di Sara Gandini e Paolo Bartolini

“La pace attraverso la forza” dice Von der Leyen, chiedendo di spendere per difenderci. E in effetti la parola chiave è questa: spendere. E ribadisce: dobbiamo utilizzare ogni singola leva finanziaria a nostra disposizione per rafforzare e accelerare la nostra produzione di difesa. È chiaro che dietro queste scelte ci sono pressioni dell’industria e dei centri finanziari, del resto l’idea secondo cui la pace si farebbe armandosi ha semplicemente del ridicolo, se non fossero i cittadini a pagarne pesantemente le conseguenze.

Nonostante tutto, questo teatro dell’assurdo atterrisce ma non stupisce, perché la retorica guerresca ci accompagna da un bel po’. Già nel pieno del caos pandemico il linguaggio bellico aveva saturato la percezione collettiva, per inasprirsi ulteriormente dopo l’attacco russo in Ucraina del febbraio 2022. Durante la pandemia con le parole d’ordine ‘sicurezza’ e ‘rischio zero’ abbiamo sacrificato giovani e anziani, i primi segregati in casa, i secondi lasciati morire nelle RSA. Con la guerra in Ucraina abbiamo giocato a Risiko sacrificando un intero popolo sull’altare degli interessi della geopolitica. In entrambi i contesti il dissenso argomentato è stato ridicolizzato e criminalizzato.

Oggi le assurde e controproducenti politiche di riarmo europee ribadiscono lo scollamento profondo e drammatico tra cittadini e potere, opinione pubblica e solerti esecutori dei diktat del neoliberalismo di guerra. 800 miliardi di euro per armarci e simulare, agli occhi di un mondo che è giustamente stanco delle nostre ipocrisie, una forza che non abbiamo.

Gli “intellettuali” organici che abbracciano il progetto europeista degli attuali governanti (quindi favorevoli a un’architettura dell’Ue che umilia le persone in difficoltà, mercifica ogni forma di scambio sociale e deroga sul Patto di Stabilità solo quando bisogna attrezzarsi con missili e carri armati), stanno da settimane invocando uno spirito guerriero di cui i nostri giovani rammolliti sarebbero carenti. Dinnanzi alla surreale ipotesi di un Putin interessato a spingersi fino ai Pirenei, i leader europei orfani di Biden e dei Dem americani, provano a smarcarsi da Trump ottenendo due effetti: da un lato alimentare la stessa economia americana acquistando gas d’oltreoceano e foraggiando le industrie di morte a stelle e strisce, dall’altro preparare – con tagli feroci allo stato sociale europeo – l’ascesa delle forze di estrema destra nel Vecchio Continente.

Buffo per chi, da mattina a sera, ammonisce sul pericolo delle autocrazie, tacendo sulla pulizia etnica a Gaza e in Cisgiordania, e sventolando la bandiera consunta di un antifascismo di facciata privo di critica nei confronti del capitalismo (quindi sostanzialmente inutile).

Oltre a questa deriva, che dovrebbe suscitare una risposta popolare vasta e insorgente, assistiamo al grottesco capovolgimento delle chiacchiere sullo sviluppo sostenibile, sul proteggere la salute dei cittadini, sull’importanza del “rischio zero” che hanno dominato recentemente il dibattito pubblico.

Adesso è il momento degli eserciti, della sicurezza e delle bombe, dunque la riconversione ecologica, la sanità pubblica e altre priorità reali vengono messe tra parentesi. Per anni, con una gestione feroce dei cosiddetti “debiti sovrani”, abbiamo assistito al rigore europeista, all’austerity, al rimbrotto quotidiano nei confronti di chi vivrebbe al di sopra delle sue possibilità sperperando come la cicala della ben nota favola (ricordiamo la sorte dei greci massacrati dalla Trojka). Ma del benessere dei cittadini europei non interessa nulla a questi rappresentanti di destra e “sinistra”.

Quasi tutti, tranne poche lodevoli eccezioni, intravedono nel ReArm Europe una possibilità per rimettere in moto un’economia fiaccata dal boomerang delle sanzioni alla Russia e da politiche industriali di cortissimo respiro. Ci stanno, insomma, offrendo un’economia di guerra per compattare l’Ue e nascondere sotto il tappeto gli infiniti errori e doppi standard di cui si sono macchiati da molto tempo.

Peccato che investire in armi, in modo tanto eccessivo e ideologico, vuol dire togliere fondi alla ricerca, alla scuola, alla sanità pubblica, alla cura dei territori e degli ecosistemi. Non basta dire NO a questo scempio, bisogna affermare con forza che i denari servono ad altro, che la pace si costruisce contrastando le ingiustizie sociali e le diseguaglianze, che una società equa e sostenibile può darsi solo preparando insieme la fuoriuscita dal neoliberalismo autoritario e di guerra.

Questa Europa in stato confusionale, guidata da ciechi che camminano verso la bocca del vulcano, è il problema e non la soluzione. Saranno comportamenti del genere a scatenare, prima o poi, una rabbia sociale che, disorganizzata, potrebbe facilmente ingigantire il consenso delle nuove destre. Ciò rischia di accadere, come durante gli anni della governance pandemica, nel silenzio complice di molte aree della cosiddetta sinistra, incapaci persino di prendere le distanze dalle piazze dove la bandiera della pace non è ben accetta e dalla spirale dei furori bellicisti di una classe politica mai tanto compromessa.

Concludiamo ricordando le parole di Virginia Woolf in Le tre ghinee: “Se i giornali fossero scritti da persone il cui solo scopo nello scrivere fosse quello di dire la verità sulla politica e la verità sull’arte, noi non crederemmo nella guerra e crederemmo nell’arte”.

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