“L’heure est grave”, il momento è grave: nel suo tanto atteso discorso alla nazione, annunciato da due giorni e infine diffuso ieri a tarda notte dalla tv nazionale congolese, il presidente Félix Tshisekedi ha usato toni enfatici. In pantaloni e camicia cachi, lo sguardo sempre fisso alla telecamera, l’espressione accigliata, ha definito “marionette” del Rwanda e “terroristi” gli uomini dell’M23, il gruppo armato che sta giorno dopo giorno avanzando nelle regioni del Nord e Sud Kivu dopo aver preso anche il capoluogo Goma, sottolineando come la situazione securitaria delle province orientali, compreso l’Ituri, sia “senza precedenti”, con “le forze armate del Rwanda a sostegno dell’M23” che “seminano terrore e desolazione”.
Tshisekedi ha fatto ripetuti appelli all’unità del popolo congolese, al di là di appartenenze etniche, religiose, politiche, unico modo per riuscire a far fronte all’invasione. Come riuscirci concretamente, però, non l’ha spiegato. Inviti “alla resilienza e alla resistenza”, richiami a “una risposta vigorosa e coordinata”, “pronti a difendere ogni centimetro del nostro territorio”, evocazioni di riunioni e “équipe ristrette” per valutare come reagire. Ma concretamente nessun passo è stato indicato, né tantomeno intrapreso.
Chi si aspettava proclami roboanti, chi invocava la dichiarazione di guerra al Rwanda è rimasto a bocca asciutta: “Restiamo pienamente impegnati nel processo di pace di Luanda, malgrado gli ostacoli”, ha affermato Tshisekedi. A tutti i concittadini, ma anche ai tanti congolesi della diaspora, l’appello è quello alla mobilitazione unitaria ma pacifica: tutti contribuiscano allo sforzo di guerra, economicamente, logisticamente, moralmente. I giovani “si arruolino in massa”. Il presidente congolese ha condannato le violenze esplose martedì nella capitale Kinshasa, in particolare gli assalti alle ambasciate: “Comportamenti irresponsabili che gettano ombre anche sulla nostra giusta collera. Dobbiamo essere fermi e disciplinati”.
Il passaggio che più è parso stonato è stato quello in cui Tshisekedi si è rivolto direttamente alla gente colpita in questi giorni: “Sono pienamente cosciente delle vostre sofferenze. Stiamo approntando un piano d’urgenza umanitaria per gli sfollati. A voi a Goma: sento tutto il vostro dolore, che è il mio. Appoggiatevi alla vostra forza interiore, mantenete la calma malgrado le avversità”. Peccato che gli abitanti di Goma non avranno nemmeno potuto ascoltarle queste surreali parole, dal momento che da giorni sono non solo senza acqua, ma anche senza elettricità e senza connessione internet. Persino le antenne radiotelevisive sono fuori uso. Quindi gli appelli alla resilienza e alla calma non sono stati intesi. Anche perché la popolazione del Kivu, dopo oltre 30 anni di guerre, di resilienza è già maestra indiscussa.
L’unico passaggio efficace è stato quello rivolto alla comunità internazionale: “Il Rwanda viola la carta Onu e gli impegni sottoscritti col cessate il fuoco, disprezza le regole internazionali con arroganza”: il sostegno all’M23 e lo “sfruttamento illegale delle nostre risorse naturali è una provocazione inaccettabile per noi e per la stabilità regionale”. Attenzione, avverte, che questa escalation “mette seriamente in pericolo tutta la regione dei Grandi Laghi. Il vostro silenzio e la vostra inazione costituisce un affronto alla Repubblica Democratica del Congo e ai valori universali di giustizia e pace. Il vostro silenzio è complicità”. E conclude: “La repubblica non vi abbandonerà mai. Io non vi abbandonerò mai, lo giuro”.
