazione all’odio razziale, respingimenti collettivi, riduzione in schiavitù, sparizioni forzate, tortura e trattamenti inumani e degradanti, tratta e violenza di genere.
La vendita di esseri umani alla frontiera da parte di apparati di polizia e militari tunisini e l’interconnessione fra questa “infrastruttura dei respingimenti” e “l’industria del sequestro” nelle prigioni libiche viene così ricostruita nel dettaglio. La tesi sostenuta dai dati presentati nel report è che questo “sistema basato sulla vendita di esseri umani” sia strutturato dagli stessi apparati dello stato tunisino. Gli europarlamentari che hanno deciso di presentare il dossier a Bruxelles, intendono ridiscutere lo statuto di “paese sicuro” assegnato alla Tunisia e il suo ruolo di partner e beneficiario economico della frontiera esterna dell’Unione, con lo stanziamento di oltre 150 milioni di euro negli ultimi due anni.
Tra 2023 e 2024 la Tunisia ha bloccato oltre 100mila persone in fuga, di cui oltre l’80% provenienti dall’Africa sub-sahariana, la maggior parte dei quali è stata successivamente violentemente espulsa verso Algeria e Libia: “Queste testimonianze fanno luce sulle modalità con cui la Tunisia ha reso possibile, negli ultimi anni, la drastica riduzione degli arrivi in Italia lungo la rotta del Mediterraneo centrale e l’aumento delle intercettazioni in mare da parte della Garde Nationale Tunisienne”.
Se incentivare i blocchi delle partenze era la precisa volontà comunitaria, le autorità tunisine sarebbero andate “ben oltre il mandato previsto, deportando le vittime nel deserto o vendendole alle milizie libiche, in violazione della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, quella contro la tortura e altre normative internazionali sui diritti umani”. “Il progetto di ricerca in origine voleva studiare la vita negli accampamenti e l’organizzazione sociale dei viaggi” spiega uno dei ricercatori, che hanno preferito mantenere una forma anonima per ragioni di sicurezza. “A partire dall’estate del 2023 abbiamo iniziato a raccogliere ripetute testimonianze di ‘vendita’ e ‘scambio’, per questo abbiamo deciso di focalizzare le interviste per confrontare e verificare queste testimonianze, moltiplicando e diversificando le fonti e approfondendo i dettagli spazio-temporali degli eventi”.
Molte delle persone che hanno testimoniato la tratta sono riuscite a raggiungere l’Europa (Belgio, Francia, Italia), altre sono state rimpatriate nei paesi di origine o si trovano ancora in Libia. “Il report non pretende di ‘costruire una verità giudiziaria’, ma molte delle persone coinvolte nell’indagine, ora in Europa, sono intenzionate a portare avanti le proprie denunce per “avere giustizia rispetto a una violenza istituzionale subita”.
Questo pomeriggio a Bruxelles un secondo incontro, organizzato da un gruppo di europarlamentari di S&D, Left e Verdi/Ale, riporterà ulteriori testimonianze e dettagli. “Per anni i nostri governi ci hanno raccontato che era necessario fare accordi con la Libia e con la Tunisia per sconfiggere il traffico di esseri umani, per combattere i trafficanti. La verità è proprio il contrario – denuncia l’europarlamentare Cecilia Strada – Sono le autorità libiche e tunisine che gestiscono il traffico di esseri umani e che sono responsabili di indicibili abusi e violenze, stupri e torture sulle persone migranti. Ecco cosa succede davvero, oltre alla propaganda, con i soldi delle cittadine e dei cittadini europei”.
Solo l’Italia, dal 2017 a oggi, ha speso circa 75 milioni di euro nell’equipaggiamento e nella “formazione” delle guardie di frontiera tunisine, prima attraverso il cosiddetto “Fondo migrazioni”, poi attraverso il “Fondo di premialità per le politiche di rimpatrio”. Nell’incassare i finanziamenti, la Tunisia ha in più occasioni chiarito che non voler diventare “un hub delle migrazioni dirette in Europa”, ma in assenza di un sistema di asilo interno, “inevitabilmente al blocco del transito verso l’Europa da parte della Tunisia seguono violenti meccanismi di espulsione”
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Sanremo, 16 feb. (Adnkronos) - "Conti ha detto che il suo festival è 'baudiano'? Sono molto contento, mi fa veramente piacere". Risponde così all'Adnkronos Pippo Baudo, commentando le parole del direttore artistico del festival Carlo Conti in conferenza stampa dove ha detto che il suo Sanremo è stato 'baudiano', ammettendo di ispirarsi allo storico conduttore del festival di Sanremo perché "ci ha insegnato lui a farlo". Baudo detiene attualmente il record di conduzioni del Festival della Canzone Italiana di Sanremo, avendolo presentato 13 volte.
