Tempo scaduto per i Pfas negli scarichi industriali del Piemonte, ma molte aziende rischiano di essere fuorilegge. E così, mentre alla Camera dei deputati si discutono tre mozioni sugli ‘inquinanti eterni’, una buona parte della filiera manifatturiera della regione si trova davanti a problema da risolvere al più presto. Lo conferma la società idrica Smat che ha chiesto alla Città metropolitana di Torino di limitare la presenza di queste sostanze negli scarichi industriali in pubblica fognatura per tutelare i fiumi. Anche perché, ha ammesso, i depuratori non riescono a smaltire i Pfas. Tant’è che l’azienda ha riscontrato la presenza di almeno uno di 24 inquinanti eterni noti nel 39 per cento dei duecento campioni analizzati sul territorio. La richiesta di Smat va nella stessa direzione di una legge approvata nel 2021 e con cui il Piemonte è diventato l’unica regione italiana ad aver stabilito con una norma limiti di emissione di Pfas per gli scarichi pubblici e privati in acque superficiali. Il testo prevedeva un percorso a tappe, con regole man mano più stringenti. Solo che oggi, in base a quella legge e anche allo scadere degli ultimi termini previsti per mettersi in regola, gli scarichi di buona parte dell’industria manifatturiera rischiano di non rispettare quei paletti. I Pfas sono utilizzati in molte produzioni, dalle pentole antiaderenti ai tessuti, fino alle batterie elettriche e alle schiume antincendio. E sono già partite le prime lettere si revoca dell’Autorizzazione integrata ambientale.

L’allarme di Smat sui Pfas – La preoccupazione di Smat è dovuta alle concentrazioni rilevanti riscontrate nelle acque reflue industriali di Torino, per esempio di cC6O4, che nel capoluogo piemontese non dovrebbe neppure esserci. Eppure di questa sostanza è stata registrata la concentrazione media più alta (9,05 microgrammi per litro). Si tratta di un Pfas prodotto solo a Spinetta Marengo dalla Syensqo, colosso della chimica spin-off di Solvay. Ma la Smat ha riscontrato anche il Pfoa, classificato come cancerogeno. In generale, comunque, per le concentrazioni di Pfas sono state registrate anche punte di 40 microgrammi. L’azienda idrica non si è limitata a ricordare che l’emissione dei residui di produzione e lavorazione attraverso gli scarichi idrici contamina l’ambiente, ma ha spiegato che si tratta di “sostanze resistenti anche ai processi di depurazione degli scarichi civili”. È quindi fondamentale, scrive Smat, “che l’eliminazione o la loro netta riduzione avvenga nei cicli produttivi evitando il loro scarico in pubblica fognatura”.

La legge regionale che ora va applicata – Una risposta tempestiva alla richiesta di Smat è ancora più urgente alla luce della legge 25 del 2021 e dei nuovi limiti su Pfoa, sostanza classificata come cancerogena, Pfos e cC6O4. “Restiamo disponibili a gestire anche questa fase transizione, ma la legge ora va rispettata”, ha confermato al Corriere l’assessore regionale all’Ambiente, Matteo Marnati. Resta il fatto che la Smat ha riscontrato nel Po livelli superiori alla norma di almeno 24 Pfas. Così la Città metropolitana di Torino ha inviato le lettere di revoca dell’Autorizzazione integrata ambientale. Un disastro che coinvolge una buona fetta della filiera manifatturiera. Per Paolo Romano, presidente di Smat e coordinatore del Gruppo Pfas di Utilitalia, la richiesta dell’azienda consentirà agli impianti di depurazione per gli scarichi civili di osservare proprio i limiti molto restrittivi imposti dalla legge regionale, ma per sbrogliare la matassa è stato aperto un tavolo in Regione, con il coinvolgimento delle associazioni di categoria e Confservizi.

Il dilemma tra ambiente e industria – Ma il suggerimento di Smat di ridurre gli utilizzi già nei cicli produttivi tocca un nervo scoperto. Sono passati pochi mesi da quando l’ex premier Mario Draghi, presentando il documento sulla competitività europea, sosteneva che i Pfas non sono sostituibili in diversi settori industriali. E a dicembre scorso, il nuovo commissario europeo all’Industria, il francese Stéphane Séjourné, ha scelto come meta della sua prima missione all’estero la sede di Bollate (Milano) della Syensqo, dove ha incontrato il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso. Che ha commentato: “C’è un’aria nuova in Europa. Una visione pragmatica che affronta la realtà coniugando la sostenibilità ambientale con quella economica e sociale”.

I timori della Commissione Ecomafie – Eppure il problema degli scarichi c’è e va risolto. Anche la Commissione Ecomafie, nella sua ultima relazione annuale approvata a dicembre 2024, ha sottolineato l’urgenza di fissare i limiti nazionali su tutte le matrici ambientali, in particolare su scarichi, terreni e acque sotterranee. Anche il Mase, in risposta alla Commissione, ha sottolineato questa necessità. Ma per il ministero la fissazione di questi limiti “è subordinata alla revisione delle direttive comunitarie sugli standard di qualità delle acque”. In Mase, poi, ritiene sia competenza delle Regioni stabilire i valori limite, tenendo conto della linea guida predisposta dal Gruppo di Lavoro di esperti del ministero. Diversa la posizione della Commissione Ecomafie: le Regioni possano definire nel proprio territorio regole più restrittive rispetto a quelle nazionali, ma non è loro la competenza a fissare i limiti alla diffusione dei Pfas nelle matrici ambientali, compresi i limiti agli scarichi. “Appartiene allo Stato”, ribatte la commissione. Come è scritto nella Costituzione e nel Testo unico sull’ambiente.

Le mozioni in Parlamento – A proposito di competenza statale, nei giorni scorsi è iniziata la discussione alla Camera di tre mozioni, presentate da Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi Sinistra e Pd/Idp. Anche Greenpeace ha lanciato un appello. “Chiediamo al Parlamento e a tutte le forze politiche di schierarsi per il divieto all’uso e alla produzione di queste sostanze e di introdurre limiti più bassi per la loro presenza nelle acque potabili”, ha commentato Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. Alla Camera le deputate Luana Zanella (Alleanza Verdi Sinistra) e Ilaria Fontana (M5S) hanno illustrato le mozioni chiedendo, tra le altre cose, una “progressiva eliminazione di tutti i Pfas”, come hanno già fatto e avviato Danimarca, Germania, Svezia, Paesi Bassi, un impegno per il Governo di introdurre nuovi limiti vincolanti e azioni di bonifica nelle aree contaminate, oltre a monitoraggio e screening per tutti i tipi di Pfas. Il M5S propone un’etichetta sui prodotti Pfas free e un inventario di siti da bonificare e di siti contaminati. Il Pd chiede che i limiti di scarico in aria, in acqua e nel sottosuolo dei Pfas siano portati allo zero tecnico, come quelli relativi alle acque potabili. La discussione si preannuncia molto accesa, come si evince dalle parole del deputato di Fratelli d’Italia, Aldo Mattia: “Si dovrebbe affrontare il fenomeno attraverso un’analisi che, senza indugiare alla demagogia – ha detto – rappresenti la giusta sintesi tra le esigenze ambientali e le conseguenti e inevitabili ricadute di tipo economico, produttivo e occupazionale su aziende e consumatori”. Lega non pervenuta, nonostante nel Veneto governato da Luca Zaia ci sia uno dei più gravi casi di contaminazione al mondo e la stessa Regione abbia aderito alla rete internazionale Ban Pfas Manifesto.

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