Sono come Numero Uno di Alan Ford.
Barba bianca, lunga, sdentato…
Rappresenta la mia infanzia e adolescenza.
In adolescenza avrà visto anche altro.
Come ha raccontato Woody Allen, andavamo in edicola, acquistavamo un quotidiano e dentro ci nascondevamo il giornaletto erotico o porno. Con il sesso ho iniziato tardissimo.
Età?
A 21 anni; per questo ho intrapreso la carriera di cantautore.
Quando ha capito l’equazione sesso-musica?
Al liceo ero grasso e suonavo solo musica classica. Alle feste le ragazzine mi consideravano al pari della tappezzeria.
Quindi?
In terza liceo organizzano un teatrino: salgo sul palco, mi metto al piano, suono Bach e sento la platea in versione avanspettacolo che sussurra “che palle”, “basta”. Dopo tocca a un ragazzo, con chitarra e armonica, niente di che. Le ragazzine in delirio. Lì ho capito la strada giusta.
(La strada giusta di Francesco Baccini lo ha portato a conquistare la prima posizione in classifica, il “Festivalbar”, dischi d’oro, clamore, successo, storie d’amore, polemiche, censure, una bacchettata dalla Rai per una bestemmia in un reality, amici, colleghi, miti diventati amici, e colleghi rimasti miti – “il più grande di tutti è stato Jannacci”. Torna a settembre con un disco di inediti, esce in Sudamerica la versione in spagnolo di “Maschi contro femmine” e il 19 marzo è a Napoli per festeggiare i 70 anni di Pino Daniele, poi su Rai2 il 20 aprile).
Insomma, a dieta.
Ho perso venti chili in un anno; poi in quel periodo ho subito un incidente grave, tre interventi all’anca, il dubbio di non poter più camminare bene. E soprattutto è morto mio padre.
Suo padre era un camallo.
E sono entrato al suo posto: due anni al porto, quattro da impiegato.
Il primo “passo” del Baccini cantante…
Quando di nascosto da mamma ho iniziato a frequentare un locale di Genova con dentro un pianoforte. Lo vedo. Mi siedo. E inizio a cantare.
Quel locale...
Posto stranissimo, con un pubblico assurdo e trasversale: dal punk a Carmelo Bene.
Carmelo Bene?
Una sera ero al pianoforte, suonavo un pezzo, ma di questo pezzo non avevo il titolo e lui sapeva del problema. Si avvicina e all’orecchio mi suggerisce: “Mamma dammi i soldi”. “Eh.. ?”. “Prova”. Era perfetto.
Si sbronzava con Carmelo Bene?
Non era per niente astemio. E pure gli altri del locale.
E lei?
Bevevo camomilla o la menta.
Grassottello, che suona Bach e beve camomilla…
L’età dell’adolescenza è stata terrificante.
Il salto.
Quando ho deciso di partire per Milano. Sono scappato. Ho lasciato i soldi sul comodino di casa, ho preso la macchina e via verso Milano. Per qualche mese non ho dato notizie, avevo paura della reazione.
A Milano?
Dormivo in una macchina scassata, compreso un vetro rotto. Non avevo neanche i soldi per mangiare.
Come si nutriva?
Ho trovato un locale, aveva il pianoforte, mi sono seduto e ho cantato. Da quella sera andavo a suonare, quando volevo, in cambio di un pasto caldo.
La casa discografica, come?
Con le Pagine Gialle: le prendo, cerco gli indirizzi e mi presento; mi sono trovato davanti a Mara Maionchi.
Com’era la Maionchi?
Come oggi, solo più magra.
In questa storia come entra Caterina Caselli?
Sento alla radio uno dei Pooh che spiega: “Se mandi una cassetta alla CGD magari diventi come noi”. E scopro che la Caselli aveva lanciato un concorso. Così vado da una ragazza che avevo conosciuto al locale, mi chiudo in casa e registro tre pezzi. Poi raggiungo la casa discografica e lascio tutto. Dopo qualche giorno una mia amica: “Ti cercano dalla CGD”. Sono corso nella sede: eravamo rimasti in quattro per un contratto.
Una sorta di talent.
Il nonno di X Factor, peccato che puntavano su un altro, non su di me.
Lei, nel frattempo.
