Sicuramente“. Così Donald Trump, parlando ai reporter nello Studio Ovale, ha confermato l’intenzione di imporre dazi sulle importazioni anche dall’Unione europea, dopo l’entrata in vigore dal 1° febbraio di quelli nei confronti di Canada, Messico e Cina. “Volete la risposta vera o quella politica? Certo che lo farò, l’Europa ci ha trattati malissimo“, ha detto. Parole a cui un portavoce della Commissione europea ha risposto richiamando le posizioni già espresse nei giorni scorsi dalla presidente Ursula von der Leyen e dal commissario al Commercio Maroš Šefčovič: “L’Ue resterà fedele ai suoi principi e, se necessario, sarà pronta a difendere i propri interessi legittimi”. E a incalzare le istituzioni europee è anche il ministro italiano dell’Economia Giancarlo Giorgetti: la misura della Casa Bianca, dice, “preoccupa” ricordando che “è già accaduto in passato, lo ha fatto anche l’amministrazione Biden. E’ utilizzato come strumento di politica industriale da parte degli Usa per riportare delle produzioni negli Usa”. “L’Europa – continua Giorgetti parlando a margine di un incontro pubblico nella sede della Provincia di Varese – inizi a immaginare degli strumenti per difendere le produzioni che esistono in Europa e in Italia. Ci diano strumenti per difendere la nostra industria che altrimenti rimane stritolata dalla concorrenza che viene dall’Asia o dagli Usa. Strumenti ce ne sono tanti per esempio un uso più intelligente della tassazione ambientale che è stato un clamoroso autogol per tutta l’industria dell’automotive”.

“Non c’è niente che Canada, Messico e Cina possano fare per evitare i dazi” dice Trump dallo Studio Ovale. Abbozzando anche un calendario dei prodotti che verranno tassati: dopo acciaio e farmaceutici, per cui le tariffe sono entrate in vigore il 1° febbraio, “attorno al 18 febbraio” toccherà a microchip, petrolio e gas. La guerra dei dazi è iniziata insomma: prima contro i vicini degli Stati Uniti e l’avversario cinese ma presto, stando alle minacce del presidente americano, potrebbe scagliarsi anche contro l’Unione europea. Certo è che l’iniziativa di Trump, arrivata a meno di due settimane dal suo ritorno alla Casa Bianca, ha segnato una forte escalation nella sua politica commerciale ed è il segno che la più grande economia del mondo vuole tassare i suoi partner commerciali più importanti. Secondo il database Trade Data Monitor, infatti, nel 2023 le importazioni di beni statunitensi da Ue, Canada, Messico e Cina sono state di 1,9 trilioni di dollari, circa il 60% del totale.

Nonostante l’opposizione degli investitori e il rosso di Wall Street, Trump ha mantenuto la promessa di imporre dal primo febbraio dazi del 25% a Canada e Messico e del 10% alla Cina. Sui beni che saranno tassati il commander-in-chief è stato piuttosto vago parlando di un elenco che include acciaio, alluminio, rame, prodotti farmaceutici, medicine, ma anche microchip, gas e petrolio in un secondo momento, a partire dal 18 febbraio. Sta di fatto che le tasse sulle importazioni da quei Paesi avranno un peso sulle tasche degli americani che, secondo uno studio dell’università di Yale, si tradurrà in 1.300 dollari di spese annuali in più per famiglia. “Gli americani capiranno“, è convinto Trump secondo il quale la sua politica “renderà gli americani più ricchi“.

Immediata la reazione del governo canadese, che tramite il premier Justin Trudeau si è detto pronto a rispondere con “forza e immediatamente. Non è quello che vogliamo ma, se andrà avanti, agiremo anche noi”. Il giorno successivo si è fatto sentire anche Mark Carney, il favorito alla carica di primo ministro dopo le dimissioni di Trudeau: “Il presidente Trump probabilmente pensa che il Canada cederà. Ma noi siamo intenzionati a resistere al bullo e non ci tireremo indietro, siamo uniti e reagiremo”, ha detto. In Messico, invece, la presidente Claudia Sheinbaum ha convocato una riunione di urgenza con i ministri interessati del suo governo. In precedenza, Sheinbaum aveva assicurato che il Messico è pronto “a qualsiasi scenario” e agirà “con sangue freddo”, mantenendo al contempo sempre aperto “il dialogo” con Washington.

Nel frattempo il Wall Street Journal, il più importante quotidiano economico-finanziario del mondo, attacca l’iniziativa di Trump definendola “la guerra commerciale più stupida della storia“: in un editoriale si critica in particolare l’imposizione di tariffe più alte per i Paesi confinanti con gli Usa rispetto a quelle adottate contro la Cina. “I famigerati avversari degli americani, Messico e Canada saranno colpiti da una tassa del 25%, mentre la Cina, un vero avversario, del 10%. Una mossa che ricorda la vecchia battuta di Bernard Lewis secondo cui è rischioso essere nemico dell’America ma può essere fatale esserne amico“, si legge nell’articolo. Ma in ogni caso, sostiene il quotidiano, “la guerra commerciale di Trump non ha nessun senso e renderà l’economia degli Stati Uniti meno competitiva”.

Intanto Trump ha preso un’altra decisione indicativa della direzione che vuole imprimere alla sua politica economica: il licenziamento del direttore del Consumer Financial Protection Bureau, Rohit Chopra nonostante il suo mandato scada nel 2026, come riporta il New York Times. A capo dell’agenzia che tutela i clienti di banche e finanziarie, Chopra è stato una spina nel fianco di Wall Street per il suo approccio aggressivo nel far rispettare le leggi per proteggere i consumatori e stabilendo nuove regole. È stato grazie al suo giro di vite che nel 2022 Wells Fargo è stata costretta a pagare 2 miliardi di dollari ai clienti frodati.

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