Marco Bianchi condannato all’ergastolo mentre il fratello Gabriele, a cui sono state riconosciute le attenuanti generiche, condannato a 28 anni. È la sentenza della Corte d’assise di appello di Roma per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte ucciso nella notte tra il 5 e il 6 settembre del 2020 a Colleferro, centro in provincia della Capitale. La sentenza è arrivata alla fine dell’appello bis disposto dalla Cassazione limitatamente al riconoscimento delle attenuanti mentre la responsabilità penale per l’omicidio era già passata in giudicato.

Prima del verdetto i due imputati aveva chiesto di fare dichiarazioni spontanee: “Non siamo dei mostri, siamo addolorati per quanto accaduto e e chiediamo scusa alla famiglia di Willy. In questi anni sono stato descritto come una persona che non sono – ha detto Gabriele Bianchi -. Non vivevo di delitti, avevo una frutteria, mi svegliavo alle tre del mattino per lavorare. Io e mio fratello abbiamo commesso degli errori e siamo pronti a pagare“.

L’imputato ha ribadito di “non avere mai colpito quella notte Willy, non l’ho toccato” e rivolgendosi alla madre della giovane vittima presente in aula si è detto “addolorato” per quanto avvenuto. “Ho chiesto un incontro con familiari – ha proseguito – per poterli guardare negli occhi e se potessi cambierei le sorti di quella sera”. Dal canto suo Marco in video collegamento si è dichiarato “responsabile per il calcio al fianco dato a Willy ma non quando era a terra, mi dispiace per mio fratello che è stato coinvolto pur non avendolo mai toccato. Pagherò per la mia responsabilità, ma non siamo mostri. Non meritiamo tutto questo odio mediatico, spero in una pena giusta”.

Il 12 luglio del 2023 la pena all’ergastolo inflitta in primo grado era stata ridotta a 24 anni perché i giudici avevano riconosciuto le attenuanti generiche. Il sostituto procuratore generale della Cassazione Marco Dall’Olio aveva chiesto un processo di appello bis contestando la concessione delle attenuanti perché, ha detto, gli imputati “erano consapevoli delle conseguenze dei loro colpi, estremamente violenti, inferti con tecniche di lotta Mma contro punti vitali, su un corpo particolarmente esile come quello di Willy”.

I giudici nelle motivazioni del verdetto di primo grado avevano sottolineato che i due fratelli “sapevano che potevano uccidere”. “L’irruzione dei fratelli Bianchi sulla scena di una disputa sino ad allora solo verbale, e comunque in fase di spontanea risoluzione, fungeva da detonatore di una cieca furia – scrivevano i magistrati – L’azione violenta, invero già in atto in quanto i due fratelli si erano fatti largo fra la folla a spintoni e manate, a quel punto otteneva ulteriore impulso. I quattro si compattavano a falange ed avanzavano in modo sincrono, impattando contro il corpo del povero Willy che si era appena intromesso per capire cosa stesse accadendo”. In appello pur riconoscendo la responsabilità e “i micidiali colpi” inferti alla vittima i giudici avevano riconosciuto le attenuanti poiché non avevano partecipato all’iniziale lite. Oggi l’ultimo verdetto.

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