Cambiamento climatico, il 95% degli Stati non ha presentato i nuovi piani di riduzione delle emissioni: l’Europa in ritardo e il caso Usa

Solo una quindicina dei 195 Paesi firmatari dell’Accordo di Parigi hanno pubblicato i loro nuovi piani di riduzione delle emissioni entro la scadenza stabilita dall’Onu per il 10 febbraio 2025 e solo una decina di questi ha obiettivi chiari al 2035. Tra i Paesi del G7 solo Usa (di Biden) e Regno Unito. D’altro canto, i contributi determinati a livello nazionale (Ndc) vanno rinnovati o aggiornati ogni cinque anni, indicando anche i progressi fatti, ma gli orizzonti temporali a cui fanno riferimento variano, come da accordo, in base alle situazioni dei singoli Paesi. Il risultato è che quasi il 95% dei Paesi non ha presentato i nuovi target da raggiungere nei prossimi dieci anni. Secondo un’analisi di Carbon Brief, questi Paesi rappresentano circa l’83% delle emissioni globali e quasi l’80% dell’economia mondiale. La scadenza è stata così rinviata di 7 mesi: entro il prossimo settembre gli Ndc vanno consegnati alla Convenzione Quadro dell’Onu sui Cambiamenti Climatici (Unfccc), anche in vista della Cop30 che si svolgerà in Brasile a novembre 2025. È in ritardo l’Unione europea e lo sono i maggiori quasi tutti i maggiori inquinatori del Pianeta, come Cina e India. Fanno eccezione gli Stati Uniti, anche se la presentazione degli Ndc Usa è stato uno degli ultimi atti ufficiali di Joe Biden come presidente, seguita dall’arrivo di Donald Trump e dall’avvio dell’iter per l’uscita dall’Accordo di Parigi. Proprio alle mosse dl Tycoon, in realtà, guardano molti di Paesi che stanno indugiando nel presentare nuovi e più ambiziosi impegni. Oltre agli Usa, hanno rispettato la scadenza (ma non tutti hanno obiettivi al 2035) Regno Unito, Brasile, Emirati Arabi Uniti, Nuova Zelanda, Svizzera, Uruguay, Andorra, Ecuador, Santa Lucia, Lesotho, Singapore, Zimbabwe, Isole Marshall e Botswana.
Il segretario Onu per il Clima, Simon Stiell: “Garantire Ndc di qualità” – Pochi giorni prima della scadenza, in Brasile, Simon Stiell, il massimo funzionario delle Nazioni Unite per il clima, ha spiegato che “poiché questi piani nazionali sono tra i documenti politici più importanti che i governi produrranno in questo secolo, prendersi un po’ più di tempo ha senso se serve a garantire che siano Ndc di qualità”. Fatta questa premessa, c’è una nuova scadenza che deve essere necessariamente rispettata: “Al più tardi, però, il team della segreteria deve averli sulla propria scrivania entro settembre per includerli nel rapporto di sintesi dell’Ndc, che uscirà prima della Cop del Brasile”. Il report mostrerà se i piani aggregati sono sufficienti a soddisfare l’obiettivo principale: restare sotto la soglia di 1,5 °C di aumento della temperatura rispetto ai livelli preindustriali. Sarà il momento del bilancio globale, a dieci anni dall’Accordo di Parigi. Cosa accadrà dopo l’annuncio dell’uscita dell’Accordo di Parigi da parte degli Usa di Trump? Per Stiell “mentre un Paese fa un passo indietro, altri mantengono la loro direzione e, anzi, prendono il loro posto, cogliendo l’opportunità per ottenere risultati migliori”. Ma è chiaro che il terremoto provocato dal cambio dell’amministrazione statunitense qualche effetto lo ha già provocato.
Il rallentismo dell’Europa (in buona compagnia) – Molti dei maggiori emettitori al mondo non hanno ancora presentato i loro Ndc, ufficialmente, per le più svariate ragioni, dalle pressioni economiche all’incertezza. L’Ue ha affermato che il lungo processo di approvazione della nuova legislazione da parte dell’Unione ha reso impossibile rispettare la scadenza, ma non è un mistero che l’Europa, nel passaggio dal Green deal al Clean industrial Act, sia nel bel mezzo di un cambio di paradigma rispetto alle principali politiche legate agli obiettivi climatici. La Cina non ha confermato quando pubblicherà il suo piano sul clima, né lo ha fatto la Russia (per cui resta il vecchio impegno di raggiungere le emissioni nette al 2060), mentre l’India ha già messo le mani avanti. Non ci saranno passi avanti significativi, così come non ne hanno fatti a Baku, sul fronte del finanziamento climatico, i Paesi più ricchi del mondo. Canada, Giappone e Indonesia hanno pubblicato le bozze dei loro piani climatici per il 2035, ma devono ancora sottoporli all’Onu. Quello del Canada, in particolare, fissa un impegno sulle emissioni meno ambizioso di quanto raccomandato dai suoi stessi consulenti ufficiali sul clima. L’Australia dovrebbe pubblicare il suo Ndc dopo le elezioni di maggio. Non è la prima volta che accade. Anche durante l’ultimo ciclo di impegni, solo cinque paesi avevano rispettato la scadenza di febbraio 2020, ma accadeva nel bel mezzo della pandemia.
Gli impegni presi e il caso Usa – Secondo un’analisi condotta dal gruppo di ricerca sul clima Climate Action Tracker, anche i nuovi Ndc del 2035 di Brasile, Emirati Arabi Uniti, Stati Uniti e Svizzera “non sono compatibili” con un percorso per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C. Emirati Arabi, che ha ospitato la Cop29 e Brasile, dove si svolgerà la Cop30, hanno presentato per primi i loro Ndc, ma nessuno dei due documenti affronta il grande tema dell’eliminazione graduale dei combustibili fossili. E questo conferma la strada intrapresa in Azerbaigian, dove a novembre scorso non si è raggiunta un’intesa su come attuare i risultati della Cop28 di Dubai e, quindi, del Global Stocktake, l’accordo che già conteneva la formula “transizione via dai combustibili fossili”. L’Arabia Saudita ci ha messo del suo. E ora, dall’altra parte del mondo, si apre un nuovo fronte di incertezza, quello degli Stati Uniti. L’amministrazione del presidente Joe Biden aveva fissato un nuovo obiettivo per gli Usa, per ridurre entro il 2035 le emissioni di gas serra del 61%-66% rispetto ai livelli del 2005. Un obiettivo, tra l’altro, che dirigenti governativi avevano definito raggiungibile dagli Stati anche se Trump avesse ribaltato le politiche federali e fosse uscito dall’accordo di Parigi. Queste non sono più ipotesi, Trump sta andando nella direzione prevista. Bisogna capire dove decideranno di andare le altre principali potenze. Sul fronte Ndc i segnali non sono certo positivi.