Era stato prosciolto in istruttoria nel 1987, ma quel provvedimento era stato revocato dopo le nuove indagini sulla sparatoria di Cascina Spiotta (5 giugno 1975, Alessandria) quando a terra uccisi rimasero un appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso e Mara Cagol, moglie di Renato Curcio. Oggi Lauro Azzolini, 82 anni, ex brigatista rosso, considerato dagli inquirenti torinesi mister X (autore di un rapporto sui fatti interno alle Brigate rosse), ha dichiarato ai giudici che sì lui era lì.

SI ERA ARRESA – “Io c’ero quel giorno di 50 anni fa, morirono due persone che non avrebbero dovuto morire”. Azzolini è imputato ad Alessandria insieme a Renato Curcio e Mario Moretti, capi storici delle Brigate Rosse, i quali (non presenti in aula ad Alessandria) negano ogni coinvolgimento della vicenda. Azzolini si è rivolto al figlio di D’Alfonso, Bruno, che si è costituito parte civile, dicendo “mi dispiace”. Poi ha parlato di Mara Cagol come di “una cara persona”. “Quello fu un giorno maledetto che non dimenticherò mai. È successo ciò che non doveva mai succedere. Il dolore è incancellabile”. Ha anche invitato i giudici a richiamarsi al memoriale che all’epoca dei fatti scrisse in forma anonima a uso interno delle Br: “Lo leggerete voi, io non ci riesco. Il dolore mi trafigge come una lama”. Nel documento è scritto che prima di fuggire vide Mara Cagol con le braccia alzate (come in segno di resa – ndr).

“L’ultima immagine che ho di Mara Cagol, e che non dimenticherò mai, è di lei ancora viva che si era arresa con entrambe le braccia alzate, disarmata, e urlava di non sparare” si legge nel documento che l’ex brigatista rosso Lauro Azzolini ha consegnato alla Procura di Torino in occasione del processo ad Alessandria dove e imputato per i fatti della Cascina Spiotta. Azzolini ha scritto che lui e la donna tentarono la fuga sulle rispettive auto, ma inutilmente: “Da qui la nostra resa”.

Uscito dalla mia vettura – aggiunge Azzolini – mi affiancai a Mara che era già sul prato. Notai che sanguinava da un braccio. Le chiesi se era ferita. Mi disse di sì ma che non era niente e che, se c’era ancora l’occasione, di tentare di fuggire. Risposi che avevo ancora una ‘srcm’ (una bomba a mano – ndr). Al suo cenno la lanciai e mi misi e correre verso il bosco convinto che Mara mi avrebbe seguito. Raggiunto il bosco mi accorsi che lei non c’era. Guardai verso il prato della cascina e l’ultima immagine di Mara, che non dimenticherò mai, è di lei ancora viva che si era arresa con entrambe le braccia alzate”

LE INDAGINI – Bruno D’Alfonso figlio dell’appuntato e a sua volta carabiniere in congedo nel dicembre del 2021 aveva presentato una denuncia alla Dda piemontese. L’uomo aveva chiesto ai magistrati di cercare ‘mister X’, il brigatista sfuggito alla cattura e mai identificato. Dopo gli accertamenti gli inquirenti si erano convinti che ‘mister X’ fosse Azzolini, autore del rapporto a uso interno dell’organizzazione, anonimo, con il resoconto su quanto accadde alla Cascina Spiotta recuperato dagli investigatori qualche tempo dopo. Un’ipotesi che oggi Azzolini ha confermato. I brigatisti si erano nascosti nella cascina Spiotta dopo aver sequestrato l’imprenditore del vino Vittorio Vallarino Gancia.

Per gli inquirenti sarebbero state sue alcune delle impronte digitali. Ma sue, soprattutto, sarebbero le impronte ‘palmari’ lasciate dalla mano che tracciò alcuni disegni esplicativi. Per gli inquirenti Pierluigi Zuffada, per cui è stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere per prescrizione durante l’udienza preliminare, sarebbe stato il ‘postino’ che fece recapitare all’avvocato dei Gancia la richiesta di riscatto, mentre Curcio e Moretti, in qualità di “esponenti apicali dell’associazione terroristica”, sarebbero gli organizzatori del sequestro.

Gli inquirenti, che hanno coordinato gli accertamenti del Ros di Torino, hanno lavorato servendosi di materiale vecchio e nuove tecnologie. Hanno incrociato documenti e verbali d’epoca, hanno letto i libri degli ex brigatisti, hanno disposto intercettazioni a pioggia, hanno utilizzato un trojan su Azzolini, hanno persino alzato in volo i droni per mappare l’area della Cascina Spiotta. Renato Curcio ha prodotto un memoriale per spiegare che, per come erano strutturate le cellule delle Brigate Rosse nel 1975, è impossibile ipotizzare un coinvolgimento suo o di altri.

LA PARTE CIVILE – “Bruno d’Alfonso è sconcertato. Cinquant’anni anni di silenzio lasciano un segno fortissimo” commenta l’avvocato di parte civile Sergio Favretto. Il figlio del carabiniere che perse la vita nella sparatoria con i brigatisti, non ha voluto rilasciare dichiarazioni. “Questa – ha detto l’avvocato Favretto riferendosi alle parole di Azzolini – è una novità assoluta, ma arriva dopo 50 anni e tre anni di lavoro della procura di Torino che ha inchiodato gli imputati. Quindi l’ammissione di oggi avviene perché ci sono prove inconfutabili, che giungono dalle impronte digitali e dall’intercettazioni. “Abbiamo colto la sofferenza nelle dichiarazioni di Azzolini – ha osservato in aula un altro degli avvocati di parte civile, Guido Salvini – ma sono ancora necessari degli approfondimenti. Il documento contiene parecchi dettagli sulla morte di Mara Cagol, ma su ciò che è successo prima, e su chi ha sparato al carabiniere D’Alfonso, sorvola un po’. Ecco perché il processo deve continuare”.

LE DIFESE – “Ho sentito dire che saremmo stati istruiti e addestrati a cosa fare in quei casi, ma non è vero. Non sapevamo assolutamente cosa fare perché non era mai successo” si legge ancora nel documento che secondo le difese scagiona Curcio e Moretti. .

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