Milano 14 feb. -(Adnkronos) - Vorwerk ha presentato in questi giorni a Berlino il nuovo Bimby, erede dell’elettrodomestico multifunzione impostosi sin dagli anni ’70 come il robot da cucina per antonomasia. Bimby TM7 rileva il testimone del modello lanciato nel 2019 con una proposta attenta al mercato e in risposta alle esigenze dei clienti in continua evoluzione: per questo i progettisti Vorwerk hanno apportato innovazioni al design, con l’ampio schermo multitouch da 10 pollici, all’interfaccia digitale, alla piattaforma Cookidoo, con oltre 10.000 ricette per un’esperienza culinaria sempre più nuova, e al motore di Bimby . Tutto questo consente di ottimizzare la vita in cucina, liberando il proprio tempo mentre Bimby si occupa della preparazione dei piatti. La novità Vorwerk, inoltre, arriva con un corredo di funzioni e opzioni di cottura ulteriormente ampliate.
Bimby TM7, già prenotabile da febbraio e disponibile a partire da aprile, porta a un livello superiore l’integrazione tra un elettrodomestico all'avanguardia e l'ecosistema digitale Cookidoo, garantendo un'esperienza culinaria più ricca, uniforme e intuitiva che ridefinisce i metodi di preparazione dei cibi. L’ultimo nato in casa Vorwerk sfoggia un’inedita veste in nero, scelta dettata non solo dallo stile ma perché facilita l’incorporazione di un maggior numero di materiali riciclati nel dispositivo. Il nuovo rivestimento isolante del boccale permette di maneggiarlo in sicurezza, contribuendo anche al mantenimento della temperatura ottimale delle preparazioni. Protagonista assoluto è l’ampio schermo multitouch da 10 pollici, che in Bimby TM7 integra la manopola e dà accesso immediato alla piattaforma Cookidoo, agevolando sia la ricerca che l'esecuzione di qualsiasi ricetta in modalità guidata.
L’interfaccia di Bimby TM7 si contraddistingue per la sua schermata principale personalizzabile sulle necessità di ciascun utente. Inoltre, sono state perfezionate componenti come la spatola, il tappo del coperchio e l’accessorio per le cotture al vapore (il cosiddetto Varoma) ora di forma rettangolare con più spazio per gli alimenti. Con le tantissime funzioni per cui è stato creato, Bimby TM7 manifesta pienamente la sua anima di robot tuttofare: cuoce, anche a vapore e ad alta temperatura, insaporisce, rosola, riscalda, effettua cotture in sottovuoto e cotture lente, prepara uova e cereali alla cottura desiderata, caramella e fa lievitare impasti, e fermentare yogurt e formaggi fatti in casa.
Oltre alle tante funzioni di cottura, Bimby TM7 sostituisce oltre 20 piccoli elettrodomestici da cucina, facendosi carico di sbrigare in modo veloce e impeccabile i compiti più ingrati e “time consuming” quali pesare, tritare, grattugiare, amalgamare, emulsionare, e anche impastare. La connettività intelligente Wi-Fi e Bluetooth e il collegamento multi-device alla piattaforma Cookidoo (sullo schermo Bimby ma anche attraverso la app e il PC), rendono disponibile in qualsiasi momento un ricettario digitale costantemente aggiornato che spazia tra decine di migliaia di ricette, italiane ed internazionali, tutte rigorosamente testate e descritte in dettaglio, ma anche video, tutorial, articoli e suggerimenti a cui attingere per ispirarsi. L’utente può scegliere se affidarsi alla modalità guidata o esplorare la modalità manuale. Nel primo caso, una volta selezionata la ricetta su Cookidoo, Bimby si occupa di tutto, indicando ingredienti, quantità e procedura, guidando l’utente con passaggi preimpostati, regolando automaticamente tempi, temperature e velocità. In modalità manuale, l’utente può selezionare il tipo di cottura che ritiene più indicata tra quelle a disposizione per realizzare velocemente le sue preparazioni, ma soprattutto trova anche un valido aiuto nelle innumerevoli modalità preimpostate - eseguibili al tocco di una semplice icona - uno dei punti di forza di Bimby.
