Non ricordo“, risposte evasive, contraddizioni emerse durante la sua testimonianza, definita “imbarazzante” dalla famiglia di Giulio Regeni. L’attesa deposizione dell’ex consigliere diplomatico di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, Armando Varricchio, sentito al processo sul sequestro, le torture e l’omicidio del ricercatore italiano in corso a Roma, finisce con l’irritazione evidente della madre di Giulio, Paola Deffendi, e i toni stizziti del pm Sergio Colaiocco. Era una testimonianza particolarmente attesa, per cercare di capire il motivo per il quale lo stesso Renzi – al di là del cablo inviato il 28 gennaio 2016, con Palazzo Chigi tra i destinatari, dall’ambasciatore al Cairo Maurizio Massari e che recitava “massima attenzione” – fosse stato informato – secondo la versione dello stesso ex premier – “soltanto il 31 gennaio“. L’ex premier era stato già ascoltato, anche perché già in sede di commissione parlamentare tutti gli altri protagonisti della vicenda (dall’allora ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, all’allora Segretaria generale della Farnesina, Elisabetta Belloni) avevano confermato come già dalla notte della sparizione l’allora ambasciatore Massari avesse attivato tutti i canali istituzionali e di intelligence. Per poi inviare il già citato cablo cripto il 28 gennaio.
Renzi si era difeso spiegando come fossero soltanto “comunicazioni tra uffici“: “Fisiologico, io vengo informato il 31 gennaio dalla Farnesina. Mi dissero che qualcosa era accaduto, qualcosa di grave, ad un nostro ricercatore”, spiegò l’ex presidente del Consiglio. Sentito come teste, Varricchio ha confermato di non aver segnalato la questione allo stesso Renzi, nonostante l’allerta evidente del caso: “Se ho avvertito Renzi dopo la nota del 28? No, mi risulta che il 31 fu informato da Gentiloni”, ha confermato l’ex consigliere diplomatico. “Avete poi provato a chiamare il presidente al Sisi? Francamente non ricordo“, ha poi risposto Varricchio di fronte alle domande di Ballerini in Aula. La testimonianza ha assunto toni particolarmente accesi nel corso delle domande poste dal pm Sergio Colaiocco: “A seguito della nota del 28, lei che attività ha svolto?”. “Seguire con la massima attenzione…”, ha tagliato corto Varricchio, senza entrare nel merito, nonostante l’insistenza sul punto del pm. “Si stava alzando il livello di attenzione…”, ha continuato Varricchio. Che non ricorda però di aver chiamato o meno l’ambasciatore italiano al Cairo Massari: “Se io l’ho materialmente chiamato in quel lasso di tempo non ricordo...”. “Di fatto lei seguiva il carteggio, interloquiva con la Farnesina, ma non faceva altro”, ha ribattuto Colaiocco. “Questi erano i miei compiti, sì”, ha replicato ancora Varricchio.
Poi il 31 gennaio Massari decide di chiamare direttamente Renzi: “L’ha vissuta come uno sgarbo questa telefonata diretta?”, ha domandato Colaiocco. “No, ci sono casi in cui le interlocuzioni sono dirette”. E ancora: “Renzi ha detto che la sua azione sarebbe stata più efficace se fosse stato informato prima. Quali furono i suoi colloqui con Renzi, le chiese spiegazioni sul perché non l’aveva informato?”. “No”, ha tagliato corto l’ex consigliere diplomatico. A quel punto è Colaiocco a mostrarsi spazientito: “Non può negare la contraddizione. Lei ripete il “particolare rilievo” (della questione, ndr), ma non ha avvisato Renzi. Massari lo chiama direttamente, c’è una contraddizione tra queste due valutazioni…“. “Il 31 gennaio si alzò il livello di attenzione”, ha continuato a replicare Varricchio, senza però fornire elementi nuovi. “Si è preso atto della mancanza di segnali”. E ancora: “Il punto di sintesi era il presidente del Consiglio…”. Parole alle quali ha ribattuto ancora Colaiocco. “Ma come fa a fare sintesi se non viene informato dal suo consigliere diplomatico? Per me basta così”, rivolto al giudice.
“Ci attendevamo certamente maggiore chiarezza, resta la sensazione che pur essendoci stata la massima allerta da parte della Farnesina, degli ambasciatori Massari e Bonvicini, e dell’intelligence, fin dal primo momento questa allerta non è stata comunicata in tempo al presidente del Consiglio”, ha replicato al termine dell’udienza la legale della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini. Per poi concludere: “Abbiamo sentito il presidente del Consiglio dire ‘Se lo avessi saputo prima…, queste parole per noi sono dei macigni, e oggi abbiamo sentito una delle persone che avrebbe potuto dirglielo prima e che non lo ha fatto. Riascoltando le parole del presidente Matteo Renzi fa particolarmente male l’idea che le carte potevano essere passate e le notizie potevano essere dette. Erano tutti nello stesso palazzo ed è dolorosissimo che la mancata comunicazione di questa allerta altissima sulla sparizione di Giulio possa essere una componente della tragica fine. Sappiamo benissimo che le responsabilità sono in Egitto e chi ha preso torturato e ucciso Giulio sta lì, però oggi abbiamo ascoltato una testimonianza imbarazzata e imbarazzante”.
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