Il dollaro resta moneta di riserva internazionale: i debiti gemelli non preoccupano gli Usa

Da decenni ormai l’economia americana è caratterizzata da quelli che gli economisti chiamano i due debiti gemelli: il disavanzo commerciale e il debito pubblico. Dagli anni Ottanta questi due debiti sono cresciuti ininterrottamente. Oggi il debito pubblico americano è arrivato alla stratosferica cifra di 30 mila (!) miliardi, il 120% del Pil, e il disavanzo commerciale ha superati i 1.000 miliardi.
Questi due debiti sono però considerati in maniera del tutto diversa. Nella crescita del debito pubblico, che la nuova amministrazione Trump vuole ancora pompare, non si intravvede alcun problema. La ragione è chiaramente keynesiana: più debito significa più spesa, più reddito e più posti di lavoro. L’attenzione invece si è concentrata sul deficit commerciale che, anche se molto più modesto, sembra essere una minaccia per l’economia Usa perché fa perdere posti di lavoro, anche se poco qualificati.
La causa del debito pubblico è il populismo fiscale, soprattutto del partito conservatore, e quindi è dovuto alla politica. Ma quale invece la ragione del gigantesco deficit commerciale della più importante economia mondiale? Qui si impone una riflessione.
In teoria, un debito commerciale così elevato e soprattutto persistente non dovrebbe sussistere. Il disavanzo commerciale è il segno che gli americani importano molto più di quanto esportano e quindi è un disequilibrio economico. Questi disequilibri di mercato non possono durare a lungo perché vengono corretti automaticamente dai prezzi. In questo caso la teoria ci dice che il disavanzo commerciale porta a una svalutazione della moneta. A sua volta una moneta più debole favorisce le esportazioni e riduce le importazioni, portando di nuovo in equilibrio la bilancia dei pagamenti. Ma questo non sembra verificarsi e anzi gli squilibri vanno aumentando.
Da qui la drastica politica emergenziale dei dazi per tutti del Trump 2, la vendetta. Un disavanzo commerciale di questa portata ha molte cause. La prima è senza dubbio la diminuita competitività dell’industria America. Ma rimane la domanda di come mai il prezzo della moneta non vari, anzi il dollaro invece che svalutarsi si sta rivalutando.
Una risposta può essere trovata guardando alle vicende del sistema monetario internazionale. Gli accordi di Bretton Woods del 1944 hanno creato un nuovo sistema finanziario internazionale ancorando il dollaro all’oro e, di fatto, tutte le monete al dollaro. Chi voleva stampare moneta doveva disporre di una certa quantità di metallo prezioso. Il tallone aureo è terminato bruscamente nel 1971 quando Nixon sospese definitivamente la convertibilità dei dollari in oro, proprio a causa del disavanzo delle partite correnti che stava provocando un notevole deflusso del metallo prezioso. Da allora la banca centrale americana ha potuto stampare dollari senza preoccuparsi se disponeva di una garanzia aurea. Oggi la moneta è puramente un bene fiduciario contenuto in un pezzo di carta o in un conto bancario, fiat money nel linguaggio degli economisti.
È da allora che il deficit commerciale americano ha cominciato a crescere, a ritmi sempre più sostenuti. Creare deficit significa dal punto di vista monetario esportare moneta, nel nostro caso dollari. Quello che si è verificato è che il dollaro è diventato nel tempo – e grazie ai disavanzi commerciali Usa – la moneta di riserva internazionale per tutti gli altri paesi.
Nelle trattative di Bretton Woods, Keynes sognava un’unica moneta internazionale, il Bancor, destinata a regolare i pagamenti internazionali. Il disegno di Keynes si è realizzato ma su basi diverse e oggi il dollaro funge da moneta di riserva internazionale in ragione della supremazia geopolitica americana, che qualcuno definirebbe imperialismo economico.
Quindi il disavanzo commerciale americano non è uno squilibrio temporaneo ma serve per dare alla finanza internazionale tutta la liquidità necessaria. Questo è un dilemma evidenziato ancora negli anni Sessanta dall’economista Robert Triffin ma evidentemente poco considerato. In altre parole, il deficit commerciale americano è dovuto alla posizione dominante del dollaro nell’economia mondiale. Gli americani non devono pagare le loro merci con altre merci come tutti gli altri paesi, ma semplicemente con dei pezzi di carta, stampando dollari, cambiali che non arriveranno mai a scadenza. Il debito commerciale è dunque l’altra faccia del potere economico americano ancora oggi incontrastato.
Che la moneta non sia solo un mezzo di scambio ma esprima delle relazioni di potere è un dato che ritorna sempre nella storia economica. Anche il presente non fa eccezione. Finché le nazioni del mondo terranno dollari come riserva obbligatoria, il deficit americano potrà, e anzi dovrà, salire. Quando altre monete acquisteranno lo stesso statuto di moneta universale, la pacchia di comprare a debito per l’America di Trump o di qualche altro presidente finirà, ma non si intravvede uno scenario simile all’orizzonte.
Possiamo dire che il debito commerciale è il prezzo della sovranità monetaria degli Usa. I lavoratori americani possono attendere e anche lo scudo delle tariffe non li proteggerà molto.