Una chiosa melodrammatica che ha però ragioni precise: questo discorso, annunciato e atteso da due giorni, giunge in un montante clima di sfiducia e serpeggianti voci che adombrano rischi per la tenuta democratica, di un golpe, addirittura per la vita del presidente. Ieri Tshisekedi era atteso a Nairobi per un meeting della East African Comunity, organizzato dal mediatore William Ruto per mettere attorno a un tavolo i due contendenti. Tshisekedi ha fatto sapere che non sarebbe andato. Il presidente rwandese Paul Kagame ha fatto altrettanto. Il meeting è stato allora riorganizzato online. Ma nemmeno lì Tshisekedi si è presentato, a differenza dell’omologo rwandese.
Uno scoop del sito d’informazione Africa Intelligence ha svelato che in quelle stesse ore, in gran segreto, il presidente congolese si era recato a Luanda, capitale dell’Angola, uno dei pochi Paesi rimasti amici. Voci sempre più insistenti parlano di scontento fra i generali dell’esercito congolese, che attribuiscono la disfatta e la caduta di Goma all’insufficiente sostegno del governo alle forze armate. Altri affermano invece che i cospicui fondi governativi inviati negli ultimi mesi per rafforzare l’esercito abbiano in buona parte preso altre strade. Insomma: se in pubblico si moltiplicano gli appelli all’unità e alla resistenza per riconquistare il territorio occupato, dietro le quinte aleggiano sospetti e veleni che rendono il clima di Kinshasa sempre più asfittico e pericoloso.
Non è un caso che l’ambasciata statunitense in Congo, che aveva chiesto ai propri concittadini di lasciare Goma già giorni prima dell’occupazione, ieri sera abbia alzato l’allerta a livello 4: “Do not travel”, non viaggiate, avvertono sul loro sito. Evacuazione immediata di tutto il personale non indispensabile da tutto il territorio nazionale. Già il 28 gennaio un’altra comunicazione invitava i connazionali a partire “mentre sono disponibili opzioni commerciali” e in ogni caso a preparare documenti e una borsa con l’indispensabile.
Nel Paese gli italiani sono circa un migliaio. A Goma risulterebbero presenti ancora alcuni nostri concittadini: se qualcuno dei 15 segnalati dalla Farnesina a inizio crisi è riuscito autonomamente a passare la frontiera ed entrare in Rwanda, altri restano invece tutt’ora bloccati in città, con la popolazione esausta e stremata. E come se non bastasse, mentre a Kinshasa si dibatte fra manovre e paure, dall’est giunge notizia di un’ulteriore avanzata dell’M23 verso il Sud Kivu, lungo l’asse che costeggia il lato occidentale del lago in direzione Bukavu, che della regione è capoluogo. Segnale inequivocabile che gli appetiti degli occupanti non si fermeranno alla presa di Goma.
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Congo, il presidente Tshisekedi ricompare in un video: “Resistete”. L’avanzata dell’M23 e i malumori dell’esercito: ora si teme il golpe
Le forze ribelli sostenute dal rwanda continuano ad avanzare anche nel Sud Kivu e il Paese diventa ogni giorno più instabile. Usa: "Via i concittadini"
“L’heure est grave”, il momento è grave: nel suo tanto atteso discorso alla nazione, annunciato da due giorni e infine diffuso ieri a tarda notte dalla tv nazionale congolese, il presidente Félix Tshisekedi ha usato toni enfatici. In pantaloni e camicia cachi, lo sguardo sempre fisso alla telecamera, l’espressione accigliata, ha definito “marionette” del Rwanda e “terroristi” gli uomini dell’M23, il gruppo armato che sta giorno dopo giorno avanzando nelle regioni del Nord e Sud Kivu dopo aver preso anche il capoluogo Goma, sottolineando come la situazione securitaria delle province orientali, compreso l’Ituri, sia “senza precedenti”, con “le forze armate del Rwanda a sostegno dell’M23” che “seminano terrore e desolazione”.