Un’importante novità è l’introduzione della nuova funzione Cottura Aperta, che permette di cucinare senza coperchio a 100°C in totale sicurezza. Questa funzione, disponibile anche in modalità guidata con tante ricette preimpostate, non solo offre una visione completa sul lavoro di Bimby, ma consente anche l’aggiunta di ingredienti a piacere in corso d’opera. Un’alternativa eccellente per coloro che amano aggiungere il loro tocco personale alle ricette. Il TM7 è alimentato da un nuovissimo motore sincrono da 500 Watt che dispone di un ampio intervallo di giri al minuto - da 40 a 10.700 - e di un controllo adattativo della potenza : il tutto con una silenziosità che anche a pieno regime “non alza la voce”.
In attesa dell’inizio ufficiale delle consegne ad aprile, il nuovo Bimby può essere prenotato già da subito attraverso gli incaricati alla vendita, che accompagnano l’utente alla scoperta di tutte le nuove funzionalità del prodotto. La consulenza gratuita e personalizzata è parte integrante del mondo della vendita diretta Vorwerk.
Bruxelles, 16 feb. (Adnkronos) - Un anno fa, il 16 febbraio 2024, moriva l'attivista Alexei Navalny mentre era detenuto in un carcere russo: aveva 47 anni. Sono tante le persone che questa mattina si sono radunate a Mosca per rendere omaggio al più forte oppositore del Cremlino In centinaia si sono recate al cimitero Borisov. Qui hanno sfilato persone arrivate da sole, altre in piccoli gruppi, anche famiglie con bambini.
I sostenitori di Navalny hanno deposto fiori sulla sua tomba con la polizia che ha concesso l'ingresso al cimitero Borisov filmando tutto. C'erano anche diplomatici stranieri, compresi gli ambasciatori di Usa e Ue, Lynne Tracy e Roland Galharague, secondo notizie rilanciate dall'agenzia Dpa.
Nel ricordare Navalny, l'Ue dichiara che la riguardo "il presidente Putin e le autorità russe hanno la responsabilità ultima" della sua morte. "Mentre la Russia intensifica la sua guerra di aggressione illegale contro l'Ucraina, continua anche la repressione interna, prendendo di mira coloro che si battono per la democrazia - prosegue la dichiarazione dell'Alto rappresentante per la Politica estera dell'Ue, Kaja Kallas, a nome dei Ventisette - Navalny ha dato la sua vita per una Russia libera e democratica. Oggi i suoi avvocati restano ingiustamente in carcere, insieme a centinaia di prigionieri politici".
Secondo l'Ue "la Russia deve liberare immediatamente e senza condizioni i legali di Navalny e tutti i prigionieri politici". L'Unione chiede anche alla Russia di "porre fine alla sua repressione brutale della società civile, dei media dei membri dell'opposizione e di rispettare il diritto internazionale".
Yulia Navalnaya ha diffuso un video in occasione del primo anniversario della morte di suo marito Alexei Navalny in cui ricorda ciò in cui credeva il principale oppositore del Cremlino: "Sappiamo perché stiamo combattendo: una Russia del futuro che sia libera, pacifica e bella, quella che sognava Alexei è possibile. Bisogna fare di tutto affinché si realizzi il suo sogno".
"Ognuno può fare qualcosa: manifestare, scrivere ai prigionieri politici, far cambiare opinione ai propri cari, sostenersi a vicenda", prosegue Navalnaya, attesa a Berlino nell'ambito delle iniziative per ricordare Navalny. "Alexei è fonte di ispirazione in tutto il mondo. Capiscono che il nostro Paese non è solo guerra, corruzione, repressione", afferma, accusando il leader russo Vladimir Putin di "voler cancellare dalla nostra memoria il nome di Alexey, nascondere la verità sul suo omicidio e di costringerci alla rassegnazione".
