Nuovi Ogm, sul tavolo del Consiglio europeo le pressioni delle lobby agro-industriali. Ma associazioni e coop arrivano spaccate

Il prossimo 24 febbraio il Consiglio dell’Ue (i ministri dell’Agricoltura) potrebbe raggiungere un accordo sul regolamento sui nuovi OGM, ottenuti dalle New Genomic Techniques, ribattezzate TEA in Italia.
La proposta sul tavolo prevede l’eliminazione degli obblighi di valutazione del rischio, tracciabilità ed etichettatura per la commercializzazione di OGM realizzati con le NGT/TEA. Salterebbe anche la facoltà dei Paesi membri di vietare la coltivazione sul proprio territorio. Queste prescrizioni, oggi, valgono per tutti gli organismi geneticamente modificati e sono contenute nella Direttiva 2001/18.
L’idea di creare una normativa separata per le New Genomic Techniques nasce dalla richiesta delle lobby agroindustriali e del biotech, da tempo alla ricerca di una deregolamentazione degli OGM “di nuova generazione”, descritti come indistinguibili dai prodotti naturali.
200 associazioni contro la deregulation. Ma non ci sono né Coop né Coldiretti
A favore di una deregulation dei nuovi OGM si sono schierati in Italia nove associazioni di categoria: Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Copagri, Confcooperative, Fedagripesca, Legacoop, Agroalimentare, Federchimica Assobiotec, Assosementi e Cibo per la Mente.
Assolutamente contrarie invece 200 organizzazioni, che in un manifesto mettono in guardia dall’impatto dei nuovi OGM sull’agricoltura contadina e biologica, oltre che sulle piccole imprese sementiere. “Eliminare le regole in vigore per la coltivazione e il commercio dei nuovi OGM può generare effetti irreversibili per l’agricoltura europea e la selezione varietale”, affermano Greenpeace, European Coordination Via Campesina, IFOAM, Centro Internazionale Crocevia, Pollinis e Nordic Maize Breeding. Centro Internazionale Crocevia sottolinea come, a livello continentale, Eurocoop sia nettamente contraria alla deregulation, al contrario di Coop Italia.
Secondo i firmatari, la deregolamentazione porterebbe una serie di problemi: biopirateria e privatizzazione delle sementi; l’aumento del rischio di azioni legali contro gli agricoltori e le aziende sementiere da parte dei detentori di brevetti; la riduzione della biodiversità con relativo aumento della vulnerabilità delle piante a parassiti e malattie. La proposta rappresenta anche una minaccia per i diritti esistenti degli agricoltori di conservare, utilizzare e scambiare le proprie sementi e potrebbe compromettere l’economia degli agricoltori biologici o OGM-free.
Opposizione agli Ogm, una storia di successo
Sono oltre 25 anni che la società civile e i movimenti sociali cercano – con successo – di respingere gli assalti delle imprese transnazionali agrochimiche. Si tratta di una battaglia, spiega Francesco Panié, campaigner del Centro Internazionale Crocevia e autore con Stefano Mori di Perché fermare i nuovi OGM (Terra Nuova), “che nei primi anni Duemila era portata avanti da contadini, associazioni ambientaliste, consumatori, persino supermercati e le grandi organizzazioni agricole come Coldiretti. L’Italia compatta vinse la battaglia”. Così nel 2001 venne approvata la Direttiva Europea che impone agli OGM per alimenti e mangimi “di sottostare a tracciabilità, etichettatura e valutazione del rischio, così da un lato i consumatori hanno un’etichetta su cui basare le proprie scelte, dall’altro c’è una tracciabilità che garantisce all’industria alimentare e ai contadini di scoprire contaminazioni da OGM nei loro campi o nelle loro filiere”, spiega sempre Panié. Infine, la valutazione permette di analizzare a monte i potenziali rischi per la salute e l’ambiente dell’immissione in natura di organismi modificati in laboratorio. Negli anni successivi la direttiva è stata aggiornata con un ulteriore passaggio, quello che consente agli stati membri di vietare la coltivazione sui loro territori. Hanno esercitato questo diritto ben 17 Paesi, tra cui l’Italia. “Questo in verità”, nota l’esperto, “non ha evitato del tutto l’arrivo di OGM nei nostri mercati, perché ad esempio non c’è obbligo di etichetta sui prodotti derivati da animali nutriti con mangimi geneticamente modificati. Ciò ha facilitato l’importazione di milioni di tonnellate di soia e mais OGM dalle Americhe”.
Dalla salute ai brevetti, tutti i rischi
Negli ultimi anni sono state sviluppate delle tecniche che modificano il patrimonio genetico degli organismi senza introdurre geni di specie differenti. Da qui nasce la narrazione sostenuta dalle multinazionali che chiedono l’esenzione di questi prodotti di laboratorio dalla normativa sugli OGM. “Tuttavia – obietta Panié – si tratta di piante con caratteri brevettati, cosa possibile solo per le invenzioni tecniche e non per i processi naturali. Per fortuna oggi non c’è ancora differenza tra vecchi e nuovi OGM, anzi. Una sentenza della Corte di Giustizia dell’UE nel 2018 ha stabilito che le regole devono essere le stesse”. Ma le cose potrebbero, appunto, cambiare.
“Abbiamo due ordini di rischi. Da un lato quello sanitario e ambientale. Le centinaia di mutazioni involontarie che queste nuove biotecnologie causano negli organismi modificati possono avere come risultato la produzione di tossine o allergeni da parte delle piante OGM/TEA. Queste piante possono generare problemi alle persone e colonizzare l’ambiente, con impatti sulla biodiversità e la sicurezza alimentare”.
L’altro rischio è proprio quello dei brevetti. “La circolazione incontrollata e non tracciata di piante brevettate, che sono proprietà privata, può essere un vero e proprio cataclisma per gli agricoltori che non le hanno regolarmente acquistate. Basta subire una contaminazione genetica con il passaggio dei pollini dal campo del vicino, per essere esposti a cause legali per furto di proprietà intellettuale, rischiando il sequestro e la distruzione del raccolto”. Senza contare che, per gli agricoltori biologici, una contaminazione significherebbe la perdita della certificazione.