Tshisekedi ha fatto ripetuti appelli all’unità del popolo congolese, al di là di appartenenze etniche, religiose, politiche, unico modo per riuscire a far fronte all’invasione. Come riuscirci concretamente, però, non l’ha spiegato. Inviti “alla resilienza e alla resistenza”, richiami a “una risposta vigorosa e coordinata”, “pronti a difendere ogni centimetro del nostro territorio”, evocazioni di riunioni e “équipe ristrette” per valutare come reagire. Ma concretamente nessun passo è stato indicato, né tantomeno intrapreso.
Chi si aspettava proclami roboanti, chi invocava la dichiarazione di guerra al Rwanda è rimasto a bocca asciutta: “Restiamo pienamente impegnati nel processo di pace di Luanda, malgrado gli ostacoli”, ha affermato Tshisekedi. A tutti i concittadini, ma anche ai tanti congolesi della diaspora, l’appello è quello alla mobilitazione unitaria ma pacifica: tutti contribuiscano allo sforzo di guerra, economicamente, logisticamente, moralmente. I giovani “si arruolino in massa”. Il presidente congolese ha condannato le violenze esplose martedì nella capitale Kinshasa, in particolare gli assalti alle ambasciate: “Comportamenti irresponsabili che gettano ombre anche sulla nostra giusta collera. Dobbiamo essere fermi e disciplinati”.
Il passaggio che più è parso stonato è stato quello in cui Tshisekedi si è rivolto direttamente alla gente colpita in questi giorni: “Sono pienamente cosciente delle vostre sofferenze. Stiamo approntando un piano d’urgenza umanitaria per gli sfollati. A voi a Goma: sento tutto il vostro dolore, che è il mio. Appoggiatevi alla vostra forza interiore, mantenete la calma malgrado le avversità”. Peccato che gli abitanti di Goma non avranno nemmeno potuto ascoltarle queste surreali parole, dal momento che da giorni sono non solo senza acqua, ma anche senza elettricità e senza connessione internet. Persino le antenne radiotelevisive sono fuori uso. Quindi gli appelli alla resilienza e alla calma non sono stati intesi. Anche perché la popolazione del Kivu, dopo oltre 30 anni di guerre, di resilienza è già maestra indiscussa.
L’unico passaggio efficace è stato quello rivolto alla comunità internazionale: “Il Rwanda viola la carta Onu e gli impegni sottoscritti col cessate il fuoco, disprezza le regole internazionali con arroganza”: il sostegno all’M23 e lo “sfruttamento illegale delle nostre risorse naturali è una provocazione inaccettabile per noi e per la stabilità regionale”. Attenzione, avverte, che questa escalation “mette seriamente in pericolo tutta la regione dei Grandi Laghi. Il vostro silenzio e la vostra inazione costituisce un affronto alla Repubblica Democratica del Congo e ai valori universali di giustizia e pace. Il vostro silenzio è complicità”. E conclude: “La repubblica non vi abbandonerà mai. Io non vi abbandonerò mai, lo giuro”.
Una chiosa melodrammatica che ha però ragioni precise: questo discorso, annunciato e atteso da due giorni, giunge in un montante clima di sfiducia e serpeggianti voci che adombrano rischi per la tenuta democratica, di un golpe, addirittura per la vita del presidente. Ieri Tshisekedi era atteso a Nairobi per un meeting della East African Comunity, organizzato dal mediatore William Ruto per mettere attorno a un tavolo i due contendenti. Tshisekedi ha fatto sapere che non sarebbe andato. Il presidente rwandese Paul Kagame ha fatto altrettanto. Il meeting è stato allora riorganizzato online. Ma nemmeno lì Tshisekedi si è presentato, a differenza dell’omologo rwandese.