"Ma non ci riuscirà. Il dolore ci rende più forti e quest'anno ha dimostrato che siamo più forti di quanto pensassimo", incalza la donna, chiedendo di prendere esempio dal "coraggio" e dalla "capacità di amare davvero il nostro Paese" che aveva Navalny.
"Navalny è morto un anno fa perché si batteva per la democrazia e la libertà in Russia", ha scritto il cancelliere tedesco Olaf Scholz su X, aggiungendo che il leader russo Vladimir "Putin combatte in modo brutale la libertà e i suoi difensori". Così, "il lavoro di Navalny è stato ancor più coraggioso - ha rimarcato - Il suo coraggio ha fatto la differenza e va ben oltre la sua morte".
Anche il ministero degli Esteri, Antonio Tajani, ha scritto un messaggio su X : "A un anno dalla morte di Aleksej Navalny, non dimentichiamo il suo coraggio e il suo sacrificio a favore della libertà e della democrazia. La mia vicinanza alla sua famiglia e a tutti i difensori dei diritti umani che ogni giorno combattono nel mondo per avere più giustizia e stato di diritto".
Sanremo, 16 feb. - (Adnkronos) - “Lucio Corsi è stata la vera novità del festival. Partito come uno sconosciuto al grande pubblico e riuscito a conquistare chi lo ha ascoltato grazie ai suoi testi pieni di poesia, ironia e fantasia". Così Carlo Verdone, all'Adnkronos, commenta il successo di Lucio Corsi, secondo classificato a Sanremo 2025.
Con il brano 'Volevo essere un duro', l'artista toscano si è classificato secondo e ha vinto il Premio della Critica "Mia Martini". Un successo che Verdone aveva in qualche modo previsto, includendo Corsi nel cast della terza stagione di 'Vita da Carlo'. Nella serie, Verdone interpreta il direttore artistico del Festival, scegliendo proprio Corsi come artista in gara. Una finzione che si è trasformata in realtà.
Verdone non loda solo il talento artistico di Corsi, ma anche le sue qualità umane: "Quello che traspare in Lucio è l’essere una persona piena di garbo, che vive di stupore. Non c’è mai rabbia in lui. Ma la sua forza non è solo nel suo talento ma anche nella sua pacatezza di persona perbene e umile. L’umiltà è la cosa che lo contraddistingue più di tutte. E’ andato avanti con i suoi soli mezzi".
E conclude: "Grazie a lui la musica mi sembra abbia iniziato a prendere un’altra direzione, meno ansiogena, più riflessiva e amabile, fondata su dei testi belli. E’ un poeta. Sono contento anche perché puntare su di lui nella mia serie è stata una scommessa vinta anche per me. Gli auguro tutto il successo che merita”, conclude.
Bruxelles, 16 feb. (Adnkronos) - Un anno fa, il 16 febbraio 2024, moriva l'attivista Alexei Navalny mentre era detenuto in un carcere russo: aveva 47 anni. Sono tante le persone che questa mattina si sono radunate a Mosca per rendere omaggio al più forte oppositore del Cremlino In centinaia si sono recate al cimitero Borisov. Qui hanno sfilato persone arrivate da sole, altre in piccoli gruppi, anche famiglie con bambini.
I sostenitori di Navalny hanno deposto fiori sulla sua tomba con la polizia che ha concesso l'ingresso al cimitero Borisov filmando tutto. C'erano anche diplomatici stranieri, compresi gli ambasciatori di Usa e Ue, Lynne Tracy e Roland Galharague, secondo notizie rilanciate dall'agenzia Dpa.
Nel ricordare Navalny, l'Ue dichiara che la riguardo "il presidente Putin e le autorità russe hanno la responsabilità ultima" della sua morte. "Mentre la Russia intensifica la sua guerra di aggressione illegale contro l'Ucraina, continua anche la repressione interna, prendendo di mira coloro che si battono per la democrazia - prosegue la dichiarazione dell'Alto rappresentante per la Politica estera dell'Ue, Kaja Kallas, a nome dei Ventisette - Navalny ha dato la sua vita per una Russia libera e democratica. Oggi i suoi avvocati restano ingiustamente in carcere, insieme a centinaia di prigionieri politici".
