Vent’anni dopo la ratifica del Trattato di Kyoto dobbiamo rigirare i Moai sulla loro testa

Pare che ci siano perlomeno un migliaio di quelle grandi teste di pietra chiamate “Moai” sull’isola di Rapa Nui (Isola di Pasqua). Furono costruite forse con l’idea che avrebbero assicurato prosperità agli abitanti. Ma non sembra che abbiano funzionato molto bene e non hanno evitato una serie di disgrazie che hanno quasi completamente sterminato la popolazione dell’isola. Sappiamo comunque che gli abitanti hanno continuato a costruirle fino all’ultimo momento, lasciandone un gran numero non finite nei cantieri dove le scolpivano. Da questa storia possiamo estrarre l’idea che quando qualcosa non funziona, insistere serve a poco (forse lo potremmo chiamare, “la fallacia dell’Isola di Pasqua”).
Un altro esempio di una cosa che non funziona ma sulla quale continuiamo a insistere è l’idea di ridurre le emissioni dei gas serra per mezzo di accordi internazionali. A venti anni dalla ratifica dell’accordo di Kyoto, e dopo molti ulteriori trattati internazionali sul clima, possiamo domandarci se siamo riusciti a far meglio degli abitanti di Rapa Nui con i loro Moai.
La risposta quasi obbligatoria questa domanda è ottimistica: le emissioni di CO2 sono diminuite nei paesi che hanno ratificato il trattato, in particolare in Europa. Quindi, potremmo dire che il trattato è servito a qualcosa. Ma c’è poco da essere ottimisti. Se andate a vedere i dati globali, le emissioni continuano ad aumentare, come pure la concentrazione di CO2 nell’atmosfera. Siamo oggi a oltre 420 parti per milione, un valore mai visto su questo pianeta negli ultimi 3-5 milioni di anni, quando la terra era 2-3 gradi più calda di oggi. E anche se qualche grado in più non vi spaventa, tenete conto che a quell’epoca il livello dei mari era 30-40 metri più alto di oggi. Questo vi potrebbe portare qualche problema, specialmente se abitate a Venezia. Insomma, per quanto si voglia vedere il bicchiere mezzo pieno, il trattato di Kyoto non è stato un successo.
Che cosa è andato storto? E’ stato un problema di fondo. Al tempo in cui il trattato di Kyoto fu concepito, le rinnovabili erano ancora una tecnologia non matura. Così, sembrava che l’unica possibilità di ridurre le emissioni fosse di ridurre i consumi e che lo si potesse fare solo con dei trattati internazionali per forzare la riduzione. Non ci eravamo accorti delle conseguenze disastrose di questa scelta. Uno dei problemi è stato dare la possibilità ai paesi firmatari di farsi belli a basso costo trasferendo le industrie più inquinanti in paesi che non avevano firmato. Ma la cosa più grave è stata che il pubblico ha percepito l’idea della riduzione dei consumi come un’imposizione ingiustificata e autoritaria. Sotto certi aspetti, l’ascesa della destra politica e di Donald Trump e la sua politica pro-fossili sono un risultato di questo errore strategico.
Dobbiamo cambiare strategia. Dobbiamo rigirare il Moai sulla testa (più o meno come diceva Marx a proposito di certe cose che aveva detto Hegel). Dobbiamo intervenire sulla produzione e non sui consumi. Ovvero, sostituendo i fossili con le rinnovabili.
Introducendo energia rinnovabile nel sistema energetico, mettiamo in moto una serie di conseguenze positive che si auto-rinforzano. Riducendo i costi di produzione, possiamo ridurre i prezzi al consumo con effetti favorevoli per i consumatori e per tutto il sistema economico. In più, mettiamo in difficoltà i produttori di fossili che si trovano ad essere messi fuori mercato. In questo modo, otteniamo il risultato di ridurre le emissioni senza bisogno di grandi trattati internazionali che poi alla fine non sono rispettati. Lo possiamo fare lasciando che il mercato si muova da solo verso le tecnologie più efficienti. E questo senza bisogno di forzare nessuno a decrescere o a mangiare grilli.