Uno scoop del sito d’informazione Africa Intelligence ha svelato che in quelle stesse ore, in gran segreto, il presidente congolese si era recato a Luanda, capitale dell’Angola, uno dei pochi Paesi rimasti amici. Voci sempre più insistenti parlano di scontento fra i generali dell’esercito congolese, che attribuiscono la disfatta e la caduta di Goma all’insufficiente sostegno del governo alle forze armate. Altri affermano invece che i cospicui fondi governativi inviati negli ultimi mesi per rafforzare l’esercito abbiano in buona parte preso altre strade. Insomma: se in pubblico si moltiplicano gli appelli all’unità e alla resistenza per riconquistare il territorio occupato, dietro le quinte aleggiano sospetti e veleni che rendono il clima di Kinshasa sempre più asfittico e pericoloso.
Non è un caso che l’ambasciata statunitense in Congo, che aveva chiesto ai propri concittadini di lasciare Goma già giorni prima dell’occupazione, ieri sera abbia alzato l’allerta a livello 4: “Do not travel”, non viaggiate, avvertono sul loro sito. Evacuazione immediata di tutto il personale non indispensabile da tutto il territorio nazionale. Già il 28 gennaio un’altra comunicazione invitava i connazionali a partire “mentre sono disponibili opzioni commerciali” e in ogni caso a preparare documenti e una borsa con l’indispensabile.
Nel Paese gli italiani sono circa un migliaio. A Goma risulterebbero presenti ancora alcuni nostri concittadini: se qualcuno dei 15 segnalati dalla Farnesina a inizio crisi è riuscito autonomamente a passare la frontiera ed entrare in Rwanda, altri restano invece tutt’ora bloccati in città, con la popolazione esausta e stremata. E come se non bastasse, mentre a Kinshasa si dibatte fra manovre e paure, dall’est giunge notizia di un’ulteriore avanzata dell’M23 verso il Sud Kivu, lungo l’asse che costeggia il lato occidentale del lago in direzione Bukavu, che della regione è capoluogo. Segnale inequivocabile che gli appetiti degli occupanti non si fermeranno alla presa di Goma.
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Palermo, 19 feb. (Adnkronos) - Non è morta per essere caduta dal balcone, come si era appreso in un primo momento, la donna di 80 anni deceduta all'ospedale di Marsala (Trapani). Lo rendono noto i Carabinieri di Marsala (Trapani). La Procura, diretta da Fernando Asaro, ha emesso un provvedimento di fermo di indiziato di delitto nei confronti del figlio 51enne per il reato di omicidio preterintenzionale, commesso ai danni della madre convivente. "Il provvedimento, eseguito dai Carabinieri della Compagnia di Marsala, scaturisce dalle risultanze delle indagini svolte dai militari dell’Arma e coordinate dalla Procura di Marsala, in ragione del decesso della donna, ricoverata da circa tre giorni presso l’ospedale Paolo Borsellino di Marsala per un asserito avvelenamento da farmaci", spiegano i Carabinieri.
"La ricostruzione dei fatti ha permesso di comprendere che la donna sarebbe morta quale delle gravi lesioni riportate a seguito delle percosse subite dal figlio nei giorni antecedenti dal ricovero- dice l'Arma- Il provvedimento, terminato con la traduzione del 51enne presso il carcere di Trapani, sarà oggetto di convalida dal GIP del Tribunale di Marsala nei prossimi giorni. Le indagini preliminari sono in corso".
Palermo, 19 feb. (Adnkronos) - Una donna è morta precipitando dal balcone di casa. E' successo a Marsala, nel trapanese. I carabinieri hanno fermato il figlio con l'accusa di avere spinto la madre dal balcone, in via Oberdan. L'accusa è di omicidio. Sarà adesso il gip a pronunciarsi sul fermo del figlio. L'inchiesta è coordinata dal Procuratore di Marsala Fernando Asaro.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "C’è una sola parola per le espressioni usate dal Presidente americano nei confronti di Zelensky. Vergogna. Profonda. Totale. Assoluta. Passeranno questi tempi bui, tornerà l’America. Sempre dalla parte dell’Ucraina". Lo scrive il senatore Pd, Filippo Sensi, sui social.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - “Trump ha detto, tra le altre cose, che Zelensky è un dittatore che ha voluto lui la guerra. Non una parola critica su Putin, che ha pianificato una invasione su larga scala dell’Ucraina libera e democratica, e sul fatto che la sua guerra di invasione totale sia fallita, nonostante la sproporzione delle forze in campo e nonostante gli aiuti militari da parte occidentale siano stati inviati con pesanti restrizioni. Da Trump non una parola di distinzione tra aggredito e aggressore, tra diritto internazionale e arbitrio, tra democrazia e tirannia”. Lo dichiara il deputato di +Europa Benedetto Della Vedova.