Secondo l'Ue "la Russia deve liberare immediatamente e senza condizioni i legali di Navalny e tutti i prigionieri politici". L'Unione chiede anche alla Russia di "porre fine alla sua repressione brutale della società civile, dei media dei membri dell'opposizione e di rispettare il diritto internazionale".
"Navalny è morto un anno fa perché si batteva per la democrazia e la libertà in Russia", ha scritto il cancelliere tedesco Olaf Scholz su X, aggiungendo che il leader russo Vladimir "Putin combatte in modo brutale la libertà e i suoi difensori". Così, "il lavoro di Navalny è stato ancor più coraggioso - ha rimarcato - Il suo coraggio ha fatto la differenza e va ben oltre la sua morte".
Napoli , 16 feb. - (Adnkronos) - Una bimba di appena 9 mesi è morta nella notte tra sabato e domenica all'ospedale di Acerra (Napoli) a causa delle gravissime ferite alla testa e al volto causate dai morsi del cane pitbull di famiglia.
Secondo quanto si apprende, la piccola era in casa con il padre. La tragedia è avvenuta nella tarda serata di sabato in un appartamento di Acerra. In ospedale sono intervenuti gli agenti del commissariato di polizia di Acerra che hanno avviato le indagini, coordinati dalla Procura di Napoli Nord.
Secondo i primi accertamenti, pare che la bimba sia stata aggredita dal cane di famiglia mentre il padre dormiva e la madre era al lavoro. Sul caso sono in corso accertamenti. Incensurati e sotto i 30 anni, i genitori sono sotto shock.
Milano, 16 feb. (Adnkronos) - "Stasera scopriremo il vincitore" dice Carlo Conti sul palco dell’Ariston per la finalissima di Sanremo. E ricorda implicitamente a tutti i cantanti in gara che dal giudizio del pubblico non si scappa. Così come a quello dei look sfoggiati: dopo una settimana all’insegna di pelle, petti nudi, completi sartoriali, senza particolari colpi di testa, si può dire che all’Ariston abbia regnato la noia assoluta. E passino le trasparenze, i cristalli, le paillettes e gli smoking ultra classici ma per farsi ricordare ci vuole tutt’altra stoffa. Come quella che ha vestito Achille Lauro, dritto in cima al nostro podio. Ancora in Dolce&Gabbana (e chi sennò?) l’artista romano sceglie un ampio cappotto vestaglia completamente bordato di paillettes e sovrastampata con texture ghepardo. Persino in t-shirt bianca a costine è irresistibile. Per noi vince lui. Voto: 9.
Potrà anche aver vinto il festival della canzone italiana, Olly. Ma di certo lo stile è totalmente da rivedere. La canottiera bianca sotto la camicia celeste è un no totale. Si salva il pantalone ampio stretto in vita da una cintura da smoking. Voto a metà strada tra non classificato e irrecuperabile. E' giovane, si rifarà. La tradizione appartiene al padrone di casa, il direttore artistico e conduttore Carlo Conti, elegantissimo in smoking doppiopetto di velluto con maxi revers in raso e papillon. Voto: 8. Reinterpreta i tagli delle prime due serate Francesca Michielin, con un top di raso cut-out color cipria, paillettes e pantaloni neri. Tutto Miu Miu. Il rossetto scuro le dona carattere, peccato per i sandali plateau argento dalla sfumatura poco intonata all’insieme. Voto: 5. “Ho messo questi per farti i colpi di sole” dice Alessandro Cattelan a Carlo Conti indicando i revers sparkling dello smoking total white firmato Giorgio Armani. Semplice ma indiscutibile. Voto: 7.
Willie Peyote, è il caso di dirlo: grazie ma no grazie. La camicia sbottonata che spunta dal completo nero anonimo mal si adatta alla finale di Sanremo. Almeno i bottoni si potevano allacciare. Voto: 4. Alessia Marcuzzi scende le scale dell’Ariston con un abito nero dolcevita e schiena nuda che le disegna il corpo e ricorda da lontano quello di Mireille Darc nella commedia ‘Le grand blond avec une chaussure’ di Yves Robert del 1972. Più casta, certo, ma avremmo preferito vederla con gioielli importanti e capelli raccolti. Il secondo cambio d’abito regala qualche emozione in più, un maxi tubino rosso, mentre con il terzo, un longdress nero bustier, ingrana finalmente la quarta. Voto: 5.
