di Valerio Mirarchi

Ho da poco finito di vedere la serie M – Il figlio del secolo. Ho letto che le polemiche si sono concentrate perlopiù attorno all’attore interprete di Mussolini, Luca Marinelli, che ha raccontato del suo “dolore” – vero o strumentale che sia – nell’interpretare questo personaggio da convinto antifascista. Ma c’è un punto, a mio parere, molto più importante da analizzare. È bene ricordare anzitutto che questa serie, pur avendo come protagonista Mussolini, non dipinge l’Italia fascista, bensì l’Italia liberale pre-fascista – non dimentichiamoci che nei primi tre anni di Governo Mussolini (1923-1925) l’Italia era ancora una democrazia; e che fascisti e liberali erano all’epoca alleati.

Ora, si nota subito che questa serie, che si pone l’obiettivo di dipingere un periodo storico di cento anni fa, ha un ritmo estremamente veloce. Moltissime scene hanno uno stile confuso: più che classiche scene di una serie televisiva storica, sembrano dei collage di TikTok, di reels di Instagram o di shorts di Youtube. Tutta la narrazione è velocissima, aiutata anche da musiche di sottofondo con ritmi serrati e dalle sonorità vagamente trap che ovviamente nulla hanno a che fare con quell’epoca storica. Inoltre, la scena che più mi ha colpito si vede nel terzo episodio, in cui Mussolini – dopo un discorso ad un Congresso fascista – si lancia sul pubblico di fascisti come una rockstar in concerto, tenuto in posizione orizzontale dalle mani alzate dei camerati. Ovviamente non risulta che una cosa del genere sia realmente successa; ma, proprio come nei social, in questa serie tutto è possibile perché tutto è un prank, niente è serio.

Il regista e gli sceneggiatori hanno voluto chiaramente ed esclusivamente rivolgersi ai giovani in questa loro operazione; e per farlo hanno ricreato un’Italia liberale immaginaria, incluso un fascismo da social. Hanno cioè rimpiazzato il modo di parlare, di ragionare e di comportarsi degli uomini del Regno d’Italia (liberali, fascisti, socialisti, cattolici) con modi di fare e di pensare tipici dell’era social, assolutamente sconosciuti alle persone dell’epoca.

I creatori della serie, in sostanza, hanno fallito nel dare una rappresentazione di quel periodo straordinario, semi-anarchico e pieno di contraddizioni che fu l’Italia tra 1918 e 1922. Le modalità di pensiero e di azione dipinte sono quelle del 2025. Tutto ciò conferma qualcosa che in effetti non è un segreto: che i giovani non riescono più a comprendere il liberalismo dell’epoca pre-fascista. Il che potrebbe essere percepito come qualcosa di positivo, visto che i liberali dell’epoca portarono l’Italia nelle guerre coloniali e furono essenziali per la presa del potere da parte di Mussolini. Ma, forse, l’incomprensione del passato (per terribile che possa essere) porta con sé delle ombre per il futuro.

Il periodo liberale dell’Italia, con tutti i suoi difetti, era caratterizzato dalla serietà dell’azione: la politica non era uno spettacolo quotidiano a cui assistere dalla televisione o dal pc, ma era gestione della cosa pubblica. Nell’epoca delle dirette social, invece, nulla è serio. La vita stessa diventa un video su Youtube in cui non si fa altro che mescolare realtà e finzione; e allora non esiste niente di serio per cui lottare, tantomeno la democrazia liberale.

I cittadini possono votare per un politico semplicemente perché il suo modo di fare è strano o irregolare, come ad esempio hanno fatto i romeni nelle ultime elezioni presidenziali, vinte da un outsider che crede che l’atterraggio dell’uomo sulla Luna sia stato una finzione e che le bevande gassate contengano microchip che si introducono nell’organismo. Frasi ovviamente riprese sui social con tantissimi like, perché tutto è spettacolo. Ma la vita reale, alla fine, esiste; e se la conseguenza della società dei social è di dare il potere a persone tanto divertenti quanto incompetenti, forse da ciò cominceranno i più grandi problemi che l’umanità dovrà affrontare in futuro.

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