Dal primo febbraio scatteranno dazi statunitensi del 25% per Canada e Messico. O forse no. Giovedì sera Donald Trump ha confermato misura e tempistica e ha aggiunto che ci saranno dazi del 10% sui beni provenienti dalla Cina, tuttavia non ha specificato i tempi di attuazione.

Nella serata di venerdì l’agenzia Reuters, ha riportato che le tariffe sarebbero partite a inizio marzo, sottolineando che nessuna decisione è definitiva fino all’annuncio ufficiale di Trump. Poco dopo la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt ha però detto che i dazi scatteranno da domani 1 febbraio, definendo “false” le indiscrezioni della Reuters. La portavoce ha aggiunto che il presidente non ha invece ancora deciso sulla tempistica per i dazi all’Ue.

In ogni caso, i dazi andranno a colpire prodotti che valgono 900 miliardi di dollari e i due principali partner commerciali degli Usa. Auto e apparecchiature elettriche dovrebbero essere i settori più colpiti in Messico, mentre in Canda il comparto più esposto è quello delle materie prime lavorate.

Secondo prime valutazioni dell’agenzia Bloomberg, le importazioni statunitensi da Canada e Messico potrebbero scendere di quasi il 70%, quelle dalla Cina di quasi il 40%, nel medio termine. Questo, per gli Usa, significa però anche rinunciare a prodotti a basso costo, quindi una spinta all’inflazione. Inoltre, i paesi colpiti dalle tariffe, potrebbero applicare a loro volta dazi sui beni Usa ed orientare diversamente i loro rapporti commerciali, rafforzando o creando blocchi economico – politici alternativi a quello con gli stati Uniti.

Trump è anche tornato a minacciare dazi del 100% per i paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica ed altri) , qualora dovessero creare, o adottare, una moneta comune alternativa al dollaro. “L’idea che i Brics stiano cercando di allontanarsi dal dollaro mentre noi restiamo a guardare è finita”, ha scritto ieri sera Trump sulla sua piattaforma social Truth. “Richiederemo a questi paesi apparentemente ostili di impegnarsi a non creare una nuova valuta Brics né a sostenere un’altra valuta per sostituire il potente dollaro statunitense, altrimenti dovranno affrontare tariffe del 100%”, ha continuato il presidente Usa.

Per ora di concreto ci sono solo i dazi su Canada e Messico che entrano in vigore domani. L’annuncio ha provocato una repentina discesa del peso messicano in rapporto al dollaro, calo che è stato poi però in parte recuperato. In flessione anche il dollaro canadese. “Nessuno lascerà il Messico”, ha affermato il ministro dell’Economia messicano Marcelo Ebrard interpellato sulla possibilità che la statunitense General Motors possa abbandonare il paese sudamericano a causa delle decisioni della Casa Bianca. L’azienda non se ne andrà, ma “farà solo alcuni aggiustamenti. I loro impianti più produttivi si trovano qui, sarebbe molto costoso, per cui sfrutteranno le capacità di cui non dispongono negli Stati Uniti”, ha aggiunto. Mary Barra, amministratrice delegata di General Motors, ha dichiarato, all’inizio di questo mese, che l’azienda sta studiando diversi scenari per attenuare l’impatto delle tariffe.

Dalla galassia Brics, il Brasile annuncia che risponderà con “reciprocità” all’eventuale aumento dei dazi sui prodotti esportati negli Stati Uniti. Da Mosca, il portavoce di Putin, Dmitri Peskov ha affermato che i Brics non stanno parlando di creare una valuta comune. “Non c’è stata e non è in corso una discussione del genere. I Brics parlano della creazione di nuove piattaforme di investimento congiunto che consentano investimenti in Paesi terzi, investimenti reciproci e così via”, ha dichiarato.

Preoccupazione per le politiche commerciali della Casa Bianca sono state espresse giovedì anche dalla presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde. I dazi “in generale un impatto globale negativo” per l’economia, ha detto Lagarde. Secondo Lagarde è difficile dire se eventuali dazi Usa avrebbero un effetto inflattivo o deflattivo per l’Eurozona, perché “ci sono molte variabili”, ad esempio se il commercio troverà altre rottee se ci sarà una rappresaglia. “I dazi ci preoccupano perché siamo un Paese esportatore, abbiamo esportato 626 miliardi nel 2024, quindi abbiamo fatto bene in confronto agli altri Paesi”, dice il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini.

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