Laminatissima, quasi accecante, Marcella Bella, che indossa una jumpsuit interamente ricoperta di cristalli con un disegno geometrico al centro. Qualcuno sui social chiama in causa il look di Orietta Berti con le conchiglie: “Rispolvera le sue capesante”. Too much, siamo d’accordo, ma è pur sempre la finalissima. Voto: 6. I jeans all’Ariston dovrebbero essere banditi, fatta eccezione per Edoardo Bennato. Bresh non lo sa e li indossa con una t-shirt color cenere, stivali di pelle grigia firmati Ami Paris e gioielli Apm Monaco. Non bastano i ricami dorati a fargli superare la prova. Voto: 5. Modà, ma che pasticcio avete combinato? La camicia cartoon coloratissima di Kekko, che si declina anche in accessori per gli altri membri della band, preferiremmo non averla vista. “Se la guardi per trenta secondi ti vengono gli occhi di Fedez” scrivono sui social. Non ce la sentiamo di dissentire. Voto: non classificati.
L’abbiamo scritto l’anno scorso e lo ripetiamo quest’anno: come si fa a resistere a Rose Villain? Il suo look Fendi haute couture è davvero ‘fuorilegge’, tanto che ha bisogno della scorta per scendere le scale. La cantante indossa un abito nero see through con strascico, gambe a vista, corsetto e micro cristalli ricamati. I capelli tiratissimi e raccolti in una coda la rendono statuaria. “Mi sento male per quanto è bella” dice Alessia Marcuzzi. E noi con lei. Voto: 9. Ha fatto talmente parlare per le sue collane ultra costose che alla fine Tony Effe verrà ricordato solo per un semplice rosario. E’ quello che il cantante allaccia al polso per l’esibizione finale, in look total black, giacca e pantaloni, che lo rendono persino presentabile. Della serie 'molto rumore per nulla'. Voto: 6 per l'impegno.
Clara è sempre bellissima ma il lungo abito light blue con corpetto che le disegna il corpo fa tanto Cenerentola al ballo di mezzanotte. Che peccato. Voto: 5. Cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia. Nel caso di Serena Brancale va ammesso che seppure da cinque giorni provi a variare sul tema di trasparenze e luccichii – e apprezziamo lo sforzo – non riesce a spiccare il volo. La tuta nera con ricami e trasparenze anche no. Voto: 4. Sorprendentemente elegante Brunori Sas, in classico smoking che veste bene. Anche volendo trovare difetti non ce ne sono. Voto: 7. Che noia, Francesco Gabbani! Un altro smoking senza guizzi anche per la finale. Voto: 6. “E’ una dea” esclama Alessia Marcuzzi vedendo Noemi con indosso un lungo abito gioiello con maniche lunghe e collo alto firmato Patou e cristalli Swarovski in diverse misure. E’ sofisticata al massimo. Voto: 8 e mezzo.
Sottotono Rocco Hunt, senza infamia e senza lode in completo nero. La maglietta girocollo ce la poteva risparmiare. Voto: 5. Il look da bad boy di Stash dei The Kolors fa centro: la collana-cintura un po’ fetish abbinata ai guanti in pelle fa tanto Annie Lennox e alza immediatamente la temperatura. Voto: 7 e mezzo. Ospite della serata, per ricevere il premio alla carriera, Antonello Venditti fa Antonello Venditti: occhiali aviator d’ordinanza, capello nero pettinato all’indietro e completo nero. Si ama per forza. Voto: 7. Sembrano usciti dal film ‘Beetlejuice’ Coma _Cose con California in abitino in chiffon nero e inserti in pizzo, calze ricamate e grande cappello rosso in paglia che strizza l’occhio a una delle protagoniste della pellicola di Tim Burton, l’artista nevrotica Delia Deetz. In completo matchy il marito Fausto. Che dire? Non fate mai il loro nome per tre volte di seguito. Voto. 5.