Stavo lì e andavo a mangiare in mensa con gli altri impiegati. Mi scambiavano per un fattorino; qualche settimana dopo il presunto vincitore non viene preso a Sanremo, il telefono della mia amica squilla di nuovo: “Fra’, ti stanno cercando!”. Io penso: “Ma stavo lì!” Mi presento negli uffici, mi portano al trentesimo piano, dalla Caselli, che mi accoglie a braccia aperte come Fantozzi con il direttore Galattico.
Le porte del Paradiso.
E annuncia: “Il tuo pezzo, Mamma dammi i soldi, sarà la sigla di Sanremo ’88”. Con un però gigantesco: aprono una tenda e mi mostrano il mio nuovo nome “perché di Francesco ci sono Guccini e De Gregori”. Leggo: Espressione Musica.
Bruttino assai.
Lo so, ma che dovevo fare? Ero la sigla di coda, andava in onda dopo il programma di Massarini: alle tre di notte. Non l’ha vista nessuno, a parte Renzo Arbore che mi ha invitato in televisione a Doc.
Santo Arbore.
È stato fondamentale, così come Maurizio Costanzo: dopo essere stato al suo Show , c’è stata la svolta.
Benefici della fama.
In primis la macchina nuova; (sorride) sono passato dal dormire in auto a diventare conosciuto con incontri incredibili.
Un suo brano ironico s’intitola Antonello Venditti.
Non ha riso tanto, voleva picchiarmi.
Un altro è Adriano Celentano.
Mi ha chiamato e invitato nella sua trasmissione Svalutation: un programma folle e straordinario, quasi totalmente improvvisato.
Alla Celentano.
Per una settimana abbiamo provato un balletto di tre minuti. “E il resto?”. “Poi vediamo”.
Fabrizio De Andrè.
Sono sul palco per presentare il mio primo disco; in fondo alla sala vedo un tizio: “Assomiglia a De Andrè”. Poi una donna bionda: “Sembra Dori Ghezzi”. Alla fine del concerto li ho trovati in camerino. Era il mio mito; (abbassa la voce) a quel tempo ero fisicamente identico a Luigi Tenco e quando mi ha visto da vicino è sbiancato: “Fumate anche allo stesso modo”.
Tenco e De Andrè molto amici.
Sì, e mi ha raccontato di un Tenco molto differente da quello che si crede: allegro, divertente, il figo del gruppo.
Del suicidio cosa diceva?
Un mistero, perché lo ha sempre definito la persona più lontana da un gesto simile.
Secondo Lino Patruno Tenco è stato ucciso dalla malavita marsigliese per via di una donna.
È una delle voci che giravano.
Enzo Jannacci.
Lo contatto perché avevo scritto un pezzo perfetto per lui. Ci incontriamo e percepisco cos’è il genio. Vincenzina e la fabbrica è un capolavoro assoluto.
Si è mai fatto visitare dal dottor Jannacci?
No. Però mi ha quasi ammazzato.
Come?
Andiamo al ristorante in motorino. “Guido io”. Sembrava un quindicenne: impennava di continuo. Siamo arrivati con me disperato.
Flavio Bucci.
Ci ho recitato in Credo in un solo padre e già non stava benissimo; personaggio difficile, mandava tutti affanculo, poi si sparava una bottiglia di amaro al giorno, più due o tre pacchetti di sigarette.
Riusciva a recitare?
Era immobile, ma quando toccava a lui diventava un altro: bastava lo sguardo; un carisma eccezionale, per questo stavo sul set pure se non mi toccava.
Un suo difetto.
La pigrizia.
Un errore professionale.
Partecipare a Music Farm, ma in quel momento ero a zero per la truffa di un manager.
Ha bestemmiato.
Io che non bestemmio mai.
Si è innamorato di Dolcenera.
Era per l’effetto galera. Sono uno spirito libero.
Si è riguardato?
Me è matto?
Chi è lei?
Uno che nella vita vuole divertirsi. E la musica è l’attività che mi diverte di più.
Musica
“Ho fatto il camallo, come mio padre. Quando sono arrivato a Milano dormivo in una macchina scassata. Non avevo neanche i soldi per mangiare”: Francesco Baccini si racconta
Torna a settembre con un disco di inediti, esce in Sudamerica la versione in spagnolo di “Maschi contro femmine” e il 19 marzo è a Napoli per festeggiare i 70 anni di Pino Daniele, poi su Rai2 il 20 aprile
