Femminicidio di Saman Abbas, al via il processo d’appello a Bologna: in Aula per la prima volta anche la madre Nazia Shaheen

È arrivata in tribunale a Bologna a testa bassa, scortata dalla polizia penitenziaria e presa d’assalto dalle telecamere, Nazia Shaheen, la madre di Saman Abbas, la 18enne pakistana uccisa nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021 a Novellara, in provincia di Reggio Emilia. Per la sua morte, in primo grado, sono stati condannati i genitori all’ergastolo e lo zio Danish Hasnain a 14 anni. Oggi è iniziato a Bologna il processo d’appello in cui la madre di Saman si trova davanti ai giudici per la prima volta, dopo l’estradizione in Italia ad agosto scorso.
Dentro la gabbia per i detenuti, coperta dal velo nero e con una mascherina chirurgica sul volto, Nazia Shaheen ha tenuto la testa tra le mani e il capo chino anche quando è arrivato in aula il marito Shabbar Abbas che non vedeva più dal 2021. In mezzo la lunga latitanza della donna, dal delitto avvenuto il 30 aprile 2021 a Novellara fino a maggio del 2024, quando è stata arrestata. In Aula, anche i cugini di Saman, Nomanulhaq Nomanulhaq e Ijaz Ikram, assolti in primo grado. I cinque sono stati ‘costretti’ a sedersi vicini in aula, a causa dell’interprete. Il presidente della Corte di assise di appello Domenico Stigliano ha infatti chiesto ai cinque se comprendessero l’italiano e quindi ha assegnato un unico interprete a tutti.
Con una decisione inaspettata, la Corte d’Appello ha deciso di vietare non solo le riprese degli imputati, ma anche l’accesso delle telecamere al processo, dopo aver registrato la contrarietà dei genitori di Saman ad essere filmati, mentre la Procura, le parti civili e lo zio della 18enne uccisa avevano acconsentito e i cugini avevano accettato le riprese in Aula ma non ai loro volti. “Pur dando atto della rilevanza sociale del processo – ha spiegato la Corte -, il diritto di cronaca e informazione può essere adeguatamente esercitato dall’assicurata presenza in Aula dei giornalisti, anche senza telecamere”. La Procura generale, con l’avvocato generale Ciro Cascone, aveva invece argomentato: “Non devo certo rilevare io la rilevanza sociale del processo, che anche per una questione culturale che travalica i confini nazionali necessita di una celebrazione trasparente, sottoposta al controllo delle telecamere”. Aveva anche ricordato che, in primo grado, l’accesso e le riprese erano stati consentiti, ritenendo prevalente la rilevanza sociale.
La Corte d’Assise d’appello di Bologna, in risposta alle richieste istruttorie della Procura generale, ha deciso che sarà riascoltato come testimone, nella prossima udienza fissata per il 6 marzo, il fratello di Saman Abbas che, in primo grado, aveva accusato i familiari imputati, ma le cui dichiarazioni erano state ritenute in larga parte inattendibili. “Ali Heider è l’unico testimone oculare di questa aggressione e non ha alcun motivo al mondo per aver mentito e per essere andato contro i suoi familiari e i suoi cugini” ha commentato l’avvocata di parte civile Barbara Iannuccelli che rappresenta il fidanzato della vittima, Saqib Ayub. “Se viene risentito, le sorti di questo processo cambieranno” aveva assicurato prima della decisione della Corte che ha anche disposto che venga proiettata in aula la video-ricostruzione dei carabinieri del nucleo investigativo che mette in sequenza le registrazioni delle telecamere dell’azienda Bartoli e dell’abitazione di un vicino, effettuate tra il 29 aprile e l’1 maggio 2021.
Il padre di Saman ha fatto sapere, tramite il suo legale, che intende rendere dichiarazioni spontanee, mentre l’avvocato della madre ha comunicato che la sua assistita non ha ancora deciso se parlerà in udienza. “La variabile impazzita di questo processo – ha spiegato Liborio Cataliotti -, difensore di Danish Hasnain, lo zio di Saman – sono proprio le dichiarazioni degli imputati: Shabbar Abbas ha già parlato, la vera novità è la presenza in aula di Nazia che, non avendo partecipato al dibattimento di primo grado, sarebbe elemento dirompente e nuovo del processo”. “Le prove raccolte in primo grado – ha sottolineato Cataliotti – sono ampiamente sufficienti, ritengo ineccepibile la sentenza che pone un solo dubbio: se Danish sia arrivato prima dell’esecuzione dell’efferato omicidio o immediatamente dopo ed è un dubbio dichiaratamente irrisolto dalla sentenze e che, secondo me, può fare la differenza”. I legali dei due cugini di Saman assolti, invece, Maria Grazia Petrella per Ikram Ijaz e Luigi Scarcella, difensore di Nomanulhaq Nomanulhaq, hanno dichiarato entrambi che non ritengono che “l’appello sia in grado di scalfire il merito del provvedimento di primo grado”.
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