E’ coi fiocchi il look di Giorgia, letteralmente. Come il nastro nero allacciato al collo, che dà un twist alla normalità del look: shorts, blusa ricamata e blazer total black. Chic con poco. Voto: 7. I fiori ci sono. L’eleganza pure. E la classe non manca a Simone Cristicchi che torna a scegliere il suo fedele compagno di viaggio, lo stilista Antonio Marras, per l’ultima serata con un completo effetto tapestry nero con ricami floreali silver. Un deciso cambio di marcia rispetto alle sere precedenti che lo fa risalire nelle nostre quotazioni. Voto: 8. Eccola Elodie con chioma raccolta, abito nero bustier completamente ricamato e guanti da diva. Un look che appare troppo ‘carico’. Il lungo strascico ce lo poteva risparmiare. Voto: 6. Bolero rosso con tanto di piume, maglia mesh e pantaloni skinny per Lucio Corsi, che con i suoi outfit sopra le righe ci ha stupito e divertito per tutta la durata del Festival. E chissà se anche per la finale, il secondo classificato ha usato le patatine per imbottire le spalline. Nel dubbio, continuiamo ad amarlo così com'è: un vero outsider anche nella moda. Voto: 6 e mezzo.
Per quanto si possa essere fan delle giacche ‘bold’ il modello blu con alamari dorati e maxi cristalli di Irama fa troppo Ancient Regime. Voto: 5. Fedez vede nero, come la canzone che intona. L’umore non sembra dei migliori, il look pure. Sempre Versace, sempre giacca tre bottoni con il logo della Medusa. Senza arte né parte. Voto: 4. La vera notizia è che Shablo, Guè, Joshua e Tormento abbandonano lo street style e si mettono in tiro con dei completi doppiopetto e cravatta che, seppur casual, ben si sposano con il tempio sacro della musica italiana. Voto: 7 per l'inaspettato twist. Look vincente non si cambia. Lo sa bene Joan Thiele (e il suo stylist) ancora una volta con una lunga mantella di Chanel e body nero coperto che fa capolino dietro la chitarra. Le lunghe trecce fanno un po’ girlish un po’ Mercoledì Addams ma Joan resta comunque inarrivabile. Voto: 9.
Anche Massimo Ranieri, come molti degli uomini saliti sul palco dell’Ariston durante questa edizione, punta sul total white, con tanto di completo tre pezzi. Che dire? Passabile. Voto: 5 e mezzo. Gaia, in abito con fili di perline effetto scucito, sembra impigliata in una rete. Eppure le premesse c’erano tutte, il beauty look con rossetto scuro è magnetico, il colore burgundy della mise pure. Ma niente, il risultato finale non buca lo schermo. Voto: 5. Troppi strati, camicia troppo sbottonata, revers troppo grossi, capelli troppo arruffati. Insomma, il look di Rkomi è troppo sbagliato. Nonostante nelle serate precedenti abbia avuto dei momenti nì, il perdente inglorioso della serata finale è lui. Voto: 4. Sarah Toscano è l’ultima a esibirsi e fare così tardi per vedere il suo look forse non valeva la pena. Optical all’ennesima potenza, gonna e top geometrici, tutto Pucci, e occhiali da sole, che per fortuna abbandona prima di cantare. Insomma, “la più piccola del gruppo” come ricorda Conti, deve crescere ancora in fatto di stile. Voto: 5.
Mahmood si esibisce a sorpresa come ospite in abito sartoriale doppiopetto. Il tocco di classe è la spilla a forma di fiore appuntata al petto. Bello e bravo. Voto: 8. La semplicità paga sempre. Lo sa bene Bianca Balti, che torna sul palco con una creazione di Ermanno Scervino composta da due pezzi distinti: body-corsetto e abito. Il body è realizzato in raso di seta, utilizzato al rovescio per ottenere un effetto opaco con struttura, steccatura e impunture, ispirate ai corsetti di fine Ottocento. Sul retro, invece, l'abito sfoggiato dalla modella presenta un lungo strascico che parte dalle scapole e si sviluppa alla fine di un intreccio di lacci. Ci piace tantissimo. Voto: 9. (di Federica Mochi)