Il generale libico, la presidente Meloni, il governo e la magistratura. Un thriller che rischia di trasformarsi in sceneggiata. Tutto inizia il 19 gennaio con l’arresto del generale Osama Njeem Almasri, comandante della prigione di Mittiga e delle forze speciali libiche, su cui pende un mandato di cattura internazionale della Corte penale dell’Aja per crimini di guerra, uccisioni, stupri, torture ed altri orribili delitti commessi ai danni di persone vittime di trafficanti di esseri umani. Il boia libico rimarrà poche ore in carcere perché verrà liberato, per motivi su cui bisogna fare doverosa chiarezza ma che appaiono ictu oculi risibili, e trasportato, su ordine dei vertici del governo italiano, a Tripoli con un Jet Falcon dei servizi segreti italiani.

Il governo fa fuggire un latitante e lo riporta, con un volo di Stato, nel luogo in cui ha consumato i crimini contro l’umanità. Le opposizioni insorgono, nei media si apre un dibattito, si chiede chiarezza e ricostruzione dei fatti.

Il ministro dell’interno Piantedosi, rispondendo al question time in Parlamento, ci consegna una delle sue perle di saggezza istituzionale: “abbiamo espulso il generale libico perché socialmente pericoloso”. È come se arrestato un terrorista o mafioso latitanti lo stato li manda all’estero e non li tiene nelle patrie galere perché pericolosi. Una pessima figura istituzionale nei confronti della Corte internazionale, dello stato di diritto interno ed internazionale ed un affronto alle vittime del macellaio di carne umana.

Un cittadino, avvocato ed ex parlamentare, presenta un esposto alla Procura della Repubblica di Roma. La magistratura compie gli atti che la legge prevede quando sono denunciati presidenti del Consiglio e/o ministri. In questo caso Meloni, Nordio, Piantedosi e Mantovano. Il Procuratore della Repubblica invia, come per legge, una comunicazione agli indagati – l’iscrizione nel registro degli indagati è atto dovuto per legge quando vi è una denuncia specifica nei confronti di persone e reati individuabili – che il procedimento è stato inviato al tribunale dei ministri.

Semmai si constata il privilegio di cui godono premier e ministri: un collegio speciale con corsia preferenziale ed addirittura nell’atto giudiziario notificato vi è un saluto vergato a penna di ossequio del Procuratore della Repubblica di Roma, cortesia non riservata ai comuni mortali.

La premier riceve la lettera, che non è un avviso di garanzia, e trasforma il thriller, da ricostruire perché la vicenda è inquietante e gravissima, in sceneggiata. In primis, mostra la sua ignoranza, inescusabile per una premier, perché parla di avviso di garanzia quando invece è una sorta di comunicazione giudiziaria. Dice che non è ricattabile, excusatio non petita accusatio manifesta, perché dal momento che non credo si riferisca al procuratore della repubblica di Roma, che tutto è per la sua storia tranne che una toga rossa, di essere un ricattatore, si riferisce evidentemente, come disse immediatamente dopo la liberazione del latitante libico, alle stesse autorità libiche, dalle quali sembra invece temere e subire le ritorsioni di un aumento di flussi migratori come è avvenuto nei giorni di consumazione del thriller.

Dopo aver poi bollato il Procuratore come quello della indagine farlocca nei confronti di Salvini, sferra un attacco violento all’avvocato Li Gotti che ha presentato l’esposto, etichettandolo come amico di Prodi e soprattutto, in maniera oscura e sinistra, come difensore di collaboratori di giustizia. Giorgia ha perso la calma. Se qualcuno aveva ancora dubbi su quello che pensano i vertici del governo sulla magistratura, ora la maschera è caduta definitivamente: non accettano il controllo di legalità, disprezzano la Costituzione, odiano la magistratura che indaga sul potere, accelerano sulla riforma della giustizia che ci condurrà fuori definitivamente dall’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

Basterà una telefonata del ministro al procuratore ordinando di non indagare? Non si arriverà nemmeno a quello. Non ci sarà più un cittadino o una cittadina che denuncerà il potere e nessun pubblico ministero, comunque, nemmeno d’ufficio, potrà indagare nei confronti del potere. Perché il potere politico sarà legibus solutus, mentre le persone senza potere saranno sempre di più bollate come sovversivi se oseranno mettere in discussione l’ordine costituito. Meloni si è posta fuori dallo stato di diritto per proiettarsi con forza, con una sceneggiata che umilia le istruzioni, nel vicolo cieco dello stato autoritario.

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