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Salva Milano: il problema di fondo è la gestione privatistica del bene pubblico, non solo dell’edilizia

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Che cosa sta succedendo a Milano, con il vento che gira sotto la cappa di smog? E soprattutto perché, al di là di ogni ragione e del merito, bisognerebbe riflettere a fondo su questo ben poco poetico tramonto dell’epoca d’oro dell’Invenzione di Milano come città globale oggetto di culto?

Purtroppo, come capita nelle cronache, anche le migliori di stampo anglosassone, persino con un rigoroso ‘chi, come, dove, quando e perché’ si rischia di perdere di vista il problema di fondo. Che non si può ridurre alla gestione privatistico-affaristica dell’edilizia, piuttosto che al rapporto malsano tra politica e giustizia, e men che meno al puro e semplice bilancio di una lunga stagione come quella del Sindaco-Expo Giuseppe Sala. Elementi tutti di notevole importanza, peraltro, che s’intrecciano effettivamente nel caso del cosiddetto ‘Salva Milano’.

Il punto è un altro e l’ha messo bene in luce l’urbanista Antonio Calafati, in un breve saggio in cui ha ricostruito con puntiglio la genesi ideologica e politica di questo afflato alla ‘rigenerazione urbana’ attraverso la de-regolamentazione e la contrattazione degli interessi: è semplicemente uno dei punti chiave del progetto neoliberale di fine anni Dieci.

L’appassionata analisi di Calafati, che accusa anche l’élite intellettuale della città di non aver denunciato e combattuto questa scelta di fondo, è stata pubblicata con un titolo evocativo e inequivocabile, Milano: le mani sulla città dalla rivista online doppiozero. Così in qualche modo la pubblicazione di un saggio tanto critico segna anche il primo clamoroso caso di conversione in quello stesso mondo del nuovo potere culturale e universitario che avrebbe volentieri privilegiato la candidatura a sindaco di Stefano Boeri, ma che s’è poi accomodato di concerto con l’archistar in quell’Invenzione di Milano denunciata da Lucia Tozzi nel pamphlet omonimo, e poi nella nuova stagione profondamente ‘boeriana’ del Sala bis, con tanto di Assessore alla Cultura sceso direttamente dal Bosco Verticale.

E questo della soggezione all’ideologia neoliberale è il punto nodale, toccato da Calafati per l’urbanistica, ma assai evidente proprio anche nelle istituzioni culturali e nelle lobby familistico-amicali in esse accomodatesi. Il Salva Milano e qualunque soluzione del caso Sala non nasconderanno mai i guasti radicali prodotti dal pensiero unico neoliberista e dalla gestione privatistica del bene pubblico, con un micidiale soffocante conflitto d’interessi affaristico-finanziario, che fa perno anche sul ruolo strategico della prima banca italiana.

La sinistra post-comunista s’è fatta imprigionare nell’abbaglio liberista anche per disprezzo interiorizzato nei confronti della vera unica alternativa, che era la prospettiva storica socialdemocratica (lo spiega bene anche Calafati citando a proposito di Milano il caso di Vienna dopo la prima guerra mondiale). Ma il tema oggi è casomai se ci sarà il tempo di operare una revisione di tale portata prima che la deriva autoritaria si porti via tutto – ed è grottesco che nella sinistra a Milano si sia potuto anche solo parlare di un ruolo politico di leadership per un ex capo della polizia, sia detto con il massimo rispetto: è almeno dal XV secolo che la sicurezza pubblica e la politica hanno preso persino nominalmente due strade separate.

Il panorama a questo punto è francamente poco confortante, in linea con le peggiori prospettive che ha osato evocare per tempo giusto qualche voce ‘clamantis in deserto’, come il nostro Gianni Barbacetto. Ma bisogna prima di tutto ‘raddrizzare i sentieri’, invocava appunto il Profeta inascoltato, ovvero sgombrare il campo dall’equivoco neoliberale e riaprire le porte a una possibile e profonda rifondazione culturale. Invece tocca star lì ancora a discutere del ruolo politico che Sala s’affanna a reclamare, piuttosto che della scelta di confinarsi in un volto più militante, alla Majorino, da sartriano ‘compagnonnage critique’ con Insorgenti, pro-Pal e no Tav.

Intanto, con un Pd sempre più titubante, all’orizzonte di Milano sembra di veder definirsi i contorni della possibile candidatura di continuità degli interessi immobiliari e finanziari, paradossalmente dal fronte opposto. Si parla di un improbabile ritorno di Letizia Moratti, o più concretamente del centrista cattolico dichiarato Maurizio Lupi, che in consiglio comunale e in giunta s’è occupato di edilizia per quasi un decennio, alla fine degli anni Novanta (‘il chierichetto affarista’ secondo la definizione che ne ha dato l’ex sindaco Gabriele Albertini).

Perfetto, così, per dirla con la normalizzazione alla Sanremo, avremo presto un bel concerto di Simone Cristicchi in piazza Duomo, e magari pure la sua opera su San Francesco alla Scala. Ah, già: non era per caso Cristicchi, all’ennesima replica del suo musical del 2013 sulle foibe, il grande nome da Teatro d’Europa con cui s’è aperta quest’anno la stagione al Piccolo Strehler?!?

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