Era il 20 agosto 2024 quando il mondo apprese che Jannik Sinner era risultato positivo a un agente anabolizzante di alcune pomate o spray cicatrizzanti, il Clostebol, assunto dal tennista lo scorso marzo durante il torneo di Indian Wells. La vicenda era rimasta nascosta per mesi, ma quando divenne pubblica scoppiarono tante, tantissime polemiche. Chi era dalla parte dell’altoatesino e chi era contro. La positività a un test antidoping, la revoca della sospensione chiesta e ottenuta dal numero uno al mondo, il ricorso della Wada, l’annuncio delle udienze presso il Tas di Losanna e l‘accordo tra le parti del 15 febbraio. La ricostruzione dell’intera vicenda.

Caso Clostebol: tutte le tappe
Durante il Masters 1000 nella città californiana a marzo 2024, Jannik Sinner è risultato positivo alla sostanza proibita nota come Clostebol. L’Itia (International Tennis Integrity Agency) ha avviato un’indagine a riguardo. Nell‘agosto del 2024, la stessa agenzia ha emesso un comunicato ufficiale in cui dichiarava: “Abbiamo scoperto che la contaminazione involontaria di Clostebol da parte di Sinner è avvenuta tramite il trattamento ricevuto dal suo fisioterapista che ha acquistato un prodotto, per curare una ferita su un dito, facilmente reperibile in farmacia che conteneva la sostanza”. In molti a questo punto si chiesero com’è stato possibile che Sinner abbia giocato nonostante la positività al test. E l’Itia rispose anche a questa domanda: “Il giocatore ha il diritto di presentare domanda a un presidente di tribunale indipendente nominato da Sport Resolutions per far revocare la sospensione provvisoria” che viene inflitta dopo aver restituito un Adverse Analytical Finding (risultato analitico negativo) per una sostanza non specificata, in questo caso il Clostebol. Il numero 1 al mondo ha fatto quindi ricorso con successo contro la sospensione provvisoria (datata aprile 2024) e perciò ha potuto continuare a giocare in quanto giudicato innocente, rinunciando però ai 400 punti ottenuti al torneo 1000 di Indian Wells e pagando una multa di 300mila euro.

Un mese dopo, a settembre, entrò in scena l’Agenzia Mondiale Antidoping, la Wada. Presentò ricorso al TAS di Losanna nei confronti di Jannik Sinner in merito al caso di doping attraverso un comunicato: “La Wada ritiene che la constatazione di ‘assenza di colpa o negligenza’ non sia corretta ai sensi delle norme vigenti. Si chiede un periodo di ineleggibilità compreso tra uno e due anni”.

Si arrivò così a gennaio. Il nuovo anno si aprì con la pubblicazione delle date riguardanti le udienze che il numero uno al mondo doveva sostenere in merito al caso Clostebol davanti alla Corte Arbitrale dello Sport: 16 e 17 aprile 2025. Nel mentre, Sinner non solo ha continuato a giocare, ma anche a stravincere: dagli Us Open al secondo Australian Open consecutivo (terzo titolo Slam), passando per la Coppa Davis e le Atp Finals di Torino. Una serie di successi straordinari, considerando anche che a livello mentale l’ombra sul suo futuro a causa della decisione del Tas poteva rappresentare un grosso peso da sostenere: “Ognuno di noi nella vita passa dei momenti belli e dei momenti difficili, per me questo non è stato un periodo facile, ma sono ottimista”, aveva ammesso l’altoatesino a Melbourne.

Poi questo 15 febbraio, il colpo di scena. Con una nota ufficiale, la Wada ha reso noto di essersi accordata con il tennista per una sospensione di 3 mesi (da febbraio a maggio). L’Agenzia Mondiale Antidoping ha riconosciuto che “Sinner non aveva intenzione di barare e che la sua esposizione al Clostebol non ha fornito alcun beneficio in termini di prestazioni, avvenendo a sua insaputa a causa della negligenza di alcuni membri del suo entourage. Ma un‘atleta è ritenuto responsabile della negligenza del proprio team. Perciò le parti si sono virtualmente “strette la mano” dopo aver optato per un periodo di ineleggibilità. A questo punto, la fine della lunga e tormentata vicenda lascia però spazio a nuove domande, soprattutto sulla gestione di questi casi di contaminazione involontaria.

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