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L’intelligenza artificiale aiuta o sostituisce il lavoro? L’importanza della contrattazione collettiva

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di Simone Lauria – Area studi, Camera del Lavoro Cgil di Milano

Una ricerca condotta e pubblicata recentemente dall’Inapp (l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) ci permette di comprendere e di orientare la discussione sull’esposizione e sull’impatto dell’IA nelle attività lavorative quotidiane.

Il tema di fondo è il seguente: quali professioni sono più vulnerabili e quali invece possono trarre più vantaggi dall’introduzione dell’IA nell’organizzazione del lavoro; in buona sostanza: l’IA assiste o sostituisce il lavoro?

Nella ricerca è stato utilizzato un indicatore, che misura il livello di esposizione all’IA delle abilità possedute dai lavoratori, in modo da poter valutare l’esposizione delle diverse professioni all’IA; emerge, come intuibile, che le professioni meno esposte sono quelle legate alle attività manuali (manovali e personale non qualificato dell’edilizia), quelle che richiedono capacità relazionali, difficili da automatizzare, e alcune professioni artistiche (atleti, ballerini); emerge, invece, che le professioni più esposte sono quelle che includono funzioni amministrative e di gestione, basate anche sull’elaborazione complessa di dati ma che possono essere automatizzate e comunque migliorate con l’utilizzo dell’IA.

L’impatto dell’IA a livello geografico non è omogeneo, come è facilmente intuibile; le regioni mediamente più esposte sono quelle in cui troviamo il maggior di numero di lavoratori esposti all’IA: Lombardia, Lazio, Emilia- Romagna, Piemonte e Veneto le più esposte; Sardegna, Calabria, Sicilia, Basilicata e Puglia le meno esposte. La disomogeneità a livello territoriale è il riflesso dei diversi modelli produttivi: laddove prevalgono strutture economiche più tradizionali e una minor presenza di settori ad alta tecnologia ed innovazione, l’esposizione all’IA è più bassa.

Così come disomogeneo è l’impatto dell’IA sui diversi settori produttivi: i settori che impiegano maggiormente le tecnologie dell’IA nei processi produttivi sono, ovviamente, quelli più esposti: attività finanziarie e assicurative, servizi di informazione e comunicazione, amministrazione sono i tre settori più esposti; alberghi e ristorazione, costruzioni e agricoltura quelli meno esposti.

Le donne, i lavoratori più anziani, coloro che possiedono un titolo di studio più elevato sono più esposti all’impatto dell’IA; ma questo significa necessariamente vulnerabilità e, quindi, esposizione al rischio di job destruction? Come cambiano gli effetti dell’esposizione all’IA a seguito della valutazione della complementarità, ossia dell’integrazione tra l’attività umana e quella svolta dell’IA?

Tutte quelle attività fortemente esposte all’IA ma suscettibili di complementarità (alta esposizione e alta complementarità) hanno un elevato grado di responsabilità e presentano diversi elementi difficilmente sostituibili con l’IA (si pensi a tutte le professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione); in questi casi, non ci sarà sostituzione ma, anzi, l’uso dell’IA potrebbe offrire un notevole supporto; diversa è invece la situazione in cui l’esposizione è alta ma la complementarità è bassa: alcune professioni (tra cui gli addetti alle buste paga, gli addetti all’informazione nei call center senza funzioni di vendita, gli addetti alla contabilità) rischiano in modo significativo di essere sostituite dall’IA.

Una prima riflessione che emerge è che, intanto, circa la metà degli occupati italiani è coinvolta dall’impatto dell’intelligenza artificiale, sia in termini negativi che positivi; in questa metà, circa il 23% dei lavoratori è a rischio, in quanto le professioni esposte all’IA in termini negativi (alta esposizione e bassa complementarità) presentano un numero significativo di occupati; in buona sostanza, circa quasi un lavoratore su quattro, in Italia, potrebbe essere a rischio sostituzione.

Tra le categorie più a rischio – e con più alto numero di occupati – emergono gli addetti alle funzioni di segreteria, gli addetti alla contabilità e gli addetti alla gestione dei magazzini.

La seconda riflessione è che poco più di un lavoratore su quattro beneficerà dell’IA (alta esposizione e alta complementarità); qui, le figure professionali – tenendo conto di un numero significativo di occupati – spaziano dagli addetti alle vendite al minuto, alle professioni legate all’istruzione, ad alcuni professionisti (architetti, avvocati e commercialisti).

A parer mio diventano fondamentali, nella gestione della transizione, sia la formazione sia la partecipazione attiva delle lavoratrici e dei lavoratori; diversi studi dimostrano come la contrattazione collettiva costituisca lo strumento più adeguato per dar voce ai lavoratori nella distribuzione dei benefici e dei costi derivanti dalla rivoluzione digitale; la contrattazione collettiva, in particolare, dovrebbe prevedere diritti di informazione e consultazione – sia dei lavoratori sia delle loro organizzazioni di rappresentanza – sull’introduzione dell’AI e degli algoritmi nei processi produttivi.

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