“Ci dovremo abituare al continuo tentativo di Trump di ribaltare la realtà. Ma ciò a cui non possiamo abituarci è il fatto che in Italia ci sia chi plauda alla prepotenza di Trump, condita di retorica antieuropea, anzichè condannarla. Ieri Salvini, oggi Conte. A quanto capisco, fosse per Conte, che non può intestarsi la leadership dell’opposizione, oggi l’intera Ucraina sarebbe una provincia russa, esattamente come lo è diventata la Bielorussia, e Putin sarebbe pronto a schiacciare sotto il suo tallone tirannico altri paesi, anche dell’Unione, in nome della ritorno della grande Russia. Tanto, a noi cosa importa?”, conclude.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - Una parlamentare Pd di lungo corso esce dall'aula esclamando: "Se non ci fosse Nordio, qualcuno lo dovrebbe inventare. Guarda, io voterei no alla mozione di sfiducia martedì...". E poi rivolta ai colleghi: "Ma avete visto le facce di quelli di Fdi? Sono sbiancati". Quello che è successo in aula oggi alla Camera al question time è che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha risposto alla domanda di Pd e Iv sulla quale, ieri, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai Servizi, Alfredo Mantovano, aveva spiegato che non era possibile rispondere in aula in quanto informazione 'classificata'. Insomma, roba da Copasir. Non da riunione dell'aula, trasmessa in diretta.
Un corto circuito di fronte a cui le opposizioni incalzano parlando di "governo allo sbando", di "situazione fuori controllo". "Ma nelle mani di chi siamo? Siamo nelle mani di nessuno. Ieri con un atto gravissimo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mantovano ha secretato, oggi lei ministro Nordio viene in aula e spiattella tutto. Ma non vi siete parlati?", sbotta in aula Davide Faraone di Iv.
La domanda in questione era se la polizia penitenziaria avesse o meno in uso lo spyware di Paragon. E il ministro Nordio - "a braccio", sottolineano dal Pd - ha risposto che no, "la polizia penitenziaria non ha mai usato quel sistema". Commenta Matteo Renzi: "Oggi Nordio ha messo molto in difficoltà Mantovano: ecco perché Mantovano non voleva che Nordio rispondesse in Aula", scrive sui social. Resta il fatto, aggiunge il leader di Iv, che sono state spiati cittadini - tra cui il direttore di Fanpage, Francesco Cancellato, e Luca Casarini - sono stati "intercettati in modo illegale: chi è stato?", chiede Renzi annunciando di voler andare fino in fondo alla vicenda: "Noi chiederemo accesso agli atti sulle spese per intercettazione di tutte le Procure della Repubblica. E non ci fermiamo".
Elly Schlein chiama in causa la premier Giorgia Meloni che "ormai si è data alla latitanza": dopo la vicenda Almasri, "ora il governo tenta di squagliarsela anche sul caso Paragon". Sottolinea la segretaria del Pd: "Sappiamo che giornalisti e attivisti italiani sono stati spiati con il spyware Graphite, utilizzato esclusivamente da organi dello stato. È preciso dovere del governo fare chiarezza e dirci chi spiava queste persone e per quale motivo. Cosa sta nascondendo il governo Meloni? Il Paese si merita risposte e il luogo dove fornirle è il Parlamento".
