Brunori Sas alla fine ha vinto: con il suo Sanremo è riuscito a unire la Calabria

Alla fine ha vinto. Che sia primo, secondo o terzo (per come è andata) poco importa. Con la sua bonomia, quella force tranquille a volerla dire con lo slogan di Séguéla che segnò la prima vittoria presidenziale di Mitterrand, Brunori Sas, pseudonimo di Dario Brunori, si è aggiudicato il podio del Festival di Sanremo con la terza posizione e, forse meglio ancora, il premio Sergio Bardotti come miglior testo per la canzone L’albero delle noci. Del resto giusto qualche giorno prima era arrivata l’incoronazione dell’Accademia della Crusca come miglior testo in gara.
Aria da bravo ragazzo del ’77, ironico e sagace, socialmente sempre impegnato, legato alla sua San Fili, il paese delle Magare dove risiede. Due targhe Tenco, date del tour in sold out, musicista e produttore ma anche cantautore contadino con la sua Società agricola “Le Quattro Volte”, dal titolo di una sua canzone, dove tra Sila e Pollino vengono coltivati vitigni autoctoni come il magliocco, per la produzione di vino naturale. Quasi che fosse una necessità di ritorno alla terra.
Sono tante le letture possibili sul contenuto poetico della canzone. Sicuramente un bel canto sulla genitorialità e la paternità, una gran bella lettera d’amore alla figlia ma anche un omaggio alla sua terra, la Calabria, la stessa terra amara di Rino Gaetano, alla quale Brunori è strutturalmente legato per non essersene mai sostanzialmente allontanato. Che la restanza è ciò che distingue. Non un cervello in fuga, piuttosto un cervello in permanenza.
E tuttavia qui non interessa l’analisi poetica del testo. Piuttosto il suo aspetto di capillare diffusione sociale in una regione solitamente poco incline a riconoscere il successo e il valore dell’Altro. Di più, Dario Brunori è riuscito laddove tanti altri non erano riusciti, regalando alla Calabria uno spot non richiesto, soprattutto non commissionato. Tenere unita un’intera regione, in un comune senso d’orgoglio d’appartenenza, non era né facile né scontato.
Perché la verità è che nei giorni sanremesi in Calabria s’è diffuso un sentimento corale, una immedesimazione collettiva, un tifare per la vittoria dell’altro percepita come propria. Perché è vero che i calabresi sono generosi, ma spesso avari nel riconoscere il valore degli altrui corregionali. E invece qui, nello spazio d’una canzone, si è ritrovata un’intera comunità intergenerazionale: le cover, i tabacchini che esponevano la foto di Dario, la piccola pizzeria di paese che regalava il coperto a chi votava Brunori, i gruppi d’ascolto nelle case, tutti intorno al televisore a commentare e sostenere. Senza contare le amministrazioni comunali, le associazioni, i parroci, un’onda calabra di affetto e orgoglio che ha rappresentato una marcia in più.
Vince un progetto, la Sas di Brunori, e con lui s’afferma una nuova generazione di artisti: i musicisti e compagni di sempre Dario della Rossa e Mirko Onofrio; il regista e videomaker Giacomo Triglia, che ne realizza i videoclip; Stefano Amato che ha diretto la canzone; Massimo Palermo, Lucia Sagretti e la compagna Simona Marrazzo. Dario vince in Calabria e raccoglie consensi a dire basta perché finalmente dice la verità sulla sua regione. Invece di mettere la testa sotto la sabbia enunciandone innegabili bellezze straordinarie (che sono sotto gli occhi di tutti salvo poi scoprirne altrettante incongruenze), ne canta le bellezze e le tipicità senza nasconderne i difetti: Sono cresciuto in una terra crudele dove la neve si mescola al miele / E le persone buone portano in testa corone di spine.
Un successo strepitoso che sprizza felicità, malgrado nella votazione finale si siano registrati diffusi problemi nel sistema degli sms, problema di certo comune a tutti gli artisti della cinquina (sicuramente Lucio Corsi), riscontrati direttamente anche da me, forse per via del poco tempo e la mole di messaggi arrivati. Un caso che in queste ore si è trasformato in una petizione online che chiede chiarezza. Comunque un vulnus organizzativo di non poco conto che certifica una pessima figura per la Rai.
Alla fine poco importa il risultato del momento. Conterà di più il successo duraturo nel tempo, consapevoli che è un terzo posto che vale simbolicamente un primo; e importa men che meno se nell’ospitata domenicale nazionalpopolare ci sia stata una disparità di trattamento. Perché, che lo si voglia o no, la canzone ha fatto breccia nel cuore degli ascoltatori e di sicuro continuerà a navigare anche in assenza di stella polare.