di Roberto Iannuzzi *

Quello del presidente statunitense Donald Trump sarà probabilmente un mandato di rottura, ma non nel senso da lui prefigurato. Nel suo discorso di inaugurazione, il 20 gennaio scorso, egli ha annunciato una presidenza messianica, promettendo una “nuova epoca d’oro” per l’America.

Trump ha richiamato alcuni elementi chiave dell’identità americana, dall’eccezionalismo al destino manifesto, addirittura proiettato oltre il pianeta Terra (“perseguiremo il nostro destino manifesto tra le stelle, lanciando astronauti americani a piantare la bandiera a stelle e strisce su Marte”). Sebbene abbia promesso di porre fine alle guerre, egli intende “costruire l’esercito più forte che il mondo abbia mai visto”, riaffermando il diritto quasi religioso degli Usa a dominare il pianeta: “le nostre libertà e il glorioso destino della nostra nazione non saranno più negati”. Allo stesso tempo, egli ha ribadito l’idea alquanto bizzarra secondo cui gli Stati Uniti sarebbero una “vittima” sulla scena internazionale: “D’ora in poi, il nostro paese […] sarà di nuovo rispettato in tutto il mondo. Saremo l’invidia di ogni nazione e non ci lasceremo più sfruttare”.

Nelle intenzioni, dunque, la sua sarà una presidenza decisa, spiccia, muscolare. Essa è tuttavia destinata a suscitare opposizione, resistenze, confusione e shock a livello politico ed economico, sia sul piano interno che all’estero. Ma il suo secondo mandato sarà probabilmente più dirompente del primo proprio perché egli ha superato alcuni ostacoli del passato, dal Russiagate alle persecuzioni giudiziarie, e ha rafforzato la propria base, non solo a livello popolare ma delle élite. Una porzione del potere economico, di Wall Street, della Silicon Valley, è ormai dalla sua parte. Lo dimostrano in maniera eloquente la sua inaugurazione presenziata dai vari Zuckerberg, Bezos, Musk, così come i 13 miliardari che faranno parte della sua amministrazione. Un’oligarchia di cui Trump fa sfoggio in maniera smaccata, ma che già dominava la politica americana sotto le precedenti amministrazioni.

All’incontro annuale del World Economic Forum tenutosi a Davos, in Svizzera, simbolicamente proprio in coincidenza con il suo insediamento, il clima nei confronti di Trump era meno ostile rispetto al passato. Mentre 8 anni fa egli era un anatema per i globalisti di Davos, ora molti di essi hanno imparato ad accettare pragmaticamente gli aspetti che considerano negativi delle sue politiche (dazi, restrizioni all’immigrazione), controbilanciandoli con quelli per loro positivi (taglio delle tasse, deregolamentazione).

In patria, i principali venture capitalist della Silicon Valley si contendono l’orecchio del presidente. L’amministrazione avrà un ruolo determinante nel definire vincitori e vinti in settori come microchip, intelligenza artificiale, criptovalute e aerospazio. Le parole d’ordine sono semplificare, tagliare i costi, scommettere forte, cambiare radicalmente, anche a costo di inevitabili disfunzioni ritenute passeggere, sebbene alcune voci minoritarie ammoniscano che amministrare un governo non è come gestire un’impresa d’affari.

Intanto, pezzi della magistratura sono determinati ad opporsi ai provvedimenti di Trump all’interno, mentre elementi del cosiddetto “Stato profondo”, come la comunità dell’intelligence, sono pronti a dar filo da torcere al presidente sulle questioni di politica estera.

Trump è destinato a spaccare ulteriormente l’Europa. Il quotidiano francese Le Monde ha scritto che “non vi è garanzia che ciò che rimane dell’ordine internazionale costruito dagli Usa alla fine della seconda guerra mondiale sopravviva”. Un ordine internazionale già abbondantemente picconato da Joe Biden e dai suoi predecessori alla Casa Bianca. Ma i dazi e le ambizioni imperiali del nuovo presidente – dal vagheggiato controllo sul canale di Panama all’acquisizione della Groenlandia – possono dargli un’ulteriore spallata.

Trump ha detto di amare l’Europa ma non l’Ue. Tuttavia i dazi e la richiesta di acquistare ancora più Lng americano rischiano di svuotare le tasche dei comuni cittadini europei prima ancora di danneggiare i tecnocrati di Bruxelles. Mentre la sua pretesa che gli alleati oltreoceano aumentino le spese militari fino al 5% del Pil fa il gioco di quelle élite europee che sostengono ingiustificatamente l’esigenza che il vecchio continente si riarmi anche al prezzo di impoverire i suoi cittadini.

Allo stesso tempo, la scelta della Casa Bianca (con il sostegno di magnati della Silicon Valley come Elon Musk) di flirtare con i partiti della cosiddetta “destra populista” europea inasprirà inevitabilmente la dialettica politica nel vecchio continente e i rapporti transatlantici. Più in generale, il multilateralismo arretrerà ulteriormente sotto la nuova amministrazione. Le istituzioni internazionali continueranno a perdere peso a vantaggio dei rapporti personali, dei contatti bilaterali e delle coalizioni “ad hoc”.

Le politiche dei dazi, infine, se implementate come minacciato, rischiano di aumentare l’inflazione in patria, ma soprattutto di mettere in crisi le catene di fornitura internazionali, di impoverire le economie di alleati come i paesi europei e il Canada, e di far sprofondare quelle di paesi fragili come il Messico. Con la conseguenza di destabilizzare i mercati finanziari e di aprire ulteriori crepe nella coesione politica ed economica di un Occidente già in crisi.

*Autore del libro “Il 7 ottobre tra verità e propaganda. L’attacco di Hamas e i punti oscuri della narrazione israeliana” (2024).
Twitter: @riannuzziGPC
https://robertoiannuzzi.substack.com/

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