Anche Riccardo Magi si rivolge a Meloni: "Sul caso Paragon il Governo è in cortocircuito totale. Ieri le informazioni erano secretate, oggi Nordio cambia idea e risponde. Nel frattempo, resta il mistero totale su chi ha utilizzato lo spyware di Paragon per intercettare persino i giornalisti. Giorgia Meloni non ha più alibi: deve venire con urgenza in Parlamento e spiegare se in questa vicenda c'è un coinvolgimento di apparati dello Stato e quali, eventualmente, quelli coinvolti". Mentre Andrea Orlando fa notare un'altra voce 'mancante': "Perché in tutte queste ore il responsabile della struttura del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che ha la responsabilità sulla polizia penitenziaria, non ha ancora detto una parola? Immaginiamo che se domani mattina la Polizia di Stato o i Carabinieri avessero intercettato in maniera illegale, o se ci fosse questo sospetto, il Comandante generale dei Carabinieri o il Capo della Polizia direbbero che è vero o che non è vero o che stanno indagando".
Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, poi, aggiungono anche un altro tassello. "Abbiamo un sacco di interrogativi e il governo continua a non rispondere. E ci siamo posti anche questa domanda: la sera prima che Casarini" scoprisse lo spyware nel suo telefono, "io ero a cena con Luca Casarini e c'erano anche altri parlamentari della Repubblica: mi hanno osservato? Mi hanno spiato?".
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - Si avvicina l’appuntamento con l’Italian Investment Council by Remind, la piattaforma di dialogo che riunisce istituzioni nazionali, internazionali e Locali, insieme a imprenditori, manager, esperti e professionisti, per affrontare le sfide e cogliere le opportunità di sviluppo per la Nazione. L’incontro, organizzato da Remind (Associazione delle Buone Pratiche dei Settori Produttivi), si terrà il prossimo 25 febbraio a Palazzo Ferrajoli e vedrà la partecipazione di figure di rilievo del panorama istituzionale, economico, industriale con l’obiettivo di delineare strategie efficaci per la crescita sostenibile dell’Italia, un’agenda di rilievo per lo sviluppo della Nazione.
L’iniziativa si propone come uno spazio di confronto tra pubblico e privato, volto a promuovere politiche industriali sugli investimenti e a valorizzare le buone pratiche italiane in Europa e nel mondo. L’IIC verrà aperto dai saluti istituzionali di Antonio Tajani, Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri, mentre tra i keynote speaker e i relatori attesi figurano Antonella Sberna, Vicepresidente del Parlamento Europeo, Gelsomina Vigliotti, Vicepresidente della Banca Europea degli Investimenti, Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Maria Teresa Bellucci, Viceministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Vannia Gava, Viceministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Edoardo Rixi, Lucia Albano Sottosegretario dell’Economia e delle Finanze, Viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Alessandro Morelli, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – DIPE, Nicola Procaccini Parlamentare Europeo, Renato Loiero, Consigliere per le Politiche di Bilancio del Presidente del Consiglio, Paolo Grasso, Capo di Gabinetto del Vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, Serafino Sorrenti Chief Information Officer Presidenza del Consiglio, Ferruccio Ferranti, Presidente Mediocredito Centrale, Stefano Pontecorvo, Presidente Leonardo e Vincenzo Sanasi d’Arpe, Alessandro Moricca Amministratore Unico Pagopa, Amministratore Delegato Consap, Giuseppe Romano Coordinatore Zes Unica, Simona Camerano Responsabile Scenari Economici Cdp, Virgilio Pomponi Vice Capo di Gabinetto Ministero dell’Economia e delle Finanze, Fabrizio Curcio Commissario Straordinario per la Ricostruzione Emilia Romagna, Toscana e Marche, Lamberto Giannini Prefetto di Roma, Pierluigi Biondi Sindaco l’Aquila, Alessandro Dagnino Assessore all’Economia Regione Sicilia, Marco Nardini Cfo Corporate Service GreenIt, Salvatore Corroppolo Direttore Affari Generali Dipartimento Pnrr del Mase e Don Antonio Coluccia.
Nel corso dell'iniziativa ci sarà un keynote speech di Dario Lo Bosco Presidente Rfi - Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane sull’innovazione e la sostenibilità delle infrastrutture e della mobilità.
I temi in discussione spazieranno dalle politiche europee per la crescita economica, alla sicurezza e difesa come pilastri dello sviluppo territoriale, fino alle nuove sfide legate alla transizione energetica, all’innovazione tecnologica ai trasporti sostenibili. Un elemento centrale dell’Italian Investment Council sarà il rafforzamento della collaborazione tra settore pubblico e privato, fondamentale per sviluppare strategie di investimento efficaci e sostenibili. In questa prospettiva, le buone pratiche dei settori produttivi rappresentano un modello di riferimento per la crescita economica dell’Italia con un focus di approfondimento sugli scenari economici da parte di Marco Daviddi (Ey), le testimonianze imprenditoriali sulla rinascita del mezzogiorno a cura di Fabrizio Marchetti (B21) e Gabriele Scicolone (Artelia Italia) e sull’immobiliare allargato con un intervento di Massimiliano Pierini (Rx Italy) e di Luca Dal Fabbro (Iren).
L’evento vedrà la partecipazione di esperti e leader del mondo imprenditoriale, tra cui, Bruno Rovelli (Blackrock Italia) Ivano Ilardo (Yard Reaas), Paolo Vari (Ideare), Francesco Burrelli (Anaci), Giulio Gravina (Italpol), Massimo Ponzellini (Centro Studi Giuseppe Bono), Emiliano Boschetto (eFm), Marta Borri (Galeotti), Michele Stella (Polis Sgr), Giorgio Pieralli (Zurich Group) che porteranno la loro esperienza su innovazione, competitività e sostenibilità nei rispettivi ambiti. Il dialogo tra istituzioni e imprese consentirà di individuare percorsi condivisi per rendere l’Italia più attrattiva per gli investitori, valorizzando al contempo le eccellenze nazionali.
Sottolineando l’importanza di creare un ambiente favorevole agli investimenti, il presidente di Remind e promotore dell’Italian Investment Council, Paolo Crisafi, ha dichiarato: “L’Italia ha un potenziale straordinario che deve essere tutelato e promosso. Stiamo collaborando, Istituzioni e Settori Produttivi, affinché la nostra Nazione diventi sempre più attrattiva per gli investitori, senza però snaturare la nostra identità economica e culturale. L’obiettivo è coniugare sviluppo e tradizione, facendo leva sulle eccellenze del Made in Italy per rilanciare la nostra economia in un’ottica di crescita sostenibile e duratura.”
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "L'approccio imperiale di Donald Trump al negoziato per la pace in Ucraina - che prevederebbe che il 50% delle risorse e delle infrastrutture di Kiev vada agli Stati Uniti, oltre al diritto di prelazione per l’acquisto di minerali esportabili e per la concessione di tutte le future licenze - pone in secondo piano la libertà e la democrazia per l'Ucraina e con esse l'esigenza di sicurezza dell'Europa intera. A noi pare inaccettabile: stiamo con Kiev per i valori che il Presidente Mattarella ha ricordato e per cui è stato attaccato dal Cremlino”. Lo afferma il segretario di +Europa, Riccardo Magi.
“Il vicepremier Salvini, invece che occuparsi di treni, ha fatto sapere che sta con l’invasore russo. A questo punto, non sarebbe il caso che Meloni venisse in Parlamento a rendere nota la sua posizione sul piano Trump, aggiornare le Camere sugli ultimi sviluppi, dando vita a un dibattito parlamentare sulla questione ucraina, fondamentale per il futuro dell’Italia e dell’Europa? Almeno daremmo il segnale di essere ancora in una democrazia parlamentare, cosa non scontata nemmeno più in Europa”